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Data: 06/01/2017
Testata giornalistica: Il Messaggero
«Jobs Act, dalla Cgil quesiti manipolativi». Scoppia il caso dei voucher usati dal sindacato rosso

ROMA Non usa la parola imbroglio, ma l'accusa rivolta dall'Avvocatura dello Stato al quesito referendario sull'articolo 18 proposto dalla Cgil è proprio questa. Il testo che gli uomini del sindacato guidato da Susanna Camusso vorrebbero sottoporre al giudizio popolare, spiega una memoria che l'organismo ha depositato ieri presso la Consulta per conto di Palazzo Chigi, ha «carattere surrettiziamente propositivo e manipolativo». Dunque, si legge nel documento, deve essere considerato «inammissibile». Detto in altri termini, per l'Avvocatura la Cgil vorrebbe utilizzare lo strumento del referendum abrogativo per introdurre una nuova disciplina, più stringente, dei licenziamenti. In pratica il quesito proposto, non si limiterebbe a chiedere l'abrogazione delle norme del jobs act che permettono di pagare un indennizzo economico abolendo l'obbligo di reintegro per i lavoratori licenziati senza giusta causa, ma vorrebbe estendere i vincoli previsti dalla precedente disciplina a tutte le aziende con più di cinque dipendenti. Prima del 2015, prima cioè che il governo Renzi approvasse il jobs act, il vecchio articolo 18 prevedeva una «tutela reale» differenziata a seconda del datore di lavoro. Per tutte le imprese l'obbligo di reintegro scattava nel caso

TAGLIA E CUCI Con un taglia e cuci di commi, i giuristi della Cgil hanno fatto in modo che, nel caso in cui la norma del referendum diventasse legge, la tutela reale verrebbe estesa a tutte le aziende sopra i 5 dipendenti, senza più nessuna distinzione. Una furbata, insomma. Ma, scrive l'Avvocatura dello Stato, «secondo costante giurisprudenza costituzionale in tema di referendum abrogativo, non sono ammesse tecniche di ritaglio dei quesiti che utilizzino il testo di una legge come serbatoio di parole a cui attingere per costruire nuove disposizioni». La Cgil non ci sta a questa interpretazione. Secondo fonti del sindacato «l'ammissibilità la stabilisce la Corte costituzionale, che è autonoma e competente. Per quanto riguarda il quesito», aggiungono le stesse fonti, «non manipola alcunché. Non è propositivo né manipolativo, è un quesito abrogativo: la risultante è una norma esistente». Le due posizioni di confronteranno ora davanti ai supremi giudici che, secondo le indiscrezioni che trapelano, avrebbero già preso in considerazione la questione e sarebbero spaccati al loro interno sull'interpretazione da dare.
L'Avvocatura ha poi portato argomentazioni tese a smontare la richiesta referendaria anche per gli altri due quesiti presentati dalla Cgil: quello sui voucher e quello sugli appalti. Nel primo caso, la difesa delle norme introdotte con il jobs act verte sul fatto che, in caso di abrogazione delle nuove regole, si verrebbe a creare un «vuoto normativo».Secondo l'Avvocatura «il proposito referendario non è tanto quello di sopprimere il «voucher», quale strumento di remunerazione e disciplina del lavoro accessorio, ma di «abolire lo stesso istituto del lavoro accessorio» e su questa base chiede che il quesito sia dichiarato inammissibile dalla Corte Costituzionale. La decisione della Consulta sull'ammissibilità dei quesiti referendari della Cgil sarà presa il prossimo 11 gennaio. E arriva dopo che, nelle settimane scorse, gli stessi supremi giudici hanno azzoppato altre due importanti riforme del governo Renzi, quella sulla Pubblica amministrazione e quella sulle banche popolari.

Scoppia il caso dei voucher usati dal sindacato rosso

ROMA Fate quel che dico, non guardate quel che faccio. Sui voucher, i buoni Inps che permettono di remunerare piccoli lavori, la doppia morale non è una novità Anzi. È quasi la regola. Il sindaco di Napoli Luigi De Magistris, aveva bollato il Jobs act di Renzi come una legge che riduce i diritti dei lavoratori. Poi si è scoperto che la sua amministrazione ha deciso di utilizzare uno degli strumenti più contestati, i voucher appunto, per pagare alcuni lavori di giardinaggio del Comune. Non li condividiamo ma li usiamo, aveva chiosato l'assessore al lavoro, un ex sindacalista della Cgil, Enrico Panini. E già così qualche stonatura non sfuggiva nemmeno all'orecchio meno allenato. Ma ieri si è scoperto, grazie al Corriere di Bologna, che ad utilizzare i voucher è stato persino il sindacato dei pensionati della Cgil, lo Spi, per retribuire «l'attività occasionale di alcuni suoi volontari nel territorio». Dalla stonatura alla vera e propria stecca.

L'AFFERMAZIONE Qualche giorno fa il leader del sindacato, Susanna Camusso, aveva paragonato i buoni lavoro ai «pizzini», i foglietti codificati con cui la mafia manda i suoi ordini. In fin dei conti è stata proprio la Cgil a proporre un referendum abrogativo che cancelli una vola per sempre gli odiati voucher. Anzi di più, se fosse vero quello che ha sostenuto l'Avvocatura dello Stato in una memoria depositata proprio ieri alla Consulta. L'obiettivo reale del sindacato non sarebbe soltanto quello di eliminare i buoni lavoro, ma di cancellare con un tratto di penna tutto il lavoro accessorio. Il segretario dello Spi-Cgil, Bruno Spizzica, ieri ha provato a difendere in tutti i modi la scelta di usare i voucher per pagare i volontari. Ma le ragioni utilizzate assomigliano molto a quelle di chi si è battuto in questi mesi a difesa dello strumento. Per Spizzica, riferisce l'Ansa, oggi i voucher sono «l'unica forma» di remunerazione per questo tipo di prestazioni «che la legge concede per non cadere nel lavoro nero». Ed in effetti, i fautori dei buoni, sono settimane che si sgolano a dire che il boom nell'utilizzo dei voucher è anche legato all'emersione di lavoratori che prima si trovavano completamente nella zona d'ombra del mercato. Il concetto è stato ribadito anche da Attilio Arseni, segretario organizzativo nazionale dello Spi-Cgil. «I nostri pensionati, quelli che lavorano nelle leghe, sul territorio», ha spiegato, «hanno contratti di collaborazione regolare. Ma abbiamo una serie di volontari che vanno due o tre volte a settimana a 100 euro al mese» per esempio nelle sedi periferiche. «Non c'è altro tipo di retribuzione», ha detto Arseni, «non possiamo dargli i soldi in nero». Dopodiché, è la conclusione, «bisognerà trovare un'altra forma lecita per offrirgli un compenso». A parte l'ossimoro dei volontari-retribuiti, la Cgil ammette che, al momento, i voucher sono l'unica via per evitare il nero nel caso dei piccoli lavori, dando ragione all'Avvocatura quando sostiene che, in caso di abrogazione, si creerebbe un vuoto normativo che finirebbe per rimandare tutta questa fetta di lavoratori nell'ombra.

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