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Data: 19/12/2016
Testata giornalistica: Il Messaggero
Ma nel partito è duello sulla data delle elezioni

ROMA Quanto la «fase Zen» di Renzi sia in grado di allungare la legislatura è tutto da vedere e il braccio di ferro continua anche se ieri, all'assemblea del Pd, è stato messo sotto traccia. Le mani nei capelli del segretario del Pd quando Giachetti, dal palco, attacca l'ex capogruppo e leader della minoranza interna Roberto Speranza, non debbono trarre in inganno. E non perché l'attuale vicepresidente della Camera parli su mandato del segretario, come sostiene la minoranza del Pd facendo torto all'intelligenza e alla storia personale dello stesso Giachetti, ma perché in questo momento un clima il più possibile unitario aiuta l'ex premier ora che deve cominciare la lunga traversata del deserto.
FASE
Quella di Berlusconi, prima della vittoria del 2011, durò più o meno tre-quattro anni, se si esclude la fase più o meno consociativa della Bicamerale. Sulla durata della traversata renziana ieri l'Assemblea del Pd si è pronunciata molto poco e non solo perché seduto sul palco c'era il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni, il cui governo sarebbe la prima vittima di un possibile scioglimento anticipato delle Camere. L'unico a parlare di «urne a primavera», non dal palco ma a margine della riunione, è stato il ministro Graziano Delrio. Per il resto silenzio da parte di tutti i big del partito. Compreso Matteo Renzi che sull'argomento si è limitato ad un pilatesco «stiamo andando al voto, non sappiamo quando e non importa». Il «nuovo corso» inaugurato ieri dall'ex premier prevede anche di non arrogarsi prerogative del Quirinale, ma è importante la proposta di sistema elettorale che Renzi fa dal palco, il Mattarellum, sottolineando - in un misto di gratitudine e malizia - che si tratta di un sistema che «porta il nome» dell'attuale inquilino del Colle.
PRIMAVERA
La proposta ha per l'ex premier vantaggi immediati: esalta la vocazione maggioritaria del Pd. Ricompatta il partito, minoranza compresa che conta anche sui tempi lunghi necessari a ridisegnare i collegi. Irrigidisce Forza Italia, che dovrebbe essere il principale interlocutore del Pd sulla legge elettorale, ma che teme di consegnare i collegi del Nord alla Lega e quelli del Centro-Sud al M5S. Innervosisce gli alleati centristi e compatta, intorno al Pd, Lega e FdI. Due partiti che invocano il Mattarellum e al tempo stesso premono, con Giorgia Meloni e Matteo Salvini, per andare a votare «subito», come d'altra parte chiedeva Renzi, prima della fase zen proposta ieri dal palco dell'Ergife.
Contrario al «bipolarismo muscolare» insito nel Mattarellum dice di essere molto critico Andrea Orlando, ma è importante che sia Dario Franceschini a considerare la proposta alla stregua di un ballon d'essai quando dice - in stile democristiano - che «sul Mattarellum non sarà facile convincere gli altri partiti». Per poi aggiungere che comunque «non dobbiamo arrenderci al proporzionale puro». Ovvero: proporre il Mattarellum è un modo per impantanare da subito la trattativa, perché è noto che in Parlamento non c'è una maggioranza per approvarlo. Al tempo stesso, sostiene Franceschini, non dobbiamo nemmeno pensare di andare a votare con il sistema elettorale che scaturirà dalla Consulta. Quanto nel partito reggerà la barricata anti-Consultellum, sistema elettorale che rappresenta - primarie comprese - l'unica polizza che ha Renzi per andare al voto sicuramente a primavera, è difficile facile previsioni. Fuori dal Pd però i sacchetti di sabbia a difesa della legislatura aumentano. Il M5S, con il caos che c'è in Campidoglio, contribuisce non poco ad uno scenario dai tempi lunghi. Da un lato i pentastellati sono ora meno certi di avere in tasca la vittoria, dall'altro nei partiti avversari cresce la convinzione che il tempo possa giocare a sfavore dei grillini.
Ragionamenti che convincono poco il segretario del Pd e ancor meno i renziani che ieri non hanno affollato il palco dell'Ergife e che avrebbero voluto una resa dei conti con la sinistra interna prima del voto. Scontro rinviato almeno fino al 24 gennaio, quando la Consulta si pronuncerà e il fronte del non voto, secondo Renzi, dovrà dare in Parlamento segnali concreti sulla legge elettorale se non vuole essere tacciato di manifesta inconsistenza.

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