ROMA Il governatore dell’Abruzzo Luciano D’Alfonso difende la nomina a spada tratta. La sua scelta di puntare su Luciano D’Amico per la presidenza della società regionale dei trasporti Tua è stata vincente. «Non lo ringrazierò mai abbastanza», dice D'Alfonso al Centro. «D’Amico - dice - è un vero servitore dello Stato. E solo grazie alla sua capacità di declinare le competenze scientifiche in indirizzi operativi, l’azienda è stata salvata dal baratro». Con buona pace del presidente dell’Anac Raffaele Cantone. Che ha invece contestato la nomina: il doppio incarico del professore D’Amico, ordinario di Economia aziendale all’Università di Teramo (di cui è anche rettore), è incompatibile con il ruolo svolto in Tua. Con la conseguente rimessione degli atti alla Corte dei Conti perché accerti l’eventuale danno erariale. E anche al ministero dell’Università. Che ora potrebbe addirittura cacciare D'Amico dalla sua cattedra. Presidente D’Alfonso non si sente in colpa? D’Amico rischia il posto. «Sono convinto che questa remota possibilità non possa esistere. E anzi sono contento che abbia accettato l'incarico che gli ho offerto, non lo ringrazierò mai abbastanza per questo. Eppure qualcuno ha denunciato la nomina addirittura chiamando in causa l’Autorità anticorruzione... «Si tratta di persone che perdono il loro tempo tentando di danneggiare l’amministrazione. Gente a metà strada tra il parlamento delle opposizioni e i risentiti della comunità universitaria». Parli chiaro. Da chi è partita secondo lei questa denuncia? «C'è pure chi se ne fa un vanto. Diciamo che è in azione il partito degli invidiosi: ma sono minoritari». Ma volevano colpire il rettore o più lei? «Non è un mistero che io mi ricandiderò. E del resto, non è neppure un mistero che quella dei trasporti era una riforma attesa da anni. E D’Amico l’ha messa in campo in poco tempo. Peraltro incassando il sostegno, cosa rara, del sindacato unitario: Cigl, Cisl e Uil si sono espressi a favore di quest'uomo eccezionale, così come anche l’associazionismo imprenditoriale». Cantone invece non ha ritenuto neppure di audirlo... «L’Anac ha fatto un lavoro utile e necessario in alcuni casi per il Paese. Ma in questa circostanza ha completamente omesso qualunque forma di confronto dialogico. Ha nutrito la sua delibera solo della documentazione fornita dal denuncista. Voglio definirlo così e mi taccio oltre». Quindi Anac secondo lei ha sbagliato. Cantone ha preso un granchio? «La verità emerge dal confronto tra le denunce, più o meno anonime e il racconto documentato dei fatti. In questo caso ci sono due pareri dell’Avvocatura distrettuale che negano l’incompatibilità e tutta una serie di altri atti che non sono stati presi in considerazione. Ecco, Anac dovrebbe sentire l’esigenza di ascoltare D’Amico. Cosa che non ha fatto prima di deliberare». E ora che succede? «Ho chiesto ai miei uffici legali di verificare se è possibile fornire ulteriore supporto a sostegno della piena compatibilità della nomina. Questione su cui dovrà decidere il Miur. A cui oltre ai pareri ricordati verranno forniti il placet all’incarico da parte dell’Università. E per fortuna. Perché ha fatto quanto di più difficile esista nelle Regioni: ha tagliato poltrone, riordinato i conti, migliorato le performance, ridotto i conflitti per utilizzare al meglio le risorse umane. E lo ha fatto gratis». L’Avvocatura sostiene che D’Amico non ha sottratto tempo all’insegnamento. Come si può fare tutto questo senza perdere un’ora di lezione? «Ha valorizzato le risorse a disposizione della società, che sono numerose. Ha assicurato un indirizzo strategico,messo in campo le azioni affinchè la struttura marciasse e impiantato la cultura della rendicontazione. Mica ha perso tempo a scrivere le delibere. Insomma non si è sostituito alla struttura operativa. Tua è stata una sorta di laboratorio per questo accademico che nulla ha tolto al suo ruolo di insegnamento».