ROMA La trattativa tra Italia e Commissione europea inizia oggi tra le nevi di Davos. È stato lo stesso commissario agli Affari economici Pierre Moscovici a preannunciare un incontro con il ministro Padoan, anche lui nella località svizzera per partecipare ai lavori del World economic forum. Il confronto, a due giorni dalla lettera inviata al nostro Paese con cui si chiede uno sforzo aggiuntivo pari a 3,4 miliardi, non si annuncia facile. È stato lo stesso Moscovici a ricordare che l'Italia deve comunque portare avanti la riduzione di deficit e debito: la richiesta di un miglioramento dei saldi pari allo 0,2 per cento del Pil dal punto di vista della commissione permetterebbe all'Italia non di mettersi in regola per il 2017, in senso stretto, ma di fare in modo che la deviazione risulti non significativa. Insomma se quell'importo per il governo italiano rappresenta forse il punto di partenza di un negoziato, per Bruxelles è già il massimo che può essere concesso per evitare l'avvio di una procedura formale. Cosa che porterebbe con sé, con tutta probabilità, anche il venir meno della flessibilità già concessa e utilizzata relativamente allo scorso anno. Dunque, nonostante le parole di cortesia che il politico francese ha voluto riservare a Padoan («Sono ottimista gli incontri con lui sono sempre costruttivi») le posizioni sono distanti e il tempo per decidere non è molto, vista la scadenza fissata a inizio febbraio.
SENTIERO STRETTO
La scelta che il governo Gentiloni è chiamato a fare potrebbe avere una valenza che va anche al di là della partita in corso. Il sentiero di finanza pubblica che dovrà essere impostato ad aprile con il prossimo Documento di economia e finanza è stretto e tutto in salita: se contraddicendo le scelte fatte negli ultimi cinque anni l'Italia decidesse deliberatamente di non rispettare i vincoli del Patto di Stabilità sarebbe poi difficile non proseguire sulla stessa linea. Per il 2018, anno elettorale a meno di conclusione anticipata della legislatura, la legge di bilancio parte infatti con un colossale handicap di 19,6 miliardi necessario a scongiurare l'incremento di ben tre punti delle aliquote Iva, sterilizzato per il solo 2017. E potrebbero aprirsi ulteriori falle, perché come ha ricordato ieri l'Ufficio parlamentare di bilancio la copertura di una parte consistente delle misure entrate in vigore quest'anno si basa su voci una tantum e sul recupero dell'evasione fiscale, incerta per sua natura.
Dal lato della spesa, va poi considerato che a differenza degli anni scorsi dovranno essere finanziati i rinnovi contrattuali: le attuali risorse non sono giudicate sufficienti nemmeno per rispettare li impegni presi prima del referendum con i sindacati. E sullo sfondo c'è un fattore di rischio ancora più difficile da gestire: il possibile rialzo dei tassi di interesse come conseguenze della nuova politica americana e della progressiva riduzione delle misure di quantitative easing (Qe) adottate dalla Bce. Nello scenario programmatico per i prossimi anni, si fa invece affidamento su una spesa per il servizio del debito in costante riduzione. L'esborso complessivo dello Stato già tra 2015 e 2016 era sceso da 68,2 a 66,5 miliardi: Siamo dunque ad un livello molto più basso degli 83 e mezzo toccati nel terribile 2012. Alla fine di quest'anno, le uscite dovrebbero calare ancora a 63,6 miliardi, per poi portarsi sotto i 62 nel 2019. Che le cose vadano proprio così è quanto meno molto incerto. Insomma, il conto della prossima manovra potrebbe arrivare già in partenza a qualcosa come 25 miliardi: ecco perché una volta eventualmente avviata la procedura per deficit eccessivo l'Italia potrebbe preferire restare tra i cattivi per un po'; sempre sperando che questo atteggiamento non abbia gravi conseguenze per un Paese costretto comunque a indebitarsi per circa 400 miliardi l'anno.