E la chiamano solidarietà. Alla fine Maperò aveva ragione. A distanza di tempo, tanto tempo, si è scoperto che i soldi in effetti non ci sono più. La storia è quella dei fondi raccolti dal Museo delle Genti d’Abruzzo di Pescara con la grande asta di opere d’arte per finanziare il restauro dei beni culturali dell’Aquila.
C’erano grossi nomi, da Carla Accardi a Getullio Alviani, da Tommaso Cascella a Mimmo Jodice, da Tullio Pericoli a Sandro Visca fino a totalizzare 107 opere firmate dai Cento Artisti per L’Aquila.
Era stata una delle primissime iniziative di solidarietà organizzate dopo il terremoto del 6 aprile 2009, ed era il 16 maggio: una grande asta al museo Colonna, per iniziativa della fondazione Genti d’Abruzzo. Scopo: concorrere al recupero del patrimonio artistico della città devastata dal terremoto. Iniziativa lodevole peraltro ripetuta recentemente a favore delle popolazioni di alto Lazio e Marche.
Sette anni più tardi si scopre che 46 mila euro di tutti i soldi raccolti sono spariti mentre il conto corrente “Per L’Aquila” presso Banca Caripe al 31 dicembre scorso presentava un saldo di appena 2,75 euro. E pensare che tutti gli artisti avevano messo le proprie opere a disposizione per quella che ritenevano una buona causa.
E risultavano pagate soltanto le prime due tranche del contributo complessivo di 135 mila euro. L’ultima rata, da 46 mila e passa, è coperta per appena 2,75 euro.
La notizia fece un certo scalpore, spingendo gli organi della fondazione Genti d’Abruzzo ad arroccarsi in difesa della regolarità dei bilanci e soprattutto della bontà degli impegni per la città terremotata. Pagheremo, pagheremo tutto. Fu un apriti cielo: smentite, e anche insulti. Via mail e via sms.
Maperò aveva ragione: a distanza di mesi, il 31 dicembre scorso, il presidente della fondazione Roberto Marzetti che è stato direttore generale della Asl dell’Aquila proprio all’epoca del terremoto, ha scritto al direttore Ermanno De Pompeis una lettera che lascia poco spazio alle interpretazioni:
“Poiché come evidenziato dal collegio dei revisori dei conti – c’è scritto tra l’altro – tali fondi non sono più disponibili nel conto corrente dedicato, né risultano esserlo negli altri conti della fondazione, le chiedo di volermi chiarire con cortese urgenza: quale altra destinazione tali fondi abbiano avuto e per quale motivazione, in quali anni sono stati effettuati i prelievi, se vi sia stata o meno una specifica autorizzazione dell’allora consiglio di amministrazione».
Insomma, un atto di accusa. In pratica, sono intervenuti due fatti nuovi: la richiesta del contributo promesso da parte dell’Accademia delle Belle arti dell’Aquila e il rischio che l’esborso dei 46 mila euro dal bilancio corrente metta in pericolo l’esistenza stessa della fondazione e del Museo Genti d’Abruzzo.
Insomma, quello che Maperò aveva scritto a luglio scorso, era vero (e non c’erano dubbi): ora è costretto ad ammetterlo anche il presidente della fondazione. Il tesoretto raccolto per L’Aquila, insomma, sarebbe stato saccheggiato dalla gestione ordinaria di un ente costantemente in bolletta, nonostante i 250 mila euro di contributi raccolti ogni anno dagli enti locali, Comune in testa. E puntualmente divorati dalle spese correnti, a cominciare dai 90 mila euro di assegno del direttore.
ps1: Definirla una figuraccia, con i terremotati, con gli artisti e con i generosi acquirenti, è ancora troppo poco.
ps2: adesso, dopo la lettera di Marzetti, la figuraccia raddoppia.