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Data: 12/12/2016
Testata giornalistica: Il Messaggero
Sfida sui ministri Minniti al Viminale Alfano agli Esteri

ROMA Nel tunnel delle consultazioni Paolo Gentiloni si è infilato per dare il senso della necessità di un cambio di clima che archivi le fratture della campagna elettorale sia nel Pd che con gli altri partiti. Incontri che hanno coinvolto, ieri e oggi, tutte le forze politiche. Lega e M5S si sono sfilate ma la mano tesa resta e riprende gli auspici del presidente della Repubblica.
POTERI La crisi di governo è stata archiviata in tempo di record malgrado il Parlamento abbia offerto al Paese un'immagine oltremodo frammentata con ventitre delegazioni salite al Quirinale. Una polverizzazione che spetterebbe alla nuova legge elettorale cercare di correggere, ammesso che ci si riesca. Il compito di Sergio Mattarella si è concluso ieri, anche se ora attende la lista dei ministri che probabilmente nel pomeriggio di oggi gli porterà il premier incaricato. Il profilo di politico di lungo corso, lo standing internazionale acquisito nei due anni alla Farnesina e la forte disponibilità al dialogo e alla mediazione - caratteristiche peculiari di Gentiloni - hanno convinto il Quirinale sulla scelta. Mattarella, così come pubblicamente ha fatto lo stesso premier incaricato, ha apprezzato «il senso di responsabilità mostrato dal Pd e soprattutto da Renzi» nel volersi assumere il compito di sostenere un governo malgrado avessero chiesto una maggioranza più ampia della precedente.
In realtà, numeri alla mano, la maggioranza si amplia con l'ingresso a pieno titolo del gruppo di Denis Verdini, anche se Gentiloni resiste e non vorrebbe mutare gli equilibri nel governo facendo peraltro entrare in Consiglio dei ministri l'esponente di un partito che la minoranza del Pd ha sempre contestato. Qualche problema per il premier incaricato potrebbe arrivare proprio da lì visto che Ala anche ieri, durante l'incontro con Gentiloni, ha chiesto un riconoscimento formale e un posto di ministro. Non c'è però solo da accontentare il gruppo verdiniano, ma anche la necessità di dare il segno di un cambio di rotta, seppure nella continuità, con il precedente esecutivo. E' probabile quindi che oggi pomeriggio, quando Gentiloni salirà al Quirinale, molte delle caselle verranno spostate e che il futuro esecutivo risulti solo in parte fotocopia dell'attuale. La prima novità arriverà al ministero degli Esteri che Gentiloni lascia libero e che dovrebbe passare all'attuale ministro dell'Interno Angelino Alfano. Proprio quest'ultimo ha chiesto che la gestione del fronte immigrazione, e il connesso problema dello smistamento non ancora risolto a livello dei Comuni, venga affrontata ora da un esponente del Pd. Alfano seguirà il dossier sul fronte internazionale, dopo aver gestito quello delle frontiere interne. Avanza così la soluzione di Marco Minniti la cui attuale delega ai servizi, da sottosegretario alla presidenza del Consiglio, andrebbe al sottosegretario, e fedelissimo di Renzi, Luca Lotti che resterebbe come un riferimento importante per l'ex premier, anche alla luce del corposo pacchetto di nomine che è in vista.

EQUILIBRI Cambi sono in vista anche in altri ministeri di peso. Sembra resistere il ministro del Lavoro e padre del Jobs act Giuliano Poletti anche se fortemente insidiato da Teresa Bellanova. I Rapporti con il Parlamento, attualmente della Boschi, potrebbero andare a Anna Finocchiaro, presidente della Commissione Affari Costituzionali del Senato. Restano ai loro posti i ministri Orlando (Giustizia), Franceschini (Cultura) e Martina (Agricoltura). Fuori discussione è sempre stato il ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan. Con la conferma al governo di Alfano sembra destinata a restare intatta tutta la pattuglia del Nuovo Centrodestra. Al suo posto verrà confermata Beatrice Lorenzin, malgrado i non idilliaci rapporti con Ala, e il ministro Enrico Costa (Affari regionali). Non dovrebbero esserci novità anche al ministero dell'Ambiente dove resiste Galletti anche se insidiato da Ermete Realacci.
Destinata a lasciare è invece il ministro alla Pubblica Istruzione. Stefania Giannini paga la riforma della scuola non gradita dagli insegnanti, malgrado sia riuscita ad ottenere una delle più massicce regolarizzazioni di precari. Al suo posto, dopo la rinuncia di Gianni Cuperlo, Marco Rossi Doria, ex sottosegretario all'Istruzione nei governi Monti e Letta e molto vicino all'ex sindaco di Milano Pisapia. Con l'ex maestro di strada Gentiloni pensa di ricucire lo strappo interno al Pd con un nome che non appartiene certamente all'area della maggioranza che guida il partito. Resiste anche l'attuale ministro alla Funzione Pubblica Marianna Madia, anche se i verdiniani vorrebbero quel ministero per uno di loro. Svanita la possibilità di riportare al governo Saverio Romano, la pattuglia di Ala punta su Riccardo Mazzoni, senatore di Prato e su Enrico Zanetti, attuale vice ministro all'Economia.
Ministeri in più non sembrano profilarsi all'orizzonte anche se circola l'idea di creare un nuovo dicastero con delega esclusiva per il Mezzogiorno.
Se Gentiloni dovesse spuntarla lasciando il gruppo di Ala fuori dalla porta del Consiglio dei ministri, al momento del voto di fiducia previsto per mercoledì, qualche brivido potrebbero esserci specie a palazzo Madama. Difficile però che il gruppo di Verdini possa decidere di votare contro e, in questo modo, porre fine alla legislatura.

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