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Data: 15/12/2016
Testata giornalistica: La Repubblica
Lavoro, pressing Pd per abolire i voucher: "O sarà un altro tutti contro Renzi". La Cgil è schierata senza mezze misure contro il governo. Non basta insomma una mano di fresco sul Jobs act per aggirare l'ostacolo: "Qui non c'è da aggiustare nulla - sostiene Landini - I voucher vanno tolti. E si deve tornare allo Statuto dei lavoratori del 1970, allargandone le tutele"

ROMA. L'ingranaggio infernale è già oliato. E ricorda da vicino quello del 4 dicembre. "Dobbiamo fare i conti con il referendum sul Jobs act - avverte Roberto Speranza - Altrimenti finiremo per spaccare il centrosinistra e dividere ancora il Pd". Tre quesiti per cancellare la riforma del lavoro targata Renzi, un'unica certezza: se non si torna alle politiche entro giugno - posticipando l'ennesima resa dei conti tra i democratici - il Pd rischia di bissare il disastro della riforma Boschi. Anche per questo, nel governo si ragiona sull'ipotesi di elezioni il 25 giugno. Una data capace di sterilizzare il passaggio referendario ed evitare che la domenica elettorale cada troppo a ridosso del G7 di maggio.

I segnali sono allarmanti. In 48 ore il fronte del No - che stavolta in realtà sceglierà il Sì, perché si tratta di abrogare il Jobs act - si è già saldato. Va dalla Fiom di Maurizio Landini a Forza Italia, passando per la sinistra dem. "Noi voteremo contro il Jobs act - giura il capogruppo di FI Renato Brunetta - Assieme alla Cgil? Certo, perché Renzi è un politico eversivo e noi stiamo con la democrazia. Stavolta però non vinceremo 60 a 40. Finirà 70 a 30 per noi". Un incubo, appunto. Dal fortino di Pontassieve, Renzi ha già messo la testa sul problema. "La rogna", lo definisce. Inutile sottolineare che l'ex premier non ha gradito per nulla la sortita di Giuliano Poletti, capace in un attimo di regalare la ribalta a un referendum che Palazzo Chigi aveva sempre cercato di ignorare.

Chi ha in mano la "rogna" è però Paolo Gentiloni. Il neo presidente del Consiglio non ha ancora stabilito la strategia, preso com'è dal tour de force di queste ore. Ma sa bene che il suo predecessore considera la riforma un fiore all'occhiello dei mille giorni di governo, ed è pronto a rivendicarla già domenica durante l'assemblea del Pd. Certo, l'esecutivo potrebbe superare lo scoglio dei voucher ritoccando la norma per decreto. Resterebbero però in piedi gli altri due quesiti. E in particolare quello sull'articolo 18. La strada è stretta: tendere la mano al mondo del lavoro almeno sui voucher - senza risolvere del tutto il problema - oppure tirare dritto, puntando tutto sulle elezioni? "Io difendo il testo attuale - fa già sapere Maurizio Sacconi, che a Palazzo Madama guida l'ala più ostile alla Cgil - Abbiamo introdotto la tracciabilità dei voucher, quindi non si toccano".

Eppure, il pressing sul governo è già partito. Uno per tutti, si è già fatto sentire Cesare Damiano, che pure con Maurizio Martina sostiene la segreteria di Renzi. "Con i referendum proposti dalla Cgil bisognerà misurarsi, non si può mettere la testa sotto la sabbia". Per il presidente della commissione Lavoro è possibile rimettere mano ai voucher. "Limitandone l'utilizzo - spiega - ai lavori occasionali". Una sua proposta di legge è già stata depositata a Montecitorio, ma il tempo stringe e non sarà facile spuntarla. "Dobbiamo intervenire - insiste Speranza, a nome della minoranza - Solo così possiamo ricompattare la nostra gente. Quando faccio volantinaggio davanti alla Fiat di Melfi, trovo una valanga di tensione contro il Pd".

Ecco la linea di frattura, la stessa della riforma Boschi. Con l'aggravante che stavolta la Cgil è schierata senza mezze misure contro il governo. Non basta insomma una mano di fresco sul Jobs act per aggirare l'ostacolo: "Qui non c'è da aggiustare nulla - sostiene Landini - I voucher vanno tolti. E si deve tornare allo Statuto dei lavoratori del 1970, allargandone le tutele". Molto presto, tra l'altro, il leader Fiom entrerà nella segreteria della Confederazione. E alzerà ancora di più il tiro. "E d'altra parte non è un caso che in 100 anni di storia la Cgil abbia raccolto soltanto una volta le firme per un referendum abrogativo: contro questa riforma".
A sinistra sembra l'ultima battaglia, insomma. Forse quella decisiva anche per la gestione del Pd, visto che un'altra sconfitta forse non garantirebbe a Renzi una rivincita. "Sarebbe morto - assicura Brunetta - E siccome non può tollerarlo, affosserà il povero Gentiloni per avvicinare le urne". Sempre al voto anticipato si torna. E allo scenario del 25 giugno 2017. Una data che permetterebbe una ragionevole
distanza dal G7 di Taormina del 26-27 maggio. Con una controindicazione: di norma non si vota in estate. Nell'esecutivo, però, hanno già lavorato d'archivio: le politiche del 1983 si svolsero il 26 giugno. Per la cronaca, Bettino Craxi conquistò Palazzo Chigi.

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