ROMA La partita tra il governo e i sindacati sugli statali non si chiuderà con l'accordo sugli aumenti. Archiviato questo primo passaggio, da subito si aprirà la «Fase due», la riforma complessiva delle regole del pubblico impiego. Palazzo Chigi da mesi è al lavoro su un Testo unico che ridisegni tutti i confini entro i quali si muove il lavoro pubblico. I tavoli tecnici che materialmente stavano scrivendo il provvedimento, erano anche arrivati a buon punto. La situazione, tuttavia, è stata resa più complicata dalla sentenza della Corte Costituzionale che ha bocciato alcuni pezzi della riforma Madia sulla pubblica amministrazione, obbligando il governo a raggiungere un'intesa preventiva con le Regioni su alcuni pezzi fondamentali del provvedimento, compreso anche il capitolo sul pubblico impiego. Non è un dettaglio. Anche perché alcuni punti dell'accordo siglato con i sindacati, come il superamento della legge Brunetta che prevede che il 50% del montante economico dei premi vada al 25% dei dipendenti più bravi, mentre l'ultimo 25% non avrebbe nulla, dovranno essere inseriti nel Testo unico al quale sta lavorando il governo e che dovrebbe vedere la luce entro febbraio. Proprio per questo, all'interno dell'accordo, è stato scritto che il governo dovrà attivarsi subito per raggiungere l'intesa con le Regioni. Anche un'altra questione, della quale pure c'è traccia nel verbale firmato da Cgil, Cisl e Uil con il ministro della Funzione pubblica Marianna Madia, dovrà essere composta in quel provvedimento. Si tratta del contrasto all'assenteismo, un concetto accettato anche dai sindacati. L'intenzione del governo è di rendere automatiche le visite fiscali nel caso delle malattie seriali e di quelle che cadono a ridosso dei week end o dei ponti. Questo tipo di assenze, poi, verrebbero qualificate come un illecito disciplinare sanzionabile con il licenziamento. Un modo per evitare casi come quello dello sciopero bianco dei vigili di Roma alla vigilia di capodanno di due anni fa che è rimasto, nonostante i vari procedimenti, senza molte conseguenze. Novità arriveranno anche sul fronte delle assunzioni e della licenziabilità dei dipendenti pubblici. L'intenzione è quella di passare dalle attuali piante organiche, che obbligano la pubblica amministrazione ad assumere, per esempio, un centralinista se ne va in pensione un altro, al concetto dei fabbisogni. Si assumerebbe, insomma, in base alle professionalità che servono e non alle posizioni che sono libere. Questo meccanismo cambierà prospettiva anche nell'altro verso, quello delle uscite.
LE VERIFICHE
Ogni anno le amministrazioni potrebbero essere chiamate ad effettuare una verifica dei loro fabbisogni di personale. Alcune posizioni potrebbero non essere più necessarie. Per i dipendenti, dunque, potrebbe scattare la mobilità obbligatoria entro i 50 chilometri, per trasferirli nelle amministrazioni dove invece c'è bisogno di una professionalità non più utile all'amministrazione dalla quale provengono. Già le attuali regole, che verrebbero confermate, darebbero la possibilità nel caso in cui entro due anni non si riuscisse ad individuare una nuova collocazione, di poter licenziare il dipendente pubblico. Gli statali, poi, saranno sempre più soggetti alla valutazione, e le loro progressioni di carriera saranno sempre più legate agli obiettivi. Proprio per la delicatezza dei temi trattati, il sindacato ha chiesto e ottenuto che nell'accordo fosse inserita la creazione di un osservatorio sulla riforma della Pubblica amministrazione e, soprattutto, che il governo non proceda alla stesura del nuovo Testo unico senza un «preventivo confronto» con le organizzazioni sindacali. L'ultima questione che, a questo punto, rimane da affrontare, è quella dei dirigenti. La riforma per ora è stata cassata dalla sentenza della Consulta. Ma il governo sarebbe pronto a ripescarla attraverso un apposito disegno di legge. Sempre che il referendum di domenica non cambi le carte in tavola.