Iscriviti OnLine
 

Pescara, 25/07/2024
Visitatore n. 738.563



Data: 14/12/2016
Testata giornalistica: Il Centro
Gentiloni incassa il voto di fiducia I 5 Stelle disertano la seduta. Via libera della Camera con 368 sì e 105 no. Il premier: «Resto in carica finché ho i numeri». Attacco al Movimento di Grillo: «Basta con l’asprezza dei toni, il Parlamento non è un social network»

ROMA «Il governo dura fin quando ha la fiducia del Parlamento». Sono le prime parole che il nuovo premier Gentiloni ha pronunciato alla Camera durante il suo discorso programmatico con il quale ha chiesto la fiducia. Fiducia passata con 368 sì e 105 no. Il clima a Montecitorio è un po’ sottotono, i banchi di M5S, Ala Fdi e Lega, sono deserti o quasi. Ai 5 Stelle e alla Lega, che annunciano l’Aventino e non partecipano al voto, il premier ricorda che il governo di responsabilità è nato dopo la loro indisponibilità a farne parte e poi elogia il lavoro fatto da Matteo Renzi: «Il mio governo nasce in un contesto nuovo creato dalla bocciatura del referendum e dalla scelta di dimettersi di Renzi. Questa scelta non era obbligata ma averla compiuta è un atto di coerenza a cui tutti gli italiani dovrebbero guardare con rispetto». Nel primo intervento si sente solo un applauso ed è stato quando Gentiloni ha parlato della necessità di rasserenare il clima politico, intossicato dai toni accesi della campagna referendaria. «C’è bisogno di una discontinuità, almeno nel confronto pubblico. Credo che ne avremo molto bisogno e questo sarà uno dei miei impegni personali. Il governo non si rivolgerà a quelli del Sì contro quelli del No, si rivolgerà a tutti i cittadini, si basa su una maggioranza, rispetta le opposizioni e chiede rispetto per le istituzioni». Poi, in sede di replica, Gentiloni alza il tono della voce e attacca i deputati di M5S che hanno disertato l’Aula: «Se c’è stata una cosa davvero bella di questi mesi di campagna referendaria è stata una discussione pubblica sulla Costituzione. Ora non si può fare che la discussione svanisca nel nulla e la Costituzione venga dimenticata. Abbiamo i super paladini della centralità del Parlamento che nel momento più importante della vita parlamentare non ci sono. Vi sembra logico. Vogliamo talmente bene al Parlamento che non ci andiamo» ironizza il premier, che subito dopo fa partire il colpo: «Basta con l’asprezza dei toni e la violenza politica. Il Parlamento non è un social network, contribuiamo a rasserenare il clima nel nostro paese». Quel che è certo è che il governo Gentiloni nasce nel segno della continuità. E delineati i confini, il profilo e il carattere del suo esecutivo, il premier ripete che la legge elettorale dovrà essere riformata dal «Parlamento» e poi stila il suo programma. La «prima priorità» è senz’altro l’intervento nelle zone colpite dal terremoto «dalla ricostruzione al programma a lungo termine chiamato Casa Italia». Poi la politica estera. Quando giovedì giungerà Bruxelles per il suo primo consiglio Ue da presidente del consiglio, Gentiloni spiegherà ai partner europei che la loro politica sui migranti «non è accettabile». E poi il lavoro. «All’agenda vorrei aggiungere grandi questioni su cui non abbiamo dato risposte sufficienti. Innanzitutto i problemi che riguardano la parte più disagiata della nostra classe media, partite Iva e lavoro dipendente, che devono essere al centro dei nostri sforzi per far ripartire l'economia. La priorità sarà lavoro, lavoro, lavoro». Sull’economia Gentiloni è cautamente ottimista, spiega che l’Italia ha un’economia «forte» e, a proposito delle banche, assicura che il governo è «pronto a intervenire per garantire la stabilità degli istituti e i risparmi dei cittadini». L’Aula è semivuota, ma i pochi deputati leghisti cercano di animarla con un grande striscione con su scritto “La sovranità appartiene al popolo” che sottolinea la chiusura dell’intervento del loro capogruppo Fedriga. Stessa scena anche quando parla la capogruppo di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni. Questa volta non uno striscione ma cartelli con su scritto «Al voto ora». «Questi signori se ne fregano del risultato del referendum. Gli italiani vi hanno mandato a casa ma voi rimanete abbarbicati alla poltrona. Mi vergogno per voi. Avete un po’ di dignità?» chiede la Meloni. La Lega, che ieri ha organizzato una manifestazione di protesta davanti a Montecitorio, non è da meno. «La sovranità appartiene al popolo non al Pd, nè tantomeno a Renzi» dice Massimiliano Fedriga. Critico anche il commento di Renato Brunetta (Fi): «La ringrazio per il tono e il fair play, al quale non eravamo più abituati. Rispetto merita rispetto. Nondimeno sento un grande malessere in quest’aula e nel paese per lo stato della nostra democrazia». A difendere Gentiloni e ad escludere la volontà di fare melina sulla legge elettorale è il capogruppo del Pd alla Camera, Ettore Rosato: «Chiediamo a tutti quelli interessati a non gridare, ma a lavorare di avanzare una proposta. Non ci vogliamo impantanare e nessuno pensi di usare la legge elettorale per far durare qualche giorno in più la legislatura».

www.filtabruzzo.it ~ cgil@filtabruzzo.it