ROMA Ad una settimana dal referendum, la Corte Costituzionale mette in discussione una delle principali riforme del governo Renzi, quella della pubblica amministrazione che porta il nome del ministro Marianna Madia. E lo fa su un tema affrontato proprio nella revisione della Carta voluta dal governo: i rapporti tra lo Stato centrale e le Regioni. Per i giudici costituzionali, nello scrivere le norme sulla pubblica amministrazione, il governo non ha tenuto nella giusta considerazione le prerogative dei governatori. Ha legiferato, insomma, anche su temi e argomenti che sono di competenza delle Regioni. Per farlo, sostiene la Consulta, il governo avrebbe dovuto raggiungere un'«intesa» nella Conferenza Stato-Regioni, e non un semplice parere non vincolante da esprimere, tra le altre cose, in soli 45 giorni. Tutte le parti in cui la riforma si è occupata di questioni di competenza anche regionale senza l'intesa, sono dunque «costituzionalmente illegittime».
IL TESTO UNICO
Il problema è che ora a rischiare di cadere sono alcuni pezzi essenziali della riforma della Pubblica amministrazione. Il taglio delle società partecipate pubbliche, il cui decreto è già entrato in vigore da tempo. E poi due testi approvati non più tardi di venerdì scorso dal governo, ovvero quello sulla dirigenza e quello sui servizi pubblici locali. Ed infine, anche su un provvedimento attuativo non ancora emanato, considerato un'architrave della riforma, sarà necessario mettersi al tavolo con le Regioni e trovare una vera intesa: si tratta del Testo unico sul pubblico impiego, in altre parole la riforma complessiva delle regole che disciplinano il lavoro statale, dalle assunzioni, ai premi fino alla mobilità e ai licenziamenti. Un testo che si intreccia anche con il rinnovo del contratto, in quanto al suo interno dovrà ospitare la revisione delle norme della legge Brunetta che disciplinano l'erogazione dei premi ai dirigenti pubblici e che sono un punto qualificante della trattativa tra i sindacati e il governo.
LE REAZIONI
Il commento del ministro Madia è stato che «le sentenze si rispettano». Matteo Renzi ha provato a sfruttare l'inciampo della riforma Madia come un occasione per spezzare una lancia a favore del referendum: «Il Paese è bloccato». Il riferimento è chiaro. La riforma del titolo V nel testo sottoposto al voto referendario, prevede una clausola di supremazia per lo Stato. Nel caso in cui ci sia un conflitto tra governo e Regioni, Roma può sempre avere la meglio. Una posizione che per il leader della Cgil, Susanna Camusso, è «strumentale». Chi invece ieri ha festeggiato, è stato Luca Zaia, il governatore del Veneto, la Regione che ha impugnato davanti alla Corte Costituzionale la riforma della pubblica amministrazione. «Una sentenza storica», ha commentato. «Il centralismo sanitario governativo», ha aggiunto ancora Zaia, «ha ricevuto un duro colpo e noi, tanto per fare un esempio concreto, continueremo a nominare i direttori generali della nostra sanità invece che doverli scegliere all'interno di una terna nazionale dove poteva esserci anche qualche responsabile di certi sfasci in giro per l'Italia». Non a caso il Fedir, uno dei sindacati dei dirigenti, ha già chiesto al presidente della Repubblica di non firmare il decreto sui dirigenti. Adesso il governo dovrà trovare, rapidamente, una via d'uscita.
A rischio norme anti-furbetti e giro di vite sulla dirigenza
ROMA Due mattoni importanti saltano subito. Ma a traballare sono le fondamenta stesse della riforma della pubblica amministrazione. La prima conseguenza della bocciatura da parte della Corte Costituzionale della legge delega che porta il nome del ministro Marianna Madia, è che i due decreti attuativi sulla dirigenza pubblica e sui servizi pubblici locali approvati solo venerdì scorso dal consiglio dei ministri, non saranno più presentati al Capo dello Stato per la firma e la pubblicazione in Gazzetta. Saltano, per ora, norme considerate tra le più importanti nell'impianto del governo. A partire dall'introduzione del ruolo unico dei dirigenti, degli incarichi a tempo della durata di quattro anni rinnovabili al massimo per altri due, il principio della rotazione, la licenziabilità di coloro che vengono rimossi dagli incarichi con valutazioni negative.
IL RINVIO
Così come salta la norma che obbliga i governatori a scegliere i direttori sanitari nell'ambito di terne selezionate a livello centrale. Niente di tutto questo vedrà per adesso la luce. Così come la riforma dei servizi pubblici locali, quella che avrebbe dovuto accelerare le gare per l'assegnazione dei trasporti pubblici. Per questi due provvedimenti non c'è il tempo di trovare una scappatoia che possa sanarli. La delega doveva essere esercitata entro oggi. Senza la firma del Capo dello Stato bisognerà ripartire da zero. Se ne riparlerà probabilmente soltanto dopo il referendum costituzionale. Un modo per ripescare il testo potrebbe essere quello di farlo confluire nel Testo unico sul pubblico impiego. C'è anche un altro pezzo importante che al momento appare decisamente traballante. Èil decreto ribattezzato «furbetti del cartellino». Si tratta delle norme approvate a luglio di quest'anno dal governo, per sospendere entro 48 ore i dipendenti pubblici colti in flagranza a timbrare il cartellino e poi non entrare al lavoro, oppure a farsi vidimare da altri colleghi il badge. Un'abitudine che, almeno stando alle inchieste degli ultimi mesi di molte procure italiane, sembra essere abbastanza diffusa. Le stesse norme prevedono una corsia di licenziamento veloce per i furbetti. Per salvare il testo sarebbe a questo punto necessario tornare in conferenza Stato-Regioni e trovare un'intesa. Il punto è che, secondo le regole, a mettere una sigla in calce all'accordo, dovrebbero essere tutti i governatori italiani. Il passaggio insomma, non è semplice. Su altri due decreti censurati dai giudici costituzionali, invece, il governo coltiva qualche speranza di poterli salvare. Il primo è quello che riguarda le partecipate pubbliche.
LA VIA D'USCITA
Il decreto è già in vigore da tempo. Quando fu approvato, il governo inserì nel testo quasi tutte le osservazioni che erano arrivate dalla Conferenza Stato Regioni. A questo punto Palazzo Chigi potrebbe convocare i governatori e tentare di arrivare ad un'intesa formale che sia in grado di sanare il provvedimento. Meno problemi, invece, dovrebbero esserci per il Testo unico di riforma del pubblico impiego. Anche questo è considerato un'architrave della riforma, perché affronterà temi delicatissimi come le assunzioni, i licenziamenti e gli scatti degli statali. Non solo. La sua approvazione si intreccia anche con il rinnovo del contratto, in quanto al suo interno dovrà essere inserito il superamento della legge Brunetta sui premi che è uno dei cardini dell'accordo con i sindacati che il ministro Madia vuole firmare entro il prossimo 30 novembre. Questo decreto non è ancora stato scritto dal governo. Vedrà la luce solo a febbraio del prossimo anno e, dunque, ci sono tutti i tempi tecnici necessari per riuscire a trovare un'intesa, come chiede la Consulta, nella conferenza Stato-Regioni.