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Data: 13/01/2017
Testata giornalistica: Il Centro
Verso le amministrative - La chiesa scende in campo. Molinari: «Largo ai giovani». L’arcivescovo emerito: classe dirigente da rinnovare, in troppi attaccati alle poltrone

L’AQUILA La politica come forma più alta e moderna della carità. Si rifà alle parole di Papa Paolo VI, l’arcivescovo emerito dell’Aquila, monsignor Giuseppe Molinari, alla guida della diocesi cittadina dal 1998 al 2013. La sua è una sortita a sorpresa, nel pieno delle manovre per le elezioni comunali, che non risparmia nessuno: forze di sinistra, destra, centro. Tutte intente alla spartizione delle poltrone. Una casta che non molla la presa, neanche all’Aquila. Almeno questo lui sostiene. «Basta con la vecchia politica, spazio ai giovani»: Molinari non è nuovo a exploit del genere. Da vescovo ha sfilato al fianco dei lavoratori dell’ex polo elettronico, si è esposto nelle battaglie di piazza, in difesa dei più deboli, ha preso le distanze dal potere, con lettere pastorali pungenti e dirette. A sorpresa, torna a farlo. Mentre la città si interroga sul nome del nuovo sindaco e sul suo futuro. Monsignor Molinari, quanto la politica, oggi, è vicina alle esigenze della gente? «Come diceva Paolo VI, e come ricorda spesso anche papa Francesco, la politica è la forma più alta di carità. Ma una politica intesa nell’accezione più forte e nobile del termine, in grado di formulare progetti comuni, risolvere i problemi, creare i presupposti per una società più equa e giusta. E questo è anche un dovere della Chiesa: formare giovani che sentano un impegno così intenso come una missione. L’Azione cattolica, mezzo secolo fa, ha cresciuto tutti i più grandi uomini politici, Giorgio La Pira, Alcide De Gasperi, Amintore Fanfani, che avevano una formazione profonda, seria. Sapevano ciò che volevano. Oggi non è più così: la politica è troppo distante dalla gente». Lei ha definito il governo cittadino una casta. Cosa intende? «Attualmente, all’Aquila, non c’è una politica credibile, né a sinistra, né a destra, né al centro. E lo dico con grande amarezza. Sono anni che gli stessi personaggi detengono il potere. C’è bisogno di un forte rinnovamento, non solo generazionale, ma di volti, idee. Nuove leve pronte ad affrontare le sfide future, che sono importanti e difficili. Mentre la politica viene vista come un mezzo per sistemarsi, per prendere lauti stipendi. E come tale, è poco credibile». Da pastore della Chiesa che ha guidato la diocesi aquilana fino al 2013, auspica un rinnovamento generazionale nel governo della città? «Servono uomini e donne che si impegnino nella ricerca del bene comune, senza guardare esclusivamente ai propri interessi. I politici guadagnano troppo, hanno stipendi eccessivi, mentre i pensionati devono sopravvivere con meno di 500 euro al mese. Si fanno troppe chiacchiere, ma esiste una casta che vive una situazione privilegiata. L’appello è alla formazione di una nuova classe dirigente che sia portatrice di rinnovamento». Quali le emergenze da affrontare? «La ricostruzione, innanzitutto, che deve andare avanti. Poi ci sono la questione sociale e quella del lavoro. Vogliamo far morire o vivere questa città? Se tanta gente scappa sulla costa o a Roma, un motivo ci sarà. Il turismo, a mio avviso, può rappresentare ancora un forte strumento di rilancio del territorio. Penso anche ai beni culturali: con un’opportuna sinergia tra diocesi e governo centrale si potrebbe sfruttare l’enorme ricchezza di chiese e beni monumentali per dare lavoro ai giovani. Tesori inestimabili, che rappresentano il volto e la storia dell’Aquila. Pensiamo alle tante chiese che, a otto anni dal sisma, sono come nel 2009. Un emblema su tutti è il Duomo di San Massimo, i cui lavori di ristrutturazione non sono ancora partiti». Colpa della politica? «Di una gestione troppo individualista. La politica è una cosa seria: deve puntare alla salvaguardia del bene comune. Ma ad oggi, la conta è ancora quella delle poltrone».


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