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Data: 19/12/2016
Testata giornalistica: Il Messaggero
ll Pd resta di Renzi «Abbiamo straperso ora il Mattarellum». Tempi lunghi e trattative, tornare ai collegi non è facile

ROMA L'evento che due settimane fa ha terremotato il quadro politico del Paese, cioè il trionfo dei No al referendum, non viene aggirato da Matteo Renzi che, anzi, ne fa il punto centrale di una severa autocritica all'Assemblea del Pd. «Non abbiamo perso, abbiamo straperso - afferma l'ex premier -. E chi fa giri pindarici per dire che abbiamo preso un sacco di voti dice la verità, ma non dice che il 41% è una sconfitta netta». Segue il lungo elenco di quelli che, nel corso di un'analisi «spietata», il segretario dem ritiene essere stati gli errori compiuti nella campagna referendaria, tra cui «non aver saputo ascoltare abbastanza il dolore», soprattutto delle fasce più giovani e dei 30-40enni, che «per noi rappresenta una sconfitta in casa», e l'intervento nel Sud impegnativo economicamente ma «troppo centrato sul notabilato».
Tuttavia Renzi, davanti a una platea largamente solidale col leader, annuncia unl «nuovo corso» di rinnovata «attitudine all'ascolto e al coinvolgimento delle forze vive del Paese», con cui il partito andrà alle elezioni, per le quali non indica una data, ma fa capire che non potranno tardare troppo e sul punto nodale di questa scadenza, cioè la legge elettorale, rilancia il Mattarellum. Premesso che «eravamo a un passo dalla terza Repubblica e ora rischiamo di tornare alla Prima», il segretario chiede all'Assemblea: «Vogliamo l'ultima occasione di maggioritario o scivoliamo verso il proporzionale? Vi propongo di guardare l'unica proposta che ha visto vincere alternativamente il centrosinistra e il centrodestra e che porta il nome di Mattarella». Il Mattarellum, sottolinea Renzi, «è una proposta fatta di un solo articolo. Non c'è bisogno di inventarsi altro, si dovranno solo disegnare i collegi. E io lo chiedo formalmente a Forza Italia, ai nostri alleati centristi, alla Lega, alla Sinistra e ai 5 Stelle».
ALLA MINORANZA
Rivolto alla minoranza interna, che ieri ha deciso di non partecipare al voto sulla relazione del segretario (passata con 481 sì 2 no e 10 astenuti) per non votare contro la proposta di Mattarellum condivisa da Bersani e compagni, Renzi ha attenuato i toni sulla «resa dei conti» che avrebbe avuto luogo in un congresso a ridosso delle tensioni del referendum: «Ho pensato subito che il congresso sarebbe stata la scelta migliore per ripartire nel Pd. Ma la prima regola del nuovo corso deve essere ascoltare di più, io per primo. E ho accettato i suggerimenti di non fare del congresso il luogo dello scontro nel partito sulla pelle del Paese». Quindi, assise rinviate a dicembre 2017, dopo le elezioni che il ministro Delrio insiste a tenere «il prima possibile, appena attuate le correzioni all'Italicum». Ma il segretario non rinuncia a togliersi qualche sassolino dalle scarpe nei confronti di «certi atteggiamenti sopra le righe» di esponenti della sinistra dem che «festeggiavano la vittoria del No e le mie dimissioni ferendo il nostro senso di comunità». E più ancora rinfacciando a un D'Alema, non apertamente nominato, che aveva parlato di «puzza delle riforme» renziane, che «riforme come quelle delle unioni civili non puzzano, ma segnano la grandezza del Pd». Duro con gli avversari più «urlanti e bugiardi», specie sui social, i grillini, a cui rivolge un ironico invito: «Smettete di dire bufale sul Web e noi taceremo la verità su di voi che siete un'azienda privata che firma contratti con gli amministratori», dice Renzi sventolando il contratto tra la Raggi e la Casaleggio & associati.
Se per quanto riguarda il voto finale si può parlare di tregua armata con la minoranza, Renzi ha tuttavia dovuto ascoltare da uno degli esponenti meno esasperati della sinistra, come Gianni Cuperlo, un invito a farsi da parte: «Esprimo solidarietà umana a Renzi, ma con la stessa sincerità dico che serve una guida diversa al Pd», ha detto Cuperlo insistendo per il congresso prima delle elezioni. Critiche anche dal leader della minoranza Roberto Speranza che da Renzi attendeva «una parola almeno sulla modifica dei voucher e sulla scuola».
Entusiasta, invece, il successore Paolo Gentiloni, che di Renzi apprezza il «bel discorso per un Pd che riparte dall'Italia, con ambizione e responsabilità».

Tempi lunghi e trattative, tornare ai collegi non è facile

ROMA Si fa presto a dire Mattarellum ma arrivarci non sarà per niente semplice. Perché? La ragione è chiara: quella legge non è priva di debolezze, anche serie. Gli italiani l'hanno usata per le politiche del 1994, 1996 e 2001 e nonostante il suo carattere maggioritario ha determinato la nascita di coalizioni fra i partiti (anche piccoli e piccolissimi) che non sempre hanno retto la prova del governo. Non solo. Nel 94 - quando si presentarono tre poli fra destra (Berlusconi), centro (Segni) e sinistra (Occhetto) - portò in dono due maggioranze diverse fra Camera e Senato.
Evidente il pregio del Mattarellum: il 75% dei seggi erano assegnati al candidato più votato in ognuno dei circa 470 collegi di circa 130.000 abitanti nei quali era suddivisa l'Italia. Insomma: con il Mattarellum i cittadini sceglievano quasi tutti i loro rappresentanti anche se va sottolineato che - in barba alla retorica sui nominati - esistevano (ed esistono) un certo numero di collegi sicuri dove venivano paracadutati candidati di sinistra o di destra da eleggere a prescindere. Per definire i collegi occorre tempo e l'intervento di esperti superpartes che in Italia sono merce rara. Anche perché i poli politici, un po' come nel 94, ora sono tre.
E che dicono i 5Stelle? Per il momento non è chiarissima la distribuzione geografica dei loro elettori mentre ogni giorno che passa emerge la debolezza di molti candidati pentastellati il che spiega, almeno in parte, come mai il Mattarellum sia tornato a piacere al Pd e anche alla Lega ovvero a partiti che dispongono di personale politico legato al territorio.
LA SCELTA
Il Mattarellum piace meno a Forza Italia che punta sul proporzionale per presentarsi da sola e poi spendere i propri deputati in accordi post-elezioni.
Ma torniamo al vecchio Mattarellum. Non tutti i deputati venivano scelti dagli elettori perché una quota dei parlamentari, il 25% pari a circa 160 deputati, era determinata dal proporzionale e veniva assegnato sulla base di liste bloccate alla Camera e, su base regionale, ai senatori primi non eletti della quota maggioritaria. A complicare le cose c'era una soglia di sbarramento del 4% (alla Camera) e un complesso sistema di conteggio (noto come scorporo) che doveva favorire i partiti più piccoli ma che, all'italiana, fu subito aggirato presentando liste civetta.
Come si vede il Mattarellum è un maggioritario con molti freni. Ora che il No referendario ha rilanciato il proporzionale è difficile credere che possa tornare in versione integrale. Gli addetti ai lavori stanno già lavorando ad un Mattarellum ristilizzato con quota maggioritaria fra il 50 e il 60% (fra 309 e 370 deputati oltre ai 12 della circoscrizione estera) e il resto proporzionale. Per questi ultimi seggi (fra 248 e 309 deputati) potrebbe scattare un premio di governabilità al partito più votato pari al 15%, ovvero a una quarantina di seggi.
Questo meccanismo potrebbe piacere un po' a tutti i partiti perché la quota proporzionale garantisce rappresentanza mentre quella maggioritaria, per via dei collegi uninominali, stringe il rapporto fra eletti e popolo. Ma dal dire al fare... .

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