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Data: 10/01/2017
Testata giornalistica: Il Messaggero
Jobs Act e voucher, cresce il pressing per l'inammissibilità

ROMA «Comunque vada, il Jobs Act è una buona legge e non si cambia. Al massimo il sì della Consulta fornirà una motivazione in più per smetterla di galleggiare e andare alle elezioni anticipate al più tardi in giugno». Matteo Renzi non attende con particolare ansia la sentenza della Corte costituzionale attesa per domani.Lo schema di gioco deciso dal segretario dem è ormai definito ed è accettato dal premier Paolo Gentiloni: superi o non superi il vaglio della Consulta, il quesito sull'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori proposto dalla Cgil, il governo e il Pd non correggeranno il Jobs Act per scongiurare il referendum, come invece avverrà per i voucher e la responsabilità in materia di appalti. Ma andranno sparati, appunto, verso le elezioni anticipate che (per legge) farebbero slittare il voto referendario alla primavera del 2018.
Sia Renzi che Gentiloni, come ha messo a verbale l'Avvocatura dello Stato, ritengono in ogni caso il quesito sull'articolo 18 «inammissibile in quanto manipolativo». E questo perché il referendum, promosso dal sindacato di Susanna Camusso, non si limiterebbe ad abrogare una parte del Jobs Act ma, di fatto, la riscriverebbe estendendo i limiti al licenziamento previsti sopra i quindici dipendenti a tutte le aziende che ne hanno più di cinque. «Però con l'aria che tira, e visti i precedenti che hanno dimostrato come la Consulta non si possa di certo considerare amica del governo, tutto può succedere», sospira un esponente di rango del Pd. «In questo caso al danno politico si aggiungerebbe anche un grave danno economico», teorizza un altro esponente dem, «infatti se passasse il quesito sull'articolo 18, fino alla primavera del prossimo anno sul mondo del lavoro graverebbe una forte incertezza normativa e le aziende potrebbe reagire riducendo ulteriormente il numero delle assunzioni».
GLI SCHIERAMENTI
A favore della bocciatura del quesito più insidioso non sono schierati solo Renzi e Gentiloni. Anche Forza Italia e i centristi tifano segretamente per un no della Consulta. Questo perché, senza lo spauracchio di un devastante bis del referendum costituzionale del 4 dicembre, il segretario del Pd avrebbe «meno interesse» ad andare alle urne «al più presto». Una tesi analizzata con attenzione anche in ambienti vicini del Quirinale, dove la stella polare resta l'approvazione «nei tempi necessari e senza strappi», di leggi elettorali «omogenee» per Camera e Senato. E da qualche tempo la Consulta ha dimostrato, nelle sue deliberazioni, di essere attenta non solo a merito delle norme. Ma anche alle ripercussioni e agli effetti politici delle sentenze.
Le previsioni sulla decisione di domani sono davvero difficili. Giuliano Amato, ma anche Augusto Barbera, lavorano perché dei tre quesiti se ne ammettano due (i voucher e gli appalti) ovvero i più innocui, che saranno messi a posto con una legge, neutralizzando, di fatto, la consultazione popolare. La partita si gioca però sull'articolo 18 e la linea del più politico dei giudici costituzionali, come di Barbera, si sa, è quella della bocciatura. Ma paradossalmente, adesso, il pressing politico degli uomini più fedeli a Renzi spingerebbe proprio per il via libera al referendum, per utilizzare un pretesto fondato e andare al voto. La linea della relatrice Silvana Sciarra, che punta sull'ammissibilità, a questo punto, potrebbe trovare un varco. La spaccatura tra i giudici è ancora netta. Come per il prelievo dalle pensioni, alla fine, potrebbe essere determinante il voto del presidente, che vale il doppio.

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