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Data: 13/01/2017
Testata giornalistica: Il Messaggero
allegato: LEGGI L'ARTICOLO
La lunga crisi della Cgil: si apre il dopo Camusso. Conseguenze interne per lo scivolone sul quesito e le polemiche con l’Inps. Sullo sfondo il congresso del 2018 per la successione alla segreteria

ROMA Il giorno dopo la sentenza della Consulta che ha bocciato il referendum proposto dalla Cgil sull'articolo 18, restano una serie di domande che hanno a che fare con il più grande sindacato italiano. Come è stato possibile per i giuristi della Cgil, la cui competenza è fuori discussione, commettere una svista che ha vanificato la raccolta di oltre 3 milioni di firme? E un dubbio analogo lo si potrebbe esprimere anche sul pasticcio dei voucher, paragonati da Susanna Camusso ai pizzini dei mafiosi, ma poi utilizzati a piene mani dalle federazioni dello stesso sindacato. Insomma, dopo che la Cgil aveva potuto vantare un posto d'onore sul carro dei vincitori del referendum del 4 dicembre sulla riforma Costituzionale, che ha portato alla caduta del poco amato governo Renzi, da quel momento in poi tutto è andato per il verso sbagliato, gettando nel caos il sindacato.

IL TENTATIVO Sull'articolo 18 l'impressione di diversi osservatori, è che la Cgil abbia provato a strafare, a puntare «all-in» come in una partita di poker. Invece di tornare semplicemente alla versione del reintegro in caso di licenziamento illegittimo precedente al jobs act di Renzi, ha provato, con un sapiente taglia e cuci, a ridurre da 15 a 5 dipendenti la soglia per le imprese oltre la quale il vecchio articolo 18 con la tutela reale si sarebbe applicato ai lavoratori. Tanto è bastato all'avvocatura dello Stato per sostenere che il quesito della Cgil era «manipolativo» e che avrebbe surrettiziamente introdotto una nuova norma non approvata da nessun parlamento. Tesi, come è noto, accolta dalla Consulta. Ma è davvero così? Un'altra teoria sostiene invece che la Cgil il referendum sull'articolo 18 non voleva farlo davvero. A prova di questa tesi ci sarebbero alcuni indizi. Il primo è che il quesito è stato scritto in un periodo in cui il renzismo era imperante e sembrava difficilmente scalfibile. Il secondo è che in alcune dichiarazioni della stessa Camusso si era inizialmente sottolineato come il referendum fosse solo «un pungolo» per il Parlamento ad intervenire sul lavoro, tema sul quale la Cgil ha presentato una proposta di legge di iniziativa popolare, la Carta dei diritti universali del lavoro, un vero e proprio nuovo statuto.

IL PROGETTO Un progetto che aveva anche permesso di celebrare la «pax» tra Camusso e il leader della Fiom, e suo più fiero oppositore interno, Maurizio Landini. La conseguenza era stata che quest'ultimo aveva accantonato ogni iniziativa di tipo politico. Si era inabissato ed era tornato a fare il sindacalista vero, firmando un contratto dei metalmeccanici innovativo, con benefit, forme di welfare, formazione e produttività, che in un passato non troppo lontano aveva bollato come derive mercatiste. Un modo, secondo alcuni osservatori, anche per posizionarsi ai nastri di partenza per la tornata congressuale che il prossimo anno dovrà scegliere il successore della Camusso. Lo scivolone del referendum, insomma, si inserisce in una campagna elettorale interna che ormai è alle porte. E che potrebbe spostare qualche equilibrio e azzoppare qualche ambizione. Non è un mistero che la pupilla della Camusso sia Serena Sorrentino, voluta in segreteria dalla leader sin dal 2010 e adesso anche alla guida della importante federazione del pubblico impiego. Un quadro che spiega il nervosismo degli ultimi giorni. L'esigenza di specificare di non sentirsi sconfitta. Il rilancio con un ricorso alla Corte di giustizia europea contro il jobs act. E soprattutto il braccio di ferro con Tito Boeri, il presidente dell'Inps che aveva rivelato come la Cgil avesse utilizzato voucher per 750 mila euro, pagando con lo strumento del quale ha chiesto la cancellazione attraverso il referendum, circa 600 pensionati. Non proprio dei casi sporadici. Una rivelazione alla quale il sindacato guidato dalla Camusso ha risposto a brutto muso, accusando l'Inps di opacità e chiedendo di pubblicare i nomi di tutti i grandi utilizzatori di voucher. Per poi lamentare un attacco mediatico al sindacato. Del resto la storia insegna che avere nemici all'esterno è il miglior modo per provare a serrare i ranghi interni.

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