ROMA Congresso nei tempi previsti dallo statuto, mettere mano alla segreteria e, soprattutto, Mattarellum come proposta per andare al voto nel più breve tempo possibile. Durante la prima assemblea da quando si è dimesso e alla quale partecipa Paolo Gentiloni nella sua veste di premier (che però non trova una sedia sul palco perché il cerimoniale lo vuole seduto in prima fila) Matteo Renzi sveste i panni del rottamatore, evita strappi e rese dei conti e prova a ripartire dopo la sconfitta del 4 dicembre. E per farlo parte dalla legge elettorale, dal ritorno del Mattarellum. «Vogliamo giocare l’ultima possibilità di avere un sistema maggioritario o scivoliamo verso il proporzionale? Io vi propongo di andare a guardare le carte in modo esplicito sull’unica proposta che può essere realizzata in tempi brevi: è la proposta che porta il nome del presidente Sergio Mattarella. Io dico andiamo a vedere. Il Pd c’è. Lo chiedo a questa assemblea. È una proposta fatta di un articolo. Non c’è bisogno di inventarsi altro. E io lo chiedo formalmente: a Forza Italia, ai nostri alleati centristi, alla Lega Nord, alla sinistra e al M5S», dice Renzi, che vede all’orizzonte elezioni anticipate e chiede a tutte le forze politiche di convergere sul Mattarellum. In caso contrario, no a “meline”, si va col Consultellum. Una proposta che trova il favore anche della minoranza interna. Che, per questo, esce dalla sala al momento del voto, per non opporsi anche a questa indicazione della relazione del segretario. Che alla fine è stata approvata con 481 voti favorevoli, 2 contrari e 10 astenuti. Mattarellum? Lega e Fratelli d’Italia dicono sì purché si voti il più presto possibile. Resistenze vengono invece da Forza Italia e dal M5S. «Renzi rilancia una proposta di legge elettorale ormai superata per un sistema tripolare. È il Parlamento a doversi occupare delle nuove regole, senza forzature come quelle fatte dal suo governo quando pose la fiducia sull’Italicum», dice il capogruppo dei senatori forzisti, Paolo Romani. Ma a bocciare il Mattarellum è anche Beppe Grillo. «Noi vogliamo andare al voto subito, con una legge elettorale che abbia il vaglio della Consulta. Tu vuoi aprire il mercato delle vacche e allungare il brodo per discussioni infinite sulle legge elettorale? Risparmiacelo», attacca il leader pentastellato. Anche Ncd fa sentire la sua contrarietà. «Diciamo con chiarezza che per noi il Mattarellum non va bene», precisa Maurizio Lupi. Quel che è certo è che Renzi questa volta mostra un volto più dialogante, almeno nei toni. Il segretario annuncia l’inaugurazione di una «fase zen» durante la quale cercherà di evitare il corpo a corpo con gli avversari interni e dice di aver accettato i suggerimenti di chi ha chiesto di non fare del congresso il luogo dello scontro. Quanto alla sconfitta, il premier promette un’analisi ragionata: «I mille giorni del governo hanno segnato risultati che saranno raccolti in un libro, con una cornice ideologica e ideale». Poi, arriva l’analisi del voto. E il bilancio è netto: «Abbiamo straperso, anche il 41% al referendum è una sconfitta netta. Sognavo 13 milioni, ne abbiamo presi 13 e mezzo, non è bastato». Dove il Pd ha perso? «Al Sud: il nostro approccio non è stato di disinteresse, ho visitato i luoghi più difficili. Ma abbiamo sbagliato pensando fosse sufficiente una politica di investimenti e patti per il Sud senza il coinvolgimento vero di quella parte di Sud che doveva essere portata con noi in una sfida etica prima che economica» dice Renzi, che ammette di non aver saputo catalizzare il voto dei giovani. «Abbiamo perso sui 30 e 40enni, abbiamo perso in casa. Fa male, perché la nostra generazione che perde nella sua fascia di riferimento fa pensare. Perché? Rabbia? Non è una generazione arrabbiata, ma disincantata, da presidenti del consiglio indagati, presi a monetine, cresciuta col mito della semplificazione e talvolta del semplicismo. Non siamo riusciti a prenderla sul referendum. È un luogo da cui ripartire, non fisico». Renzi, insomma, riparte dal Pd e si prepara al voto con una «straordinaria campagna di idee» e un lavoro da talent scout: «Non mi vedrete fare il tour del paese con i camper. Voglio lavorare in modo meno organizzato, arrivare all’improvviso, fare l’allenatore e il talent scout di giovani. Verrò a cercarvi uno per uno, voglio stanarvi e chiedervi di darci una mano».
Le correnti: tutti pronti a riaprire i giochi. Primarie di coalizione e voto entro l’estate. Leader disponibile ad allargare la segreteria ai bersaniani
ROMA Primarie di coalizione e voto entro l’estate. È questo il percorso che ha in mente Matteo Renzi. Il premier accetta i consigli di chi lo invita a non andare al congresso subito, lanciando una «resa dei conti sulla pelle del Paese». E formalmente non annuncia le primarie in vista di eventuali elezioni anticipate. Da segretario potrebbe non farle, è lui il candidato del partito. Ma il percorso che ha in mente sarebbe proprio quello: un’investitura popolare della sua candidatura, con primarie di coalizione aperte alla sinistra dialogante che fa riferimento a Giuliano Pisapia. Intanto, per il partito Renzi ha immaginato una cura che parte da un “mea culpa” sulla segreteria: tornerà a riunirla mercoledì dopo diversi mesi e dovrebbe rafforzarla con nuovi ingressi e un rimescolamento di incarichi. Potrebbe offrire di entrare anche alla minoranza bersaniana, che non dice no a priori ma fa sapere che valuterà il progetto e le deleghe. Ma il leader Dem guarda già oltre, al lavoro da «talent scout» che farà nel Paese alla ricerca di giovani che formino la nuova prima linea Pd e alla riorganizzazione della comunicazione del partito sul web. Nessun tour in camper per lui, ma un contatto più frequente con i circoli e in giro per l’Italia. Nel Pd, intanto, le correnti che Renzi vorrebbe archiviare riaprono i giochi interni. Nella maggioranza i fedelissimi renziani mordono il freno, perché avrebbero voluto subito la resa dei conti interna (il «bazooka» evocato dopo le comunali), anche considerato che gli avversari interni non avrebbero avuto il tempo di organizzarsi. Mentre le aree che fanno capo a Dario Franceschini, Matteo Orfini e Maurizio Martina, tengono per ora, sia pure con sfumature e accenti diversi, la linea del segretario. Qualche franceschiniano, ad esempio, non è molto convinto dell’accelerazione dei tempi del voto. Quanto alla minoranza, sono già in campo Roberto Speranza ed Enrico Rossi. Ma potrebbe esserci anche Michele Emiliano (c’è chi ipotizza un ticket con Speranza, ma ancora il tema non sarebbe stato affrontato). Mentre Gianni Cuperlo tiene una linea distinta da quella dei bersaniani e una posizione a sé hanno anche gli ex civatiani di Rete Dem. Tra i tanti contendenti, però, c’è chi non esclude che possa avanzare la candidatura di un nome “esterno” alla minoranza, magari il ministro della Giustizia Andrea Orlando, che in assemblea ha pronunciato un discorso molto critico sulla linea del partito e con una nota di disappunto anche sulla proposta del Mattarellum. Comunque sia, sono convinti nella minoranza, ora il partito è contendibile, Renzi non è forte come un tempo. La prova? La relazione del segretario ha avuto 481 sì, ma i delegati di minoranza sulla carta sono circa 300, quelli di maggioranza circa 900: «Non ha votato nemmeno la metà di loro», nota un deputato.