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Pescara, 25/07/2024
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Data: 10/12/2016
Testata giornalistica: Il Messaggero
Crisi di governo - C'è la carta Gentiloni E tavolo bipartisan sulla legge elettorale. Renzi si chiama fuori: adesso congresso Pd. I 5Stelle: elezioni subito Il timore di una riforma elettorale «truccata»

ROMA «La feccia da spazzare via», come sobriamente il deputato grillino Gianluca Vacca definisce le numerose delegazioni dei partiti che ieri sono sfilate al Quirinale, di fatto si sono tutte arrese all'esigenza di fare un legge elettorale prima di andare al voto. Per la verità con la maggior parte di esse Sergio Mattarella ha dovuto faticare molto poco. A sentire Rocco Buttiglione (Udc) prima di avviare ogni trattativa sulla legge elettorale «occorre una fase di decantazione», mentre per Mario Ferrara (Gal) il confronto va avviato, «per lealtà» solo dopo il pronunciamento della Consulta. Dopo il colloquio con il Capo dello Stato persino l'agguerrita Giorgia Meloni (FdI), sembra rassegnarsi quando accusa Renzi di «averci portato nel pantano in cui ci troviamo ora».

URGENZE E dalla palude, sostiene Lorenzo Dellai (Ds) è difficile si possa uscire con un «governo-yogurt» che nasce con la scadenza incorporata. Viste le urgenze e gli appuntamenti importanti, a cominciare dal decreto-banche per finire al G7 di Taormina, il governo a tempo, o ad ore non sembra una soluzione autorevole e su questo contano coloro che - al di là delle dichiarazioni - puntano ad arrivare il più possibile avanti con la legislatura. Quindi altro governo «per durare» e magari arrivare sino alla scadenza che, dopotutto, non è molto in là. Le soluzioni non mancano e ieri Matteo Renzi le ha plasticamente indicate incontrando di prima mattina a palazzo Chigi i due principali papabili: Paolo Gentiloni e Piercarlo Padoan. Per rendere ancora più evidente il possibile passaggio di testimone - o forse la personale preferenza - nel pomeriggio ne ha incontrato uno solo. Ovvero il ministro degli Esteri Gentiloni che è tornato a palazzo Chigi mentre dal secondo piano iniziava il trasloco degli scatoloni.
La possibilità che la delegazione del Pd proponga oggi al Capo dello Stato, dopo aver preso atto che non c'è il governo di tutti, il nome del ministro degli Esteri, è divenuta ieri via via sempre più concreta sino all'incontro notturno a palazzo Chigi tra Renzi e Dario Franceschini. Quest'ultimo sospettato dai renziani di trattare alle spalle del premier. Si profila, quindi, una soluzione in tempi brevi (dovuta anche all'emergenza Mps), con la possibilità che il capo dello Stato, una volta fatta la scelta tra Gentiloni e Padoan, dia domenica l'incarico al nuovo premier in modo possa partecipare giovedì al consiglio europeo.
Mentre il governo di tutti, proposto dal Pd, non ha guadagnato adepti lasciando in bianco il foglio del capo dello Stato, a comporre l'altra maggioranza - quella che dovrà mettere insieme una nuova legge elettorale - si sono detti disponibili più o meno tutti. Compresi Lega e FdI, malgrado l'abbiano fatta un po' facile sostenendo che «si potrebbe fare in un giorno».

SPINA Dalla «disponibilità» a sedersi al tavolo, e comporre l'altra maggioranza però ce ne vuole e occorrerà attendere la giornata di oggi dove sfileranno al Quirinale le delegazioni dei partiti più grandi. In attesa delle dichiarazioni si può ragionevolmente pensare che ad aggiungersi alla maggioranza di governo (di fatto identica a quella che ha sostenuto per tre anni il governo Renzi), in modo da realizzare una legge elettorale il più possibile condivisa, sarà Silvio Berlusconi che oggi guiderà la delegazione di Forza Italia. Il Cavaliere non vede l'ora di tornare ad essere indispensabile anche se la trattativa la vuole avviare solo dopo la sentenza della Consulta prevista per fine gennaio.
FI potrebbe tirarsi dietro anche la Lega - sentite ieri anche le parole del vicesegretario Giorgetti - e al tavolo, seppur con qualche distinguo, potrebbe starci anche Sinistra Italiana di Scotto e De Petris. Speranze perse, invece, per i grillini che non intendono trattare anche perché di fatto diffidano di tutti i sistemi elettorali.
E' probabile che prima della scelta definitiva, e quindi dell'incarico, Mattarella incontrerà di nuovo Matteo Renzi che per tutta la giornata di ieri si è interrogato sull'opportunità di cedere il passo ad un governo al quale non sarà facile staccare la spina mentre la trattativa sulla legge elettorale avrà tempi non certo brevi. C'è però da tenere conto che il governo che nascerà avrà di fatto un unico scopo: fare la legge elettorale e portare il Paese al voto. Una ragione sociale, quella del possibile futuro governo, che lo stesso Mattarella espliciterà a conclusione della crisi, richiamando tutte le forze politiche alle proprie responsabilità.

Renzi si chiama fuori: adesso congresso Pd

ROMA «Sono due le ipotesi più probabili, Gentiloni e Padoan. buone candidature entrambe, non ce n'è una migliore dell'altra». A sera, dopo una giornata trascorsa a palazzo Chigi «a fare scatoloni», Matteo Renzi si chiama fuori una volta di più dalla partita per il nuovo governo. Non vuole assolutamente, il presidente del Consiglio dimissionario, essere tirato dentro al toto-premier. Eppure tra i suoi, a cominciare da Luca Lotti e da Maria Elena Boschi che hanno trascorso la giornata al suo fianco, c'è chi spinge per il reincarico o il rinvio alle Camere. E Renzi, forse più per garbo istituzionale che per convinzione, non chiude del tutto la porta: «Aspetto quel che deciderà il presidente della Repubblica», confida, «non intendo mancargli di rispetto». Insomma, la partita non è completamente chiusa. E se Sergio Mattarella gli chiedesse di restare, il segretario del Pd potrebbe accettare.
Quel che è certo è che il premier dimissionario, scatoloni a parte, sta davvero preparando la successione. Ha trascorso la giornata con chi probabilmente prenderà il suo posto. Ha visto Padoan per parlare del no (non ufficiale) della Bce alla proroga della ricapitalizzazione di Monte dei Paschi. Ha discusso sempre con il ministro dell'Economia del possibile decreto per salvare i risparmiatori che hanno sottoscritto obbligazioni subordinate. Soprattutto ha visto per ben due volte Gentiloni: al mattino e nel tardo pomeriggio, per quello che secondo molti è un anticipo del passaggio di consegne che potrebbe avvenire già lunedì.

LA SCELTA DEMOCRAT Questa sera al Quirinale la delegazione del Pd, guidata dai capigruppo Ettore Rosato e Luigi Zanda e dal vicesegretario Lorenzo Guerini, andrà a proporre il «governo di tutti». Ma siccome questo governo lo vuole soltanto il Pd, è molto probabile che Mattarella arrivi subito al sodo e chieda alla delegazione democrat di fare il nome del candidato premier. «E il nome che faremo, visto che non ci mettiamo di traverso e siamo responsabilmente consapevoli che il Paese un governo lo deve avere», dice uno della delegazione, «sarà quello di Gentiloni. Ma non è escluso che, vista la delicata situazione delle banche, alla fine il capo dello Stato non preferisca lavorare sull'ipotesi-Padoan».
La prima opzione, quella di Gentiloni, appare la più gradita a Renzi. Primo, perché «è un amico fedele e uno che non ha correnti...», dicono nel Giglio Magico. Secondo, perché con lui «tutto a palazzo Chigi resterebbe così com'è, o quasi». Soprattutto resterebbe Lotti sottosegretario alla presidenza del Consiglio, incaricato di preparare l'infornata di nomine dei prossimi mesi. In più, Gentiloni «sarebbe ottimo per celebrare i trattati di Roma del 25 marzo e per ospitare il G7 di Taormina a fine maggio». Ma anche Padoan non manca di appeal. Sarebbe «ottimo per tranquillizzare mercati e cancellerie europee» e permetterebbe a Renzi, nella sua road map verso le elezioni, di assumere atteggiamenti corsari e...popolari, non dovendo scontare con il ministro dell'Economia debiti di antica amicizia. In ogni caso, «il nuovo premier resterà al governo fino a giugno», ha fatto sapere il segretario dem.
Un timing che varrebbe anche per Renzi, se dovesse cedere alla moral suasion di Mattarella che ancora considera la permanenza del premier uscente la «soluzione più semplice». Sembra infatti tramontata l'idea di andare alle elezioni a stretto giro di posta: i tempi per la costruzione di una nuova legge elettorale si annunciano tutt'altro che brevi.

«DECISO ALL'ADDIO» Ma il segretario, ormai, sembra davvero orientato all'addio. Certo, sottolinea la sua diversità: «Sarò il primo nella storia della Repubblica a lasciare dopo aver preso 173 sì alla fiducia». Certo, ripete: «Si deve votare presto». Ma allo stesso tempo si è già gettato a capofitto nella «ricostruzione del partito». Tant'è che in serata ha incontrato Dario Franceschini, che aveva sospettato di complottare con Silvio Berlusconi per prendersi palazzo Chigi. «L'incontro è andato molto bene, ci siamo chiariti dopo i veleni filtrati nei giorni scorsi», ha fatto sapere il ministro della Cultura. E i renziani hanno confermato: «Incomprensioni superate, nel Pd si fa gioco di squadra per risolvere la crisi».
Nel faccia a faccia durato circa un'ora, Renzi ha anche comunicato a Franceschini la candidatura di Gentiloni a premier. E, siglando una tregua, ha illustrato la road map che ha in testa: lunedì, dopo che domenica (salvo sorprese) Mattarella avrà incaricato Gentiloni, si riunirà la Direzione del Pd per ratificare la decisione. Poi, domenica prossima, verrà celebrata l'Assemblea nazionale. Obiettivo: aprire la stagione congressuale. «Sarà tutto molto veloce», spiegano a palazzo Chigi, «già a metà marzo, per sancire la nuova investitura e legittimazione popolare di Matteo a segretario e candidato premier, si svolgeranno le primarie aperte». L'ultimo aggettivo non è casuale: con le primarie allargate ai non iscritti «Renzi vincerà a mani basse».

I 5Stelle: elezioni subito Il timore di una riforma elettorale «truccata»

ROMA «Gentiloni premier? Un Avatar di Renzi», dice Luigi Di Maio. «Per noi qualsiasi nome va bene purché si vada a votare nel più breve tempo possibile. Anche il Renzi-bis, per dire, andrebbe benissimo», aggiunge Danilo Toninelli che non fa preferenze e anticipa quello che oggi i capigruppo di Camera e Senato Giulia Grillo e Andrea Gaetti ripeteranno al presidente della Repubblica. L'altra opzione, ipotizzata da Manlio Di Stefano, è che l'attuale governo resti in carica per l'ordinaria amministrazione fino al 24 gennaio, giorno in cui sullo stallo piomberebbe il verdetto della Consulta.
«Aspettiamo la sentenza e poi andiamo a votare», ripetono a mo' di mantra gli esponenti grillini. Sì, ma come? Applicando un Italicum corretto anche al Senato? Recependo nell'attuale legge le eventuali correzioni? Interrogativi che restano sospesi. Salvo sorprese, intanto, la delegazione in Quirinale sarà formata oggi solo dai due capigruppo. Beppe Grillo non ci sarà e neanche Casaleggio jr.

FICO IN CAMPO Nell'assemblea che si è tenuta ieri tra deputati e senatori si è parlato anche d'altro. Della leadership, ad esempio, del nome da contrapporre a Luigi Di Maio nella sfida online, nome che potrebbe essere quello di Roberto Fico, presidente della commissione di Vigilanza Rai. E si è parlato della piazze. «Comunque vada noi torneremo a frequentarle, il voto è un diritto che non ci può essere negato», spiega ancora Toninelli, deputato M5S, molto ascoltatoquando si parla di sistemi elettorali.
La questione interna che tiene banco resta, però, la formazione della squadra di governo. Scelta che passerà attraverso il web con modalità ancora a stabilire. «Mentre loro pensano agli inciuci di Palazzo noi oggi iniziamo a discutere il programma di governo non con Pd, Berlusconi, Salvini o chissà chi... ma con la base del Movimento», si gonfia il petto sui social il senatore Nicola Morra. Ma il problema resta. Si lavora per stendere il programma e non farsi trovare impreparati - caso Raggi docet - da eventuali elezioni anticipate. Perciò nell'incontro di ieri molti hanno espresso l'esigenza di dotarsi di un piano B: cosa fare nel caso in cui gli altri partiti dovessero dotarsi di un sistema elettorale ante-cinquestellum?. Una questione che rimane aperta. E mentre sul blog di casa-Grillo continuano gli attacchi sistematici all'Anci, l'associazione nazionale dei sindaci che avrebbe, parafrasando Mourinho, ottenuto finora «zero tituli» nella trattativa con il governo, l'attualità ripropone il nodo Monte Paschi e l'impatto che potrebbe avere sul governo. «Può essere salvata - scrive su Facebook Giulia Grillo - solo da un aiuto dello Stato, in modo da non applicare il bail-in ai piccoli risparmiatori». Da qui la richiesta di «applicare l'articolo 47 della Costituzione» e «battere i pugni sul tavolo a Bruxelles, come hanno fatto altri paesi come Francia e Spagna fregandosene dei problemi sul deficit».

LA FECCIA La palma del commento, per così dire, meno british è andata infine al deputato Gianluca Vacca. In un post sul suo profilo Facebook ha definito le delegazioni dei gruppi minori che ieri hanno incontrato Mattarella in Quirinale Ppa, Ci, Al-P, Fare!-Pri, Des-Cd,Mpi,Svp,Uv,Upt,Cr, «feccia da spazzare via». O anche, variazione sullo stesso tema: «Immondizia che infesta ancora il nostro Parlamento».

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