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Pescara, 25/07/2024
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Data: 24/12/2016
Testata giornalistica: Il Centro
Il killer di Berlino ucciso a Milano. Merkel: il nostro grazie all’Italia. L’attentatore Amri è stato fermato dalla polizia e colpito a morte durante un conflitto a fuoco. Molti messaggi dalla Germania di solidarietà e di congratulazioni agli agenti. Ora si temono ritorsioni. Gabrielli ha invitato le forze dell’ordine alla massima attenzione

ROMA L’uomo più ricercato d’Europa, sospettato della strage al mercatino di Natale a Berlino era in Lombardia, a Sesto San Giovanni. «Armato e pericoloso. Una scheggia impazzita che avrebbe potuto portare a termine altri attentati», ha detto il questore di Milano. Anis Amri il 24enne terrorista tunisino, che il 19 dicembre avrebbe lanciato un tir sulla folla a Breitscheidplatz, uccidendo 12 persone tra cui l’italiana Fabrizia Di Lorenzo, è morto in uno scontro a fuoco con due agenti in servizio al commissariato di Sesto San Giovanni davanti alla stazione ferroviaria del comune alle porte di Milano. A pochi chilometri da Cinesello Balsamo, da dove era partito il camion della strage. Uno dei poliziotti è rimasto ferito, ma le sue condizioni non sono gravi. Tre ore in giro per Torino. In tasca, il terrorista aveva un biglietto delle ferrovie francesi che ha permesso agli inquirenti di riscostruire gli spostamenti: un treno da Chambery lo ha portato venerdì alla stazione Porta Susa. Dalle 20,30 fino alle 23 ha vagato per Torino per poi risalire sul treno ed arrivare a Milano centrale all’una della notte. Due ore dopo era alla stazione di Sesto San Giovanni, alle 3,08 è stato fermato e ucciso. La conferma che si trattasse del killer di Berlino è arrivata ore più tardi quando gli investigatori tedeschi hanno confrontato le impronte con quelle trovate sul camion. «Era un nostro soldato», ha rivendicato l’Is. Non si è trattato di un blitz delle forze antiterrorismo, nessuna operazione di polizia, ma di una banale richiesta di documenti da parte dell’equipaggio “Alpha 6” in servizio per il controllo del territorio. «Danke Italien». “Grazie Italia” ha scritto in un tweet, pubblicato in italiano, la polizia tedesca. Un “grazie” anche da parte della cancelliera. «Ora possiamo essere più sereni», ha detto Angel Merkel. Ma si temono ritorsioni da parte dei jihadisti. Il capo della polizia Gabrielli ha invitato le forze dell’ordine alla «massima attenzione». Intanto, i profili Facebook degli agenti che hanno fermato Amri, sono stati oscurati «per prevenzione». Il questore: era come un fantasma. «Amri non aveva altre armi a parte la pistola, carica e pronta all’uso, non un telefonino e qualche centinaio di euro» ha spiegato il questore di Milano Antonio De Iesu che ha descritto il terrorista in fuga come un «fantasma che non lasciava traccia» sottolineando che «è stato controllato da solo. Può sembrare paradossale - ha detto De Iesu - ma non si aveva la percezione che fosse un killer. È solo il frutto di una straordinaria attività di controllo del territorio». Lo scontro a fuoco. Sembrava una nottata come un’altra quella di venerdì per l’equipaggio “Alpha 6” in servizio a Sesto San Giovanni. Alla guida c’è Luca Scatà, 29 anni di Siracusa, arrivato in commissariato da appena 9 mesi e in prova. Accanto, siede il capo pattuglia, Cristian Movio, 36 anni, di Udine. Per caso i loro destini si incrociano con l’uomo più ricercato d’Europa. Ma per Movio e Scatà in quel momento è solo un ragazzo magrebino che si aggira nella zona della stazione nel cuore della notte. La Volante accosta, Movio scende e chiede i documenti. «Sono calabrese, ho dimenticato i documenti» risponde il ragazzo che parla italiano. Qualcosa nel suo atteggiamento insospettisce l’agente che gli chiede di rovesciare lo zainetto ed è questo punto che Amri tira fuori la calibro 22, forse la stessa che ha ucciso il camionista polacco a Berlino. Il terrorista spara e colpisce il capo pattuglia alla spalla gridando «poliziotti bastardi». Mentre l’agente cade a terra, Scatà coprendosi dalla macchina fa fuoco e uccide il tunisino. La sua fuga è finita. Gli inquirenti dovranno capire su quali coperture e appoggi poteva contare Amri in Italia. Forse tentava di raggiungere il sud, ma è probabile che a Torino e a Milano qualcuno lo possa aver aiutato dandogli del denaro. Nello zaino aveva qualche centinaio di euro. Tre procure sono al lavoro: quella di Monza sul conflitto a fuoco; poi Milano dove è stato aperto un procedimento per capire la serie di contatti che il tunisino poteva avere in Lombardia. E c’è l’inchiesta della procura di Roma che ha competenza sui fatti di sangue che riguardano gli italiani all’estero, aperto dopo l’attentato di Berlino costato la vita a Fabrizia Di Lorenzo. Di Amri rimangono poche immagini, qualche fotogramma che lo riprende nel centro di accoglienza a Lampedusa quando è arrivato nel 2011. L’ultima immagine è un video inquietante girato prima dell’attentato dove giura vendetta per i musulmani uccisi. Ora di quel “fantasma” bisognerà tracciare ogni dettaglio.

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