Domanda da un milione di dollari: quando si voterà? Mica facile rispondere, ma è proprio dalla risposta che dipenderà l’agenda politica 2017. Ci si aspetterebbe una data, un mese, almeno una stagione e invece per ora tutto è avvolto nella nebbia. E allora per capire più o meno che cosa ci aspetta, guardiamo ai protagonisti. Paolo il freddo. Gentiloni sa di essere un premier di passaggio, e che molti lo vedono come longa manus di Matteo Renzi che l’ha voluto lì perché il nuovo governo fosse più o meno la fotocopia del suo, compreso il giglio magico a Palazzo Chigi. E così è stato. Ma Gentiloni è Gentiloni, e quindi giocherà la sua partita fino in fondo. Nella conferenza stampa di fine anno, per esempio, ha fissato tre impegni prioritari e imprescindibili: mettere in sicurezza Mps; approvare una nuova legge elettorale e proseguire con le riforme (giovani, Sud, jobs act da rivedere per evitare il referendum). Non è compito che si sbrighi in poche settimane. E poi, calendario e Costituzione alla mano, se si volesse votare ad aprile bisognerebbe sciogliere le Camere 70 giorni prima, più o meno a fine gennaio; a marzo se si volesse andare alle urne a giugno: bisognerebbe correre. Se il Parlamento lo fa, Paolo il freddo si adeguerà, altrimenti... Matteo l’impaziente. Se fosse per lui, voterebbe domani, ma non si può. E allora la data giusta potrebbe essere giugno, anche perché consentirebbe a Gentiloni di essere ancora in carica per i due importanti appuntamenti di primavera, anniversario dei Trattati di Roma dai quali nacque l’Europa (marzo), e G7 di Taormina (maggio). Per Renzi fare presto è fondamentale, il potere logora chi non ce l’ha: troppo tempo fuori della scena non aiuta a riconquistare consensi, specie dopo una batosta come quella del referendum; favorirebbe invece i suoi molti nemici dentro e fuori il Pd che avrebbero più tempo per organizzarsi. E poi c’è l’impegno di fine anno, la legge di stabilità: una volta era l’occasione per distribuire regalìe elettoralistiche; ma oggi viviamo stagioni di lacrime e sangue, anche per i maggiori costi imposti dai salvataggi bancari: sarebbe meglio che se ne occupasse il governo in carica dopo le elezioni, no? Silvio il temporeggiatore. Berlusconi, al contrario di Renzi, vorrebbe votare nel 2018, alla scadenza naturale della legislatura. Perché? Perché spera che nel frattempo la Corte di Strasburgo gli restituisca la possibilità di candidarsi: un’arma che gli consentirebbe di trattare da posizioni di forza con i suoi riottosi ex alleati, Salvini in primis, e tentare l’impresa disperata di rimettere insieme i cocci della destra. Ha bisogno di tempo anche per trovare in Parlamento altri fan del sistema proporzionale (per ora è con lui solo la minoranza del Pd). Pensa che sia il modo più efficace per disinnescare la mina Grillo, che comunque sta in una botte di ferro: lui vorrebbe votare con ciò che resterà dell’Italicum dopo la cura della Consulta, in caso contrario condurrà la sua campagna contro chi avrà cambiato la legge elettorale solo per non far vincere i Cinque Stelle. Sergio il tessitore. I presidenti della Repubblica, si sa, non amano sciogliere le Camere prima del tempo. Mattarella non fa eccezione, ma invece di farne una dichiarazione di principio ha preferito rovesciare la questione: si voterà solo quando Camera e Senato avranno una nuova legge elettorale coerente e chiara (e comunque dopo il salvataggio delle banche e gli impegni europei). Insomma, pazienza, ci vuole il tempo che ci vuole: questo è il mandato affidato a Gentiloni, e lui infatti si muove nel solco del Quirinale. Poi c’è il Parlamento. Già, il Parlamento. Alla fine la vera incognita è questa ed è proprio qui, dopo due anni e mezzo governo-centrici, che si decideranno le sorti della legislatura: l’ha detto Mattarella, l’ha ripetuto Gentiloni che vuole stare alla finestra e lasciare che decidano i partiti. Ma i parlamentari si sbrigheranno o, come teme Renzi, faranno melina? Il loro istinto, si sa, è quello di resistere, ma li accuserebbero di voler arrivare alla fine dell’anno solo per garantirsi la pensione. E allora, niente vitalizio, o impopolarità? Chissà. Che il 2017 sia con noi.