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Data: 09/01/2017
Testata giornalistica: L'Unit
Sui voucher la legge in Parlamento c’è già: approviamola. I tre quesiti sono totalmente legittimi, sbagliate e strumentali le polemiche di questi giorni di Cesare Damiano

La posizione espressa dall’Avvocatura dello Stato sui Referendum promossi dalla Cgil non è, a mio avviso, condivisibile. Si tratta di tre quesiti sui quali la Confederazione di corso d’Italia ha raccolto, complessivamente, circa 3,3 milioni di firme e che riguardano l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, i voucher e la responsabilità solidale negli appalti. Al di là di una valutazione politica e di merito sui singoli quesiti, mi pare che l’Avvocatura non abbia tenuto conto di precedenti valutazioni di ammissibilità.

Per quanto riguarda l’articolo 18 non c’è nulla di «manipolativo» perché si tratta di un quesito che propone una abrogazione parziale e non totale della normativa, possibilità prevista dalla Costituzione all’articolo 75. È ovvio che la proposta di abrogazione della norma generale della soglia dei 15 dipendenti (oltre la quale si applica lo Statuto dei lavoratori), chiesta dalla Cgil, innalzerebbe allo stesso rango «generale» ciò che resterebbe della norma stessa: vale a dire la soglia dei 5 dipendenti, che già esiste come clausola «speciale o residuale» solo per l’agricoltura, e che verrebbe in questo modo estesa a tutti i settori del lavoro dipendente.

Il contenuto del quesito è dunque univoco e la disciplina che si creerebbe non è del tutto nuova. È già capitato nel passato di avere Referendum parzialmente abrogativi, si veda quello del ’93 sull’«Elezione del Senato della Repubblica», che faceva parte di un pacchetto di ben otto Referendum proposti dai Radicali. Sui voucher, che la Cgil vorrebbe abolire, l’Avvocatura parla del rischio di un vuoto normativo a seguito della vittoria del Referendum: conseguenza abbastanza ovvia e fisiologica dato il carattere totalmente abrogativo del quesito.

Il Governo dovrebbe invece sostenere il disegno di legge firmato da 45 parlamentari del PD che propone di tornare alla “legge Biagi”del 2003 (la discussione sul testo riprende l’11 gennaio in Commissione lavoro alla Camera), al fine di ridare ai voucher quel carattere di “o ccasionalità” e di lavoro “accessorio” che avevano in origine, destinandoli solo a soggetti particolarmente deboli nel mercato del lavoro: disoccupati da oltre un anno, disabili, extracomunitari regolari nei sei mesi successivi alla perdita del lavoro, pensionati e studenti. Questa scelta sconfiggerebbe gli abusi esistenti e potrebbe cancellare o almeno depotenziare l’impatto del Referendum.

Infine, sulla responsabilità solidale negli appalti, basterebbe ripristinare la normativa del Governo Prodi, nel testo vigente dal 2007 al 2012, “manipolata” dai successivi Governi. Se ha funzionato allora, può funzionare anche adesso per garantire le retribuzioni e i contributi previdenziali dei lavoratori nella catena, non sempre trasparente, degli appalti.

Anche se non ci fossero i referendum della CGIL, tutti questi problemi andrebbero comunque affrontati perché realmente esistenti: non si possono ignorare le distorsioni e gli abusi provocati dalla attuale disciplina sui voucher, che non vanno aboliti ma drasticamente ridimensionati. Né si possono chiudere gli occhi di fronte all’aumento dei licenziamenti disciplinari certificato dall’Inps dopo l’avvento del Jobs Act. In ogni caso, sull’ammissibilità, l’ultima parola spetta alla Consulta che si dovrebbe pronunciare l’11 gennaio.

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