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Pescara, 25/07/2024
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Data: 04/12/2016
Testata giornalistica: Il Messaggero
Del Turco, tangenti certe associazione a delinquere in dubbio. L'ex presidente della Regione «Le prove? Soltanto fango sparito il marchio d'infamia»

PESCARA Con il dispositivo letto dopo la mezzanotte, i giudici della Suprema Corte scrivono la parola fine per quanto riguarda le tangenti intascate dall'ex governatore Ottaviano Del Turco da parte dell'imprenditore della sanità privata Vincenzo Angelini. E' l'unica cosa certa della sentenza di ieri notte che lascia, è vero, ancora da capire che fine farà l'associazione per delinquere visto che per questo reato, e solo per questo, i giudici romani hanno rinviato il fascicolo ai colleghi della Corte d'Appello di Perugia. Se la Corte di Cassazione avesse confermato in toto la sentenza dei giudici di appello aquilani, la condanna dell'ex governatore sarebbe passata in giudicato e le porte del carcere si sarebbero riaperte per il principale imputato di questo lungo e complesso processo. Rinviando a Perugia per il ricalcolo della pena relativamente all'associazione per delinquere, la Suprema Corte ha evitato che venisse emesso il provvedimento a carico di Del Turco per scontare la pena residua.
Il cuore del processo, quello sulle tangenti che Angelini avrebbe versato non solo a Del Turco, regge dunque anche in Cassazione. La pena dell'ex governatore di 9 anni e mezzo comminata dai giudici di Pescara venne abbassata in appello a 4 anni e due mesi, riducendo il numero dei capi di imputazione relativi alla corruzione, o meglio alla induzione indebita come rivista dalla legge Severino. La sentenza della Cassazione ora chiude definitivamente la questione tangenti e conferma le dazioni di denaro ad Ottaviano Del Turco e le pressioni che quest'ultimo avrebbe fatto all'imprenditore Angelini: poco meno di 900 mila euro.
«Fermo restando che le sentenze vanno rispettate - afferma il procuratore di Vasto, Giampiero Di Florio, pm nel processo di primo grado insieme a Giuseppe Bellelli - ciò che si auspica è un'informazione corretta e non a senso unico attraverso la quale si fanno passare messaggi non corrispondenti alla realtà processuale».

I COMMENTI «Dalle agenzie - prosegue Di Florio - si intuisce che restano ferme le condanne per le dazioni di somme di denaro e quindi mi pare che le prove acquisite nelle indagini preliminari hanno superato il vaglio della Cassazione. Ciascuno è libero di avere una visione quantitativa di una certa tipologia di reati che non corrisponde, ovviamente, a quanto scritto nel codice penale».
La Cassazione ha poi dichiarato inammissibile il ricorso di Pierluigi Cosenza, ex responsabile delle commissioni ispettive permanenti della Regione, contro la prescrizione. La condanna per associazione per delinquere è stata annullata con rinvio anche per l'ex assessore alla sanità, Bernardo Mazzocca, Camillo Cesarone e Lamberto Quarta.

«Le prove? Soltanto fango sparito il marchio d'infamia»

L'AQUILA «La montagna di prove che doveva schiacciarmi si è dimostrata per quello che era: una montagna di fango». Così l'ex presidente della Regione, Ottaviano Del Turco, ha commentato il verdetto della Cassazione. «Quando sei sommerso da una montagna di fango ha argomentato Del Turco in una dichiarazione ufficiale - e riesci a non soffocare è quasi impossibile che non ti rimanga addosso qualche schizzo. Già la Corte d'appello mi aveva assolto da tutti i reati di abuso e di falso ideologico e da 18 delle 21 fantasiose dazioni di denaro che avrei ricevuto, delle quali non è mai stato trovato un solo euro. Ora si dissolve anche l'associazione per delinquere. Non trovo in questa vicenda nessun altro senso, se non la evidente necessità di dare una parvenza, seppure grottesca, di giustificazione alla infamia che ha travolto una giunta regionale e con essa la vita mia e di molti di noi».
L'ex presidente ha poi accettato di rispondere ad alcune domande del Messaggero.
Del Turco, quali sono le sue sensazioni alla luce di ciò che ha sancito la Consulta?
«Scompare una macchia drammatica dalla mia storia personale e politica. Non sono più il capo di un'associazione a delinquere. Non è una cosa di poco conto perché su questo è stata costruita un'infamia che ha segnato la mia vita negli ultimi anni. Adesso che l'infamia è scomparsa credo si possa ragionare sul resto e capire cosa c'era davvero dietro quella montagna schiacciante di prove. Ovvero una montagna schiacciante di fango. E' tutto ciò che ne è rimasto».
A mano a mano che la vicenda giudiziaria compie i suoi passi sembrano cadere pezzi di accuse. Che valutazione si sente di dare?
«Viene demolito un castello accusatorio nel quale io ero il capo di un'associazione a delinquere. Una sorta di marchio di fabbrica. Non sono mai stato il capo di un'associazione a delinquere, semmai il presidente di una giunta democraticamente eletta con una montagna schiacciante di voti abruzzesi, il 60 per cento del totale. Questo mi dava un'autorevolezza che mi consentiva di riformare il baraccone della sanità così come mi era stato lasciato. Questo i potenti abruzzesi non l'hanno mai digerito, chi aveva la proprietà di cliniche, giornali, tv. E' stato organizzato un massacro».
Dopo otto anni di una complessa vicenda giudiziaria ancora non si è in grado di scrivere la parola fine, inequivocabilmente. E' un cortocircuito del sistema?
«Non posso dire di essere un perseguitato speciale, sarebbe arrogante da parte mia e sbagliato. Altri italiani hanno ricevuto questo trattamento dalla giustizia. Adesso provo sulla mia pelle il sentimento che mi suscitava la lettura delle loro storie. Ma questa è una vicenda drammatica, anche per la storia della giustizia».
Cosa prova? Sollievo, amarezza, rabbia?
«Sono certamente sollevato, perché ho scampato un omicidio. Il fatto che fossi il capo di un'associazione a delinquere mi obbligava a trovare i soldi per pagare i soci. E' una cosa che mi fa schifo solo a pensarlo».
Cosa resta in piedi, a questo punto, delle accuse che le sono state mosse?
«L'autista di Angelini diventa improvvisamente il protagonista centrale di questa storia. E' una cosa che metterà un po' di euforia nella sua testa, ma chi lo conosce e chi sa chi è capirà che non c'entra assolutamente nulla nemmeno lui».
Servirà altro tempo prima di chiudere questa storia.
«Speriamo sia breve, in ogni caso mi sono addestrato per una lunga pazienza».

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