L’AQUILA La bestia torna a ruggire. Ma stavolta nessuno aspetta annunci o suggerimenti da commissioni di rischi più o meno grandi. Alla prima di sei scosse tutte di forte intensità, che nel giro di un’ora scuotono la neve dagli alberi e raggelano i cuori, la città si mette subito in movimento. I primi sono proprio gli studenti universitari che – trolley in una mano e telefonino nell’altra per rassicurare mamma, papà e amici – chiudono in fretta e furia i loro appartamenti e affollano le fermate degli autobus. «SCAPPIAMO». Destinazione Vasto, Lanciano, Roma, Ciociaria, Molise, Campania. Come a un segnale convenuto, i ragazzi si mettono al sicuro, non appena superato lo spavento. «Torniamo a casa», dicono gli studenti che alla spicciolata fanno lo slalom tra i mucchi di neve. Il tam-tam fa circolare sui telefonini anche l’immagine di una controsoffittatura crollata nell’edificio di Coppito 1 dell’Università. Il cedimento, nel corridoio di Scienze ambientali, non trova nessuno perché la facoltà è vuota. VIABILITÀ IMPAZZITA. La principale direttrice della città, viale Corrado IV, si trasforma in un pezzo di raccordo anulare all’ora di punta. Anche gli aquilani escono di casa. In tanti si mettono in macchina, spesso senza una meta. Chi può cerca di allontanarsi dall’epicentro, localizzato nell’Alta Valle dell’Aterno, da Campotosto a Montereale, da Capitignano a Pizzoli. Chi ha la casa al mare raduna la famiglia e si mette in viaggio, sfidando l’incognita del maltempo e della viabilità già precaria. Chi non ha la casa prende posto in albergo o in bed and breakfast. L’ORA DI ANDARSENE. Vero che il terremoto arriva a scuole e università chiuse. E che all’ora della prima botta, le 10,25, in molti sono già in strada con le pale in mano per spostare la neve. Questo permette a chi non è bloccato in casa dal manto bianco di mettersi in salvo. Chi sciama in strada, a quell’ora, vive una situazione quasi surreale. Molti bar e negozi chiudono, così come alcuni esercizi all’interno di centri commerciali e supermercati. In molti vanno ad approvvigionarsi di beni di prima necessità, pensando già alla nuova emergenza dall’imprevedibile durata. Insomma, un grande esodo che paralizza, come in una reazione a catena, tutte le attività. Intanto, alle 11,50, arriva l’ordinanza del prefetto Giuseppe Linardi che si è appena insediato nella sede di corso Federico II: uffici pubblici dell’Aquila e di tutti i comuni della provincia chiusi, con effetto immediato, fino al 19 gennaio «considerato lo stato di emergenza per gli eventi sismici e il maltempo». La disposizione aggiunge che «dovrà essere assicurata l’operatività di tutte le strutture che garantiscono servizi di emergenza» e che «gli uffici giudiziari garantiranno, dove necessario, un presidio deputato alla trattazione degli atti urgenti, sia di giustizia civile che di giustizia penale». LA LUNGA ATTESA. Il terremoto, ormai compagno di vita di chi abita qui, finisce per accompagnare l’intera giornata di ogni aquilano. Una serie infinita di scosse – sequenza che meraviglia persino alcuni esperti – scandisce le occupazioni quotidiane. In molti raggiungono l’Alto Aterno per unirsi ai soccorritori, i volontari impegnati a tirare fuori le persone anziane casa per casa. Gli altri si organizzano per la notte. Chi tornando nelle migliaia di casette provvisorie realizzate dopo il terremoto di otto anni fa e chi cercando appoggio in casa di amici oppure nelle strutture messe a disposizione dal Comune. I mezzi di soccorso risalgono senza sosta la Valle dell’Aterno. A sera, all’ora di cena, le 20,32, una scossa di 4,3 (poi 4,2) Richter a una profondità di 13 chilometri fa di nuovo sobbalzare tutti. Comincia un’altra nottata.