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Data: 31/12/2016
Testata giornalistica: Il Centro
«Misi me per l’alto mare aperto». Nello spirito di Ulisse l’avanguardia della sua generazione di Luciano D'Amico (*)

Fabrizia Di Lorenzo non è un “cervello in fuga”, o non è solo un “cervello in fuga”; Fabrizia Di Lorenzo è anzitutto un “cervello”, una persona capace e determinata, una persona cui è stato chiaro da subito che la realizzazione personale sta nel confronto e nel dialogo per poter condividere con gli altri le proprie aspettative, i propri affetti, le proprie ansie; e per questo ha dato fondo alla sua capacità di impegno, ha accumulato esperienze, ha imparato tante cose, anche le lingue e, soprattutto, le culture che quelle lingue rappresentano, e ha accettato le sfide. Anzi, le ha cercate. Con l’irrequietezza di chi ha di fronte a sè una vita da costruire, ampliando sempre l’orizzonte e realizzando la crescita personale con responsabilità, Fabrizia ha aggiunto alla sua Sulmona l’esperienza di Roma della laurea triennale, e poi di Bologna della magistrale, e poi di Milano del master, e poi ancora di Berlino del lavoro: non una fuga, ma un arricchimento continuo, e per ottenerlo tanto impegno e tanta capacità di donarsi. La capacità di donarsi non solo attraverso le attività di volontariato svolte, ma aprendosi a un confronto continuo con nuove realtà, con nuove persone, con nuove culture. In questo senso, Fabrizia ben rappresenta l’avanguardia della sua generazione: giovani che hanno potuto per la prima volta apprezzare il vantaggio di coltivare le proprie aspirazioni, pur con tanti sacrifici e tra mille incertezze, in una dimensione culturale, sociale e finanche geografica ben più ampia rispetto a quella delle generazioni precedenti, giovani che possono rifuggire dalle deboli certezze e dalle apparenti comodità del lavoro sotto casa (che pure è difficile da ottenere) per affrontare con coraggio e determinazione la piena realizzazione di un percorso professionale – e di crescita personale – che la limitatezza del proprio Paese di origine, qualunque esso sia, non consentirebbe per la sua intrinseca “mono-culturalità”. La nostra cultura si è costruita sullo spirito di Ulisse: né dolcezza di figlio, né la pieta del vecchio padre, né ’l debito amore lo qual dovea Penelopè far lieta, vincer potero dentro a me l’ardore ch’i’ ebbi a divenir del mondo esperto e de li vizi umani e del valore; ma misi me per l’alto mare aperto sol con un legno e con quella compagna picciola da la qual non fui diserto. E questa avanguardia riflette lo spirito di Ulisse ed è la vera grande risorsa per il Paese, soprattutto in questo particolare momento di crisi che, come sempre, ha accentuato un arroccamento difensivo e conservatore di coloro che dispongono di maggiori risorse e di maggiori tutele. Per superare le resistenze di questa retroguardia sono necessarie persone come Fabrizia, in grado di rivedere e migliorare quel Patto sociale che è la necessaria premessa di ogni percorso di sviluppo, di evitare che il costo dei “diritti acquisiti” venga posto a carico solo di chi è incolpevolmente giovane e, solo per questo, non ha potuto ancora “acquisire diritti”. Alla generazione di Fabrizia va il compito di stimolare una destinazione delle risorse che renda possibile creare spazi per nuovi mestieri con cui valorizzare sia le loro elevate professionalità, sia le abilità di coloro, che pure rappresentano una parte consistente dei giovani rimasti in Italia o emigrati, in grado di impegnarsi in lavori più tradizionali ma di interpretarli, in ogni caso, come strumento di realizzazione personale e di inclusione sociale. È questo il nodo problematico di un Paese che favorisce l’emigrazione intellettuale e accoglie un’immigrazione professionalmente poco qualificata: creare le condizioni non solo e non tanto per consentire ai nostri giovani all’estero di rientrare in Italia, ma anche di attrarre giovani stranieri che possano apportare al Paese quella capacità di visione e di impegno di cui sono testimonianza persone come Fabrizia. L’Italia un Paese di dinosauri? Forse sì, Fabrizia, ma ancora per poco, perché la tua generazione si sta facendo classe dirigente e con la dolcezza nel provocare i cambiamenti e con la determinazione che le sono proprie, senza protagonismi, ma con grande responsabilità, saprà disegnare i contorni di una società di cui ciascuno potrà sentirsi parte e in cui non ci sarà più spazio per la follia criminale di un escluso che con disperazione lancia un camion a folle velocità in un mercatino di Natale. Se un ragazzo va fuori dall’Italia, è perché ha voglia di confrontarsi con qualcosa di diverso. Se si ha l’impressione d’imparare e migliorarsi, si è sulla strada giusta.

(*) Luciano D’Amico (rettore dell’Università di Teramo)

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