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Pescara, 24/07/2024
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Data: 24/01/2017
Testata giornalistica: Il Messaggero
Ed.nazionale - Il resort nato debole «Costruito sui detriti». L'allerta sulle slavine arrivata 4 giorni prima

PESCARA Da rifugio alpino a resort di lusso. Tutto in quarant'anni, tutto dentro la medesima dinasty di operatori con radici a Farindola, tutto dentro una catena di eredità contese, rapporti familiari complessi, un fallimento da 2 milioni e mezzo, un paio di processi. E il puntuale contorno di guerre personali e storie avvelenate di un paese troppo piccolo per un sogno troppo grande: quello di Ermanno Del Rosso, il padre fondatore dell'Hotel Rigopiano, deciso verso la fine degli anni '50 a dare anche una chance di turismo montano al territorio pescarese, marino per vocazione.
Il primo fotogramma è del 1958: una piccola baita in pietra su due piani, stile tipico novecentesco, sul versante aquilano del massiccio del Gran Sasso, che da Farindola dista mille metri di dislivello e pochi chilometri dello splendido altopiano di Vado di Sole, dal quale in estate si arriva a Campo Imperatore. Il set ideale per una quantità di film e sport pubblicitari, il percorso più amato dai bikers di mezza Italia.
I DOCUMENTI
Ma l'inverno no, è tutta un'altra storia e non è storia sconosciuta. Al centro delle indagini della procura di Pescara, in rifermento particolare all'ipotesi di disastro colposo c'è già una montagna di documenti acquisiti dalla Forestale, che fornisce risposta alla madre di tutte le domande: quell'albergo poteva sorgere lì, a 1200 metri di quota, sotto un altro chilometro di roccia? Difficile immaginare una risposta positiva alla luce dei primi dossier sul tavolo dei Pm Tedeschini e Papalia. L'ultimo, in ordine di tempo, contiene due atti della Regione Abruzzo: la mappa di rischio del 1991 e il piano di assetto idrogeologico del 2007, anno chiave in cui l'Hotel Rigopiano ha subito l'ultimo importante ampliamento. L'analisi del terreno fatto di detriti di antiche frane, le simulazioni e la valutazione dei tempi di ritorno di eventi significativi collocano l'albergo al centro di un cono nevralgico in cui qualcosa di brutto era da mettere nel conto in un arco di 50-100 anni. Ed è esattamente nel 1936 l'ultimo precedente paragonabile a quello di mercoledì 18. In mezzo ai due atti c'è la legge valanghe del 1992, che prevede inedificabilità totale della aree a rischio e chiusura invernale delle strutture esistenti: norme mai applicate per la mancanza della mappa esecutiva.
IL PRECEDENTE
Forse non poteva sorgere lì. Con norme più chiare difficilmente l'albergo della morte avrebbe potuto la possibilità di restare aperto d'inverno. Soprattutto nelle dimensioni assunte nel corso del tempo, attraverso gli ampliamenti del 1970 e del 2007, che hanno cancellato la baita degli anni 50. E qui l'inchiesta di Pescara affronta un altro tornate decisivo: è il precedente del processo relativo all'ultimo ampliamento, finito con assoluzioni e prescrizioni a novembre. Un giudicato, spiega il procuratore Tedeschini, che riguarda unicamente l'ipotesi di una mazzetta pagata dai proprietari dell'epoca e non impedirà di riprendere in mano i fascicoli e riesaminare la storia dal punto di vista del cosiddetto iter concessorio. «E evidente - spiega il procuratore - che ogni costruzione deve avere una storia amministrativa documentata. Questo edificio ha avuto nel corso degli anni vari step, l'ultimo mi sembra interessante». Anche alla luce del sopralluogo che i Pm Tedeschini e Papalia hanno svolto sul luogo della tragedia. Un flash che indica chiaramente la posizione dell'albergo distrutto al termine del canalone che ha dato potenza e velocità impressionati alla valanga di mercoledì.

L'allerta sulle slavine arrivata 4 giorni prima

PESCARA «Ritardi, incomprensioni, sottovalutazioni». Il procuratore di Pescara Cristina Tedeschini sceglie con cura i termini per definire la gestione dell'allarme sul crollo dell'Hotel Rigopiano. E li cala sul tavolo come un primo verdetto, bollando così il caos delle comunicazioni tra l'albergo e i terminali esterni: Comune, Provincia, Prefettura, titolari e soci, familiari degli ospiti. Dalle 7 di mattina del 18 gennaio fino al muro di gomma che, alle 18,20, respinge la telefonata di allarme di Quintino Marcella, bollata come «bufala. Sicuramente la pagina più brutta di questa storia maledetta. Ma nel giorno in cui l'inchiesta per disastro e omicidio colposo plurimo affronta il primo bivio importante, dividendosi in due filoni che setacceranno e separeranno tutto quanto di rilevante accaduto prima e dopo la valanga, le lancette dell'allarme mancato vanno messe indietro almeno fino al sabato precedente, 14 gennaio. È da questo momento, di fronte alla bufera che si abbatte sull'Abruzzo e il centro Italia, che i report quotidiani del servizio Meteomont della Forestale cominciano a innalzare il rischio valanghe fino al livello 4 di mercoledì 18, il penultimo gradino della scala. A pericolo crescente corrisponde una scala crescente di responsabilità, che parte dai Comuni e arriva alle Prefetture. Con una serie di ramificazioni intermedie che gli investigatori guidati dai Pm Tedeschini e Papalia stanno mettendo a fuoco sulla base delle prime carte sequestrate, compreso il piano valanghe della Regione, e soprattutto delle testimonianze verbalizzate a partire da ieri sera da Carabinieri e Forestale. Di certo c'è che le cartine Meteomont in mano agli inquirenti dividono l'Appennino in distretti, collocando la zona di Farindola in un'area che abbraccia Terminillo, Gran Sasso e Monti della Laga. Non possono che essere le autorità territoriali, sulla base dei dati raccolti sul campo, a circoscrivere le zone di reale pericolo e intervenire di conseguenza. In concreto, il giorno della tragedia di Rigopiano la sala operativa di Protezione civile era stata aperta dalle 10 del mattino, sotto il coordinamento diretto della Prefettura di Pescara, proprio per dare una lettura unitaria della bufera in atto in tutta la provincia dettando le gerarchie degli interventi di soccorso.
LA DOMANDA CHIAVE
È qui, nel cuore della macchina dei soccorsi, che l'inchiesta cerca risposte alla domanda cruciale dei aprenti delle vittime: si poteva fare di più, si poteva fare prima per andare a liberare i sepolti vivi di Rigopiano? Assodato che l'allarme respinto di Marcella, il primo a parlare chiaramente di «crollo», ha pesato per un'ora e 25 minuti sulla partenza della colonna dei soccorsi, di più potranno dirlo gli sms, le telefonate e i messaggi wathsapp partiti dai cellulari degli ospiti del resort, in parte già risputati dalla coltre di ghiaccio e neve e sequestrati dai carabinieri. Sul Punto l'inchiesta affronterà un altro tornante decisivo: un conto, spiegano gli inquirenti, è l'ansia crescente di uomini, donne famiglie terrorizzati dalla sequenza di quattro scosse sismiche, ma sostanzialmente da considerarsi al sicuro; altro conto è se sfocia apertamente nel panico la condizione di gente intrappolata a quota 1200 metri, in una scatola di cemento separata dal primo centro abitato da un muro di neve alto quattro metri e lungo undici chilometri. Un quadro che, a partire dalla mail partita alle 15,44 dalla direzione dell'hotel, a valle avrebbe dovuto risultare più chiara. Non ha aiutato il black completo delle linee elettriche e telefoniche, non hanno aiutato i «ritardi, incomprensioni, sottovalutazioni» elencati dal procuratore Cristina Tedeschini. Non ha aiutato, gettando un'ombra che peserà a lungo nel rapporto tra cittadini e autorità pubbliche, la risposta sprezzate ricevuta dall'uomo che chiedeva aiuto per conto dell'amico scampato miracolosamente al disastro: «Ancora questa storia? abbiamo verificato, è tutto a posto, è l'ennesima bufala. E non aiuterà lo scaricabarile che già si intuisce tra le istituzioni coinvolte nella gestione dell'emergenza. Ma la sorte dei sepolti vivi di Rigopiano, dicono le prime tessere in mano ai Pm di Pescara, appare segnata almeno da quattro giorni prima. Questione di giorni sapere anche da chi.

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