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Pescara, 25/07/2024
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Data: 06/12/2016
Testata giornalistica: Il Centro
Renzi congelato, D’Alfonso ridimensionato. Con il cambio di governo l’Abruzzo perde riferimenti importanti a Palazzo Chigi da De Vincenti a Delrio. In ballo Masterplan, riforma portuale, piano industriale. Il governatore: continuo con più forza. Non rimpiango nulla di quello che ho fatto in campagna elettorale. Se tornassi indietro comincerei con più anticipo

PESCARA Presidente Luciano D’Alfonso, il referendum è stato una mazzata. «Nella mia carriera politica non ho mai perso un’elezione ma ho perso due referendum: questo e quello sul piano traffico quando ero sindaco di Pescara, due anni prima la rielezione. Ma mi nutro di difficoltà. E non nascondo quella intervenuta con l’esito del voto a livello nazionale, e non nascondo la delusione al livello regionale, Ma questo mi dà più energia e carica». Perché il Sì ha perso in Italia? «Mentre il Sì richiedeva spiegazione e merito, il No si sedeva sulla pancia dei cittadini e questo va compreso fino in fondo, poiché ho avuto la sensazione che tutte le classi dirigenti sono state apparentate all’establishment. E’ stato un voto che ha voluto distanziare la cittadinanza dall'esito del quesito». Riconoscerà che anche il titolo del quesito lisciava il pelo all’antipolitica. «Ma mentre il Sì si è soffermato sul merito del quesito e sul merito della riforma, il No in molti casi ho sentito dire che era per difendere l’articolo 1 e 2 della Costituzione che con il voto non c’entrava nulla. Il No non invocava il ragionamento, ma è stata una reazione che si colloca più in corrispondenza della cinta». Perché il risultato in Abruzzo è stato così pesante per il Sì? «In regione non si è determinata una condizione di piena mobilitazione». Perché? «In tanti hanno pensato che la campagna fosse nazionale e non c’è stato sul territorio quello che il territorio sa fare quando è sottoposto al voto». Lei per qualcuno si è speso anche troppo. «Mi sono impegnato come mi sono sentito molto convocato dal livello di impegno del presidente Renzi e della squadra dei ministri, poiché ho avuto da loro una straordinaria disponibilità sui problemi concreti dell’Abruzzo. Per questo mi sono mobilitato molto: sia perché ho creduto della riforma, sia per esprimere reciprocità». E ora che cosa si aspetta? «Sosterrò l’iniziativa politica che fa riferimento all’esperienza di Renzi. E poi il governo che si insedierà si dovrà occupare con impegno delle questioni abruzzesi, perché io non lascio scampo. Non perché minacci, ma perché presento dossier convincenti». Si pente di qualcosa che ha fatto o detto in campagna elettorale? Penso all’appello ai sindaci, alla lettera agli abruzzesi... «No, se tornassi indietro lavorerei con anticipo condividendo il lavoro con un numero crescente di persone, facendo più rete con gli amministratori». Vede contraccolpi diretti del voto sulla sua maggioranza? «Non ne vedo. Non abbiamo il tempo di coltivare ceci e lenticchie. La cosa che invece voglio mettere in evidenza è che l'Italia si deve interrogare sul fatto che governare non è un gioco e adesso si apre una fase oltremodo delicata». Nella sua maggioranza ci sono stati dei No. Penso al sottosegretario Mazzocca, esponente di Sinistra Italiana. «Mazzocca l'ha fatto con la civiltà che nove volte su dieci lo caratterizza». Ncd invece ha scelto il Sì. Entrerà finalmente in maggioranza? «Con Ncd, che preferisco chiamare Area popolare, abbiamo riscontrato una grande lealtà da parte dei parlamentari. E per quanto mi riguarda la vicenda democratica-istuzionale si costruisce su innovazione, dedizione e allargamento». Come vede il futuro del Pd? «Lo vedo molto improntato sulla modernizzazione. Dobbiamo essere sempre più all’altezza della sfida della modernizzazione». Che cosa intende? «Bisogna essere capaci di modernizzare l’economia, affinché diventi un’opportunità per tutti. Avendo precisi riferimenti culturali, come il tema dell’uguaglianza per quanto riguarda le opportunità di partenza, e quello della libertà. Su questi due fronti ho visto Renzi molto impegnato. Probabilmente non ha avuto tempo sufficiente. In futuro dovremo evitare votazioni ripetute a metà cammino, perché la gravidanza era ancora in atto e lui aveva bisogno di altri due anni». Renzi ha sbagliato a personalizzare il voto? «Lui non sa essere neutro e se ci avesse provato non sarebbe stato autentico. Probabilmente se avesse dedicato la sua energia anche al partito avrebbe avuto una maggiore condivisione delle sue fatiche. Personalmente ritengo che l’Italia abbia ancora bisogno di lui».

Ora i dossier economici rischiano di fermarsi. Con il cambio di governo l’Abruzzo perde riferimenti importanti a Palazzo Chigi da De Vincenti a Delrio. In ballo Masterplan, riforma portuale, piano industriale

PESCARA Un’agenda sconvolta. Appuntamenti da ridefinire, dossier da riaprire, programmi da ritoccare. Soprattutto la rubrica telefonica da rinnovare. La vittoria del No al referendum del 4 dicembre è un’incognita per il presidente della Regione Luciano D’Alfonso e per i suoi assessori. Altera la rete di relazioni costruita in oltre due anni di esecutivo. Chiude strade già aperte. Rimette in discussione progetti avviati, poiché, dopo il via del Parlamento alla manovra venerdì e le successive dimissioni del premier Matteo Renzi, cambia lo scenario nazionale su cui finora si è mosso tanto agevolmente il governatore. Da venerdì le strade e le piazze romane saranno le stesse, ma cambieranno gli interlocutori. Cosa potrà rispondere un premier tecnico alle sollecitazioni del governatore? E quale ascolto troverà in un futuro governo che difficilmente D’Alfonso potrà prendere, non solo figurativamente, a braccetto? «Ora sarà il presidente Mattarella a tracciare il percorso istituzionale da seguire», ha scritto il governatore in una sofferta nota diffusa all’indomani del voto. Probabilmente non ci sarà più l’interlocutore chiave di D’Alfonso a Roma: il sottosegretario Claudio De Vincenti che in campagna elettorale si è fatto vedere due volte in Abruzzo. La prima il 20 novembre per la presentazione dei progetti finanziati dal Masteplan nella provincia di Chieti. la seconda volta a Pescara il 26 novembre per la presentazione della Carta di Pescara, il patto tra Regione e imprese ecosostenibili, per il quale il sottosegretario ha avuto parole di grande elogio, promettendo di farne un modello per le altre Regioni e per sino per l’Europa. «Una sfida da giocare insieme, da vincere insieme», aveva detto De Vincenti. Ma ora? Sul Patto, una creatura più che di D’Alfonso, del vicepresidente e assessore alle Attività produttive Giovanni Lolli, la Regione ha puntato molto per rilanciare l’industria abruzzese. Vedremo se la giunta avrà la stessa forza senza l’attuale interlocutore a palazzo Chigi, visto che la Carta tocca elementi sensibili come il sistema degli incentivi e delle premialità per i bandi europei. Stesso discorso per il Masterplan. L’agenda è complessa, perché impegna molte risorse, quasi un miliardo e mezzo su un arco di sette anni. La sua attuazione avrebbe certamente scavallato il governo attuale. Ma mettere in pista il Masterplan con un cambio così repentino di governance nazionale non sarà facile. Ieri D’Alfonso ha riunito all’ex Aurum di Pescara tutti i 77 soggetti attuatori dei progetti del Masterplan invitandoli perentoriamente a «uccidere il fattore ritardo», nella pubblicazione delle gare. «Occorre superare la logica duale Regione-Soggetti attuatori» ha evidenziato il presidente «attraverso un patto collaborativo che dovrà vedere gli uffici ed i funzionari della Regione moltiplicare le forze, ad esempio, per favorire il completamento degli adempimenti burocratici da parte degli enti attuatori ed evitare di assumere atteggiamenti di chiusura o di melina. Questo varrà, a maggior ragione», ha proseguito «nella fase in cui sarà coinvolta l'impresa contraente ed è un modus operandi cui dovranno uniformarsi tutti i soggetti della filiera della Pubblica amministrazione. Ciascuno dovrà essere sorgente di soluzione». È evidente la preoccupazione che in un momento di disattenzione della politica, impegnata in un difficile passaggio istituzionale, possa prendere forza l’inerzia della burocrazia. In questo senso potrebbe pesare negativamente un allentamento dei rapporti con Roma. A D’Alfonso mancherà anche il ministro delle Attività produttive Claudio Calenda. Che il governatore è riuscito a coinvolgere persino nella serata di chiusura di campagna elettorale il 2 dicembre, dopo una giornata passata a parlare con gli imprenditori abruzzesi del piano industriale del governo. Altro interlocutore centrale per D’Alfonso, e destinato ad allontanarsi o a cambiare funzione, è il ministro delle Infrastrutture Graziano Delrio. Con lui il governatore ha in corso un braccio di ferro per il trasferimento dei porti di Pescara e Ortona dall’Autorità portuale di Ancona a quella di Civitavecchia. Un progetto che poggia su un’idea semplice ma decisiva per lo sviluppo della portualità abruzzese: creare un collegamento logistico Tirreno Adriatico per dare ulteriore impulso ai tre scali e in particolare a quelli abruzzesi. Delrio in un primo momento ha frenato su questa richiesta, attenendosi alla lettera del decreto, perché non voleva sconvolgere una riforma (che prevede la semplificazione e riduzione di numero delle Autorità portuali) approvata con fatica e con molti mal di pancia, soprattutto da parte delle regioni Campania e Liguria. Ma negli ultimi tempi il ministro è sembrato più accondiscendente e ha promesso di riaprire il discorso in sede di approvazione del regolamento attuativo della riforma. Sarà però, con tutta probabilità, un altro ministro ad occuparsi del dossier. Manifesterà la stessa apertura? Nel frattempo da Ancona il nuovo presidente dell’Autorità di sistema portuale Rodolfo Giampieri rassicura gli abruzzesi: «Per Ancona i porti di Pescara e Ortona sono strategici, sono un valore aggiunto». Infine c’è Matteo Renzi. D’Alfonso è il presidente di Regione più vicino al premier dimissionario. Persino più del presidente della Campania Vincenzo De Luca, la cui vicinanza al premier è fatta di nervi e di tattica più che di cuore e di strategia come è per D’Alfonso. Renzi nella breve-lunga vita del governo è venuto tre volte in Abruzzo. Dove ha soprattutto firmato il Masterplan. Certo, il criterio della continuità amministrativa tra governi dovrebbe essere una garanzia. Ma in politica, come ha dimostrato il caso Roma, l’interpretazione delle regole può essere molto lasca.

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