ROMA Affilano le armi, preparano le contromosse per «tagliare l'erba sotto i piedi» al governo Gentiloni. Una grande manifestazione prima che la Consulta si pronunci sulla legge elettorale. E subito, tanto per gradire, un flash mob con cittadini e parlamentari grillini, in una piazza per ora non meglio precisata. «Sarà il nostro carburante per andare presto alle elezioni e vincerle», profetizzano, pronti a far scattare il conto alla rovescia.
Giulia Grillo, capogruppo M5S alla Camera, boccia i nuovi ministri elencandoli quasi uno ad uno. Ma a dare la carica è sempre lui, Beppe Grillo di scena ieri sera al teatro Politeama di Genova. Un appello tra palco e realtà per chiamare a raccolta il suo popolo. Con le consuete modalità pacifiche, s'intende.
RISCHIO FLOP
Resta in vigore nella grammatica del Movimento la distinzione tra noie loro. Loro che «continuano con le consultazioni con i loro riti tristi, triti e ritriti, con le loro sceneggiate». Noi che compariremo in una piazza d'Italia (Genova, ndr? ) e terremo lì una seduta parlamentare: un flash mob per la democrazia dove a parlare e ad essere ascoltati saranno i cittadini». Dal flash mob a un nuovo tsunami tour il passo è breve «il nostro momento sta arrivando».
Fin qui, dicevamo il post del fondatore. Tre squilli di tromba. Nella realtà però le cose sono un tantino più complicate. Nei richiami continui ma imprecisati alla piazza si legge la preoccupazione che riempirle senza «la partecipazione straordinaria» di Beppe non sarà così semplice. Il rischio del flop - e non sarebbe la prima volta - ridimensiona le aspettative. Senza dire che la grande adunata, fissata prima del 24 gennaio, giorno in cui arriverà il verdetto della Consulta, potrebbe apparire come una voglia di condizionare i giudici costituzionali. Una forzatura, si è fatto notare nelle assemblee grilline, estranea ai metodi del M5S. Da qui la proposta alternativa di posticipare la manifestazione, una linea che non ha prevalso.
Nelle due posizioni si riflette la spaccatura presente nel Movimento, le «visioni differenti» di cui ha parlato Di Maio ammettendo le divisioni. Tra quanti spingono per andare al voto «senza perdere un secondo». E quanti invece vogliono sì andare alle urne ma in modo ponderato e disciplinato. Cioè con un programma scritto e approvato dal web e una squadra di governo già pronta. Nella prima si riconoscono Roberto Fico e Alessandro Di Battista. Entrambi, soprattutto il primo, radicati nel Movimento e nella Rete. Nella seconda si identifica Luigi Di Maio, al di là dei proclami, più attendista e riflessivo dei suoi possibili competitor.
LA PARTITA INTERNA
Il vicepresidente della Camera è convinto che il nuovo governo, se dovesse durare troppo a lungo, si logorerà da solo, non reggerà l'urto della protesta. Sicuro che loro «saranno costretti a mollare». E che, se noi «chiederemo ogni giorno nuove elezioni», loro «si scaveranno la fossa».
La partita interna si gioca dentro questi temi. Dietro ai quali si cela la sfida per la leadership. L'unico che sembra in grado di contrastare l'ascesa di Di Maio resta Roberto Fico, incarnazione del grillino doc, leader incontaminato, refrattario alle sirene del potere. In questo alone di purezza, i protagonismi di Di Maio vengono considerati un corpo estraneo. Ma non si risparmiano critiche anche a Dibba troppo sensibile al fascino delle telecamere e alla ricerca di continui pernsonalissimi bagni di folla. Dietro le quinte gli si rimprovera nersino la scelta di aver pubblicato il suo libro (A testa in su) con un editore sgradito al palato del popolo pentastellato. Chi lavora al programma è Danilo Toninelli, Tra gli obiettivi annunciati l'abolizione del Cnel. Per ironia della sorte sopravvissuto grazia al No al referendum.