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Pescara, 25/07/2024
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Data: 06/12/2016
Testata giornalistica: Il Centro
Il sindaco: non mi dimetto. Il Pd decida se ricandidarmi. Alessandrini dopo il voto: «Nessun legame tra referendum e governo della città. Non mi sento tradito dai pescaresi, ma il No rappresenta un’occasione mancata»

PESCARA Non è un sindaco giù di corda, anche se, in teoria, con la vittoria del Sì al referendum dell’altro ieri, sarebbe potuto diventare senatore. Marco Alessandrini è probabilmente un senatore mancato, ma nella sua stanza, in Comune, non sembra turbato più di tanto neanche di fronte alla richiesta, di alcune parti politiche, di dimissioni, vista l’onda d’urto del No, che ha travolto governo e maggioranza di centrosinistra. Più o meno la stessa che regge la giunta regionale e l’amministrazione comunale di Pescara. Sindaco, alcuni esponenti politici regionali, come Maurizio Acerbo, di Rifondazione comunista, hanno chiesto una riflessione politica, sia a lei sia al presidente della Regione, Luciano D’Alfonso, dopo la debâcle elettorale. Insomma, le dimissioni. Fra un voto referendario e gli assetti del governo cittadino, non c’è alcun legame. Se così fosse, si dovrebbero dimettere tutti i sindaci del Pd, o comunque tutti quei sindaci che si sono espressi per il Sì. Penso, ad esempio, al sindaco di Verona, Flavio Tosi. Però, non si può far finta di nulla. No, non facciamo finta di nulla. Il disagio c’è e lo si avverte, anche perché io personalmente mi sono speso affinché si affermasse il Sì. Però andrò avanti. Altro discorso è per il presidente del Consiglio dei ministri, Renzi, che, ormai, non poteva rimanere più a palazzo Chigi. Non poteva rimanervi, così come ha fatto Cameron, dopo l’esito del referendum sulla Brexit. Lei, fra due anni e mezzo, alla scadenza del suo mandato, che cosa farà? Qual è il suo destino politico? Il mio destino è irrilevante e non conta nulla di fronte a quello collettivo. E poi non ho la sfera di cristallo. Quello che farò, sarà di rimettere tutto nelle mani del mio partito, di mettermi a disposizione di esso. Forse una punta di fastidio in più, domenica sera, lei l’avrà avvertita in quanto non sarà più senatore, come sarebbe stato plausibile, se fosse stata approvata la legge di riforma. Assolutamente no, nessun fastidio. E poi non è detto che sarei stato io. Certo, Pescara è la città più rilevante della regione, ma, tuttavia, ripeto, non si sa se sarei stato io il senatore scelto per l’Abruzzo. Ad ogni modo, io continuo a lavorare con Roma, e, aggiungo, ho già tanti impegni adesso. Sono pieno di incarichi. E per quanto riguarda il voto locale, quello pescarese, si sente tradito? Solo il 37% circa ha detto Sì al referendum. Non mi sento per niente tradito. Quello di Pescara è un dato in linea con quello nazionale, anzi più basso di quello nazionale, che si è attestato sul 40%. Insomma, lo zoccolo duro dell’elettorato di centrosinistra è rimasto, dice lei. Ma in generale, che idea s’è fatto sul voto di domenica? Questo è un voto che non mi rende ottimista, poiché, per esempio, ci sarà anche una legge elettorale da affrontare e non la vedo facile. Inoltre, credo che la vittoria del No rappresenti un’occasione mancata, perché non ce ne sarà un’altra.



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