ROMA Tutti d'accordo, o quasi: Alitalia è stata gestita male e prima di parlare di esuberi bisogna mettere mano a un nuovo piano industriale. La sortita mattutina del ministro Calenda, che ha chiesto di «non far ricadere sui lavoratori» le colpe del management, ha trovato consensi non solo nei sindacati - come era abbastanza prevedibile, ma anche in campo politico (con il presidente della Regione Lazio Zingaretti e - pur con alcuni distinguo - ai massimi vertici dell'azienda, nella persona del presidente Luca Cordero di Montezemolo. Insomma la trattativa che partirà non dovrebbe essere incentrata solo sul taglio del costo del lavoro. O per lo meno non sarà quello il primo punto sul tavolo. «Non esiste che si parli di esuberi prima di parlare di piano industriale, nessuna azienda si salva senza piano industriale» ha scandito il ministro dello Sviluppo economico dai microfoni Rai di Radio anch'io. Quanto a quel che è successo finora, per Calenda è che «un'azienda totalmente privata ha problemi significativi di gestione». Insomma «è stata gestita male».
IL MODELLO DI BUSINESS Su una linea non troppo diversa il presidente Montezemolo. Interpellato sulla cattiva gestione ha risposto: «Non si può ridurre tutto a questo ma credo che i risultati attuali non possono negare questo». La sua però è una visione che vuole essere per quanto possibile ottimistica: «Il momento estremamente positivo: il governo deve fare la sua parte, il management la sua parte, gli azionisti la stanno già facendo. Dobbiamo parlare con i sindacati e, sono d'accordo, prima su un business plan efficace e poi su eventuali esuberi»
I nodi per il presidente sono essenzialmente due: da una parte «il modello di business», dall'altra il fatto che «oggi Alitalia, per accordi precedenti, non è in grado di aprire nuove rotte con gli Stati Uniti: sarebbe la gallina dalle uova d'ora e quindi bisogna risolvere questo problema». Alla domanda se il modo giusto per risolverlo sia l'uscita dall'alleanza Sky Team Montezemolo ha osservato che «ci sono diverse alternative». A suo avviso «questo è il tipico esempio in cui, chiarendo bene chi deve fare cosa, ci sarà una collaborazione del governo, perché non è solo un tema di Alitalia ma è anche un tema dell'Italia, un problema Paese». La scadenza è ravvicinata: tra tre settimane ci sarà un piano che secondo il presidente sarà «forte e coraggioso».
LE REAZIONI Alle parole di Calenda hanno reagito con soddisfazione i sindacati, non solo quelli di categoria ma anche i vertici confederali. Per Susanna Camusso, che si è detta «preoccupata», c'è «una responsabilità sicura dell'impresa». La leader della Cgil non esclude una nazionalizzazione, anche se «il pubblico deve essere un pubblico sano e comunque ci vorrebbe un piano industriale». Par Annamaria Furlan «è un film già visto altre volte in Alitalia. Per la segretaria generale della Cisl «se ci sono dei problemi di gestione e di business plan, la compagnia non può scaricarli sui lavoratori o sulle condizioni salariali». Per la Uil Carmelo Barbagallo «il management non è credibile» e ora serve «un incontro urgente per sgombrare il campo da pretese inaccettabili e insostenibili».
Il governo: «Niente nuovi aiuti pubblici pronti a dare una mano su rotte e slot» IL RETROSCENA
ROMA Carlo Calenda, a Radio Anch'io, ha precisato: «La fiducia nel management ce la devono avere gli azionisti». Non il governo. Ma è innegabile che il ministro dello Sviluppo economico, dicendo che «Alitalia è stata gestita male», ha alzato la palla a Intesa San Paolo e Unicredit che da tempo hanno inquadrato nel mirino i top manager della Compagnia. Non di certo il presidente Luca Cordero di Montezemolo, ma l'amministratore delegato, Cramer Ball, e il vicepresidente e numero uno di Etihad James Hogan. Quest'ultimo accusato dalle banche azioniste di aver adottato una politica tariffaria poco aggressiva e di non aver compreso l'evoluzione del mercato. Da qui le perdite e il nuovo rischio di default.
Questa, però, è una partita che né Calenda, né il ministro dei Trasporti Graziano Delrio, intendono giocare. «Alitalia è una azienda privata, i manager li scelgono i soci», è il leitmotiv che rimbalza dai due dicasteri. Ciò che chiede il governo ad Alitalia «è un piano industriale di rilancio robusto, che stia in piedi e sia condiviso con convinzione dagli azionisti, dalle banche e dalle istituzioni finanziarie creditrici». «Soltanto dopo», spiega una fonte di rango, «l'esecutivo farà la sua parte per affrontare l'eventuale nodo degli esuberi, finanziando nel caso gli ammortizzatori sociali. Ma lo Stato, questo deve essere chiaro, non metterà altri soldi in Alitalia».
Una richiesta non nuova. Già lunedì scorso, al termine di un vertice al Mise, Calenda e Delrio avevano lanciato un altolà sui paventati licenziamenti: «Ma quali esuberi?». Non nascondendo il disappunto per il ritardo nella presentazione del piano di rilancio da parte di Alitalia: «Non ne abbiamo visto traccia...».
«NO ALL'ORA DEL DILETTANTE» Al Mise ieri sera dicevano: «Il governo è pronto a supportare la compagnia perché ha a cuore la presenza di un vettore italiano forte e competitivo. Ma la soluzione per il rilancio la devono trovare gli azionisti e i manager che hanno il know-how adeguato, sanno cosa funziona e cosa invece non va. Altrimenti siamo all'ora del dilettante». Non è mancata una nuova stilettata ai vertici di Alitalia: «Da una settimana all'altra è maturata una brutta crisi e si è cominciato a parlare di ben 1.500-1.600 esuberi, prima ancora di aver presentato uno straccio di piano industriale ed economico. Non è questo il modo di procedere».
GLI EVENTUALI AIUTI Calenda e Delrio non si fermano alle critiche. Prima di Natale si sono dati da fare per convincere le banche a investire altri fondi: «Abbiamo fatto uno sforzo enorme per garantire una nuova linea di credito...». E adesso, una volta che Alitalia avrà sfornato «un convincente piano di rilancio», sono «pronti a dare una mano». «Ma il primo problema non possono essere gli esuberi. Questo approccio è sbagliato. Di esuberi si può parlare solo e soltanto dopo la presentazione di un piano industriale che indichi la strada per rilanciare la Compagnia».
«Dare una mano», Calenda e Delrio lo traducono con l'impegno «a lavorare per superare il blocco delle rotte transatlantiche» da parte di Delta e Air France. Con eventuali aiuti nell'assegnazione di nuovi slot negli aeroporti. E con il supporto per «gli investimenti dedicati alla ricerca e all'innovazione». Ma, ripetono al Mise e ai Trasporti, senza nuove iniezioni di fondi pubblici: «Alitalia è un'azienda privata. I cittadini italiani hanno dato fin troppo negli anni scorsi. Questo copione non si ripeterà. Anche perché non si capisce la ragione per la quale in tutto il mondo il trasporto aereo cresce e Alitalia invece perde...».