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Data: 30/12/2016
Testata giornalistica: Il Messaggero
Per la Cassazione «licenziare in nome del profitto si può»

ROMA Licenziare è possibile anche in nome del profitto. Non occorre che un'azienda sia in crisi. Parola della Cassazione. La sentenza, depositata il 7 dicembre scorso, farà discutere, ma è chiarissima: i giudici spiegano che l'allontanamento del lavoratore può essere dichiarato illegittimo se, come ragione del licenziamento, viene addotta una crisi aziendale poi non dimostrata, non è così, invece, quando, in nome della libertà di impresa tutelata dalla Costituzione, il licenziamento è motivato dall'obiettivo di migliorare «l'efficienza gestionale» e «un incremento del profitto».
La questione viene rinviata al legislatore: si legge nel provvedimento: non può essere un giudice «a gravare l'impresa di costi impropri non dovuti in base alla legge, quando piuttosto la Costituzione investe i poteri pubblici del compito di perseguire l'interesse collettivo occupazionale, tenuto conto che la prospettiva individuale della difesa del singolo rapporto di lavoro potrebbe pregiudicare l'intera comunità di lavoratori dell'azienda interessata».
IL PROVVEDIMENTO
La sezione Lavoro della Corte, presieduta da Vincenzo Di Cerbo, ha annullato con queste motivazioni la sentenza della Corte d'appello di Firenze che, il 29 maggio 2015, aveva imposto a una società per azioni con sede a Roma di corrispondere un'indennità di quindici mensilità a un dipendente licenziato l'11 giugno 2013.
Secondo i giudici di secondo grado, che bocciavano la decisione del Tribunale, non sussisteva un «giustificato motivo oggettivo» per la risoluzione del rapporto di lavoro. Ora però piazza Cavour ha ribaltato quella decisione accogliendo il ricorso degli avvocati della spa, che hanno richiamato l'articolo 41 della Costituzione. Si legge nella sentenza: «L'imprenditore è libero, pur nel rispetto della legge, di assumere quelle decisioni atte a rendere più funzionale ed efficiente la propria azienda, senza che il giudice possa entrare nel merito della decisione». E gli ermellini aggiungono: «Spetta all'imprenditore stabilire la dimensione occupazionale dell'azienda, evidentemente al fine di perseguire il profitto che è lo scopo lecito per il quale intraprende. Tale scelta è sicuramente libera nel momento genetico in cui nasce l'azienda e si instaurano i rapporti di lavoro in misura ritenuta funzionale allo scopo. Anche durante la vita dell'azienda - aggiungono - la selezione del livello occupazionale dell'impresa rimane libera e non può essere pertanto sindacata al di fuori dei confini stabiliti dal legislatore, non essendo affidato al giudice il compito di contemperare ex post interessi confliggenti stabilendo quello ritenuto prevalente se un tale potere non trova riscontro nella legge».

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