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Pescara, 24/07/2024
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Data: 24/01/2017
Testata giornalistica: Il Centro
Le vittime salgono a 9. Trovata Linda Salzetta. Ancora senza nome due uomini e una donna, i dispersi sono 20. Restano in ospedale due bambini e l’uomo operato al braccio Edoardo, 8 anni, ha saputo della morte dei genitori e ha chiesto di rimanere in reparto

PESCARA Lasciano l’ospedale, tornano a casa. Alcuni dei sopravvissuti alla valanga che ha spazzato via l’hotel Rigopiano sono stati dimessi ieri dallo “Spirito Santo” di Pescara, dove sono stati curati e assistiti psicologicamente. Ma a Rigopiano sale a 9 il numero delle vittime, dopo il recupero di altri quattro corpi: ieri i vigili del fuoco hanno individuato ed estratto dalle macerie il cadavere di Linda Salzetta, 31 anni di Penne, cameriera dell’hotel che il 7 maggio si sarebbe sposata. Gli altri tre corpi senza vita sono di due uomini e una donna. In ospedale sono rimasti solo due bimbi, ricoverati in due stanze diverse del reparto di Pediatria: sono entrambi in buone condizioni di salute e affidati agli psicologi, per affrontare questa fase delicatissima. Si tratta di Samuel, 7 anni, figlio di Domenico Di Michelangelo e Marina Serraiocco, entrambi dispersi a Rigopiano, ricordati ieri a Chieti in una fiaccolata di solidarietà, e Edoardo, 8 anni, i cui genitori, Sebastiano Di Carlo e Nadia Acconciamessa, sono morti sotto le macerie dell’hotel. È stato lo stesso Edoardo a chiedere di rimanere un altro giorno, perché in ospedale si sente protetto. E, se dovesse esprimere il desiderio di restare ulteriormente, la Asl valuterà il da farsi con gli psicologi che lo stanno seguendo e che hanno dovuto comunicare al piccolo la tragica notizia della morte dei suoi genitori. Una volta fuori dal reparto, il bimbo sarà affidato al fratello. Resta ricoverato anche Giampaolo Matrone, 33enne di Roma, che sabato è stato sottoposto a un intervento chirurgico al braccio destro, durato un’ora e un quarto. I suoi esami sono in leggero miglioramento, ha annunciato il direttore sanitario dell’ospedale Rossano Di Luzio leggendo il bollettino sanitario della giornata, e tra oggi e domani sarà valutato il trasferimento nel reparto di Ortopedia. Sono stati dimessi in mattinata, invece, i due fidanzati di Giulianova, Vincenzo Forti e Giorgia Galassi e poi tutti i componenti della famiglia Parete: oltre allo chef Giampiero, il primo ad essere recuperato a Rigopiano, sono rientrati a casa anche la moglie Adriana Vranceanu e i figli Ludovica e Gianfilippo, di 6 e 8 anni. Nel pomeriggio di ieri ha potuto lasciare l’ospedale anche Francesca Bronzi, 25 anni, le cui condizioni di salute sono buone ma attende di ricevere notizie del fidanzato, Stefano Feniello, uno dei venti dispersi. Sono state necessarie le cure dei medici anche per uno dei vigili del fuoco impegnati nelle ricerche a Rigopiano: è rimasto ferito a un dito medio ed è stato trasportato all’ospedale di Penne. Sul fronte delle ricerche ora si punta sulla cucina e sul bar, due locali divisi da un muro portante spesso 80 centimetri nel quale i vigili stanno cercando di aprire un varco. Questo dopo aver controllato tutta la zona occupata dalla hall, il centro benessere e la zona ricreativa dove, in due ambienti diversi, sono stati salvati prima Adriana Parete e suo figlio Gianfilippo e poi i tre piccoli Edoardo, Ludovica e Samuel. Le stanze prima delle cucine, invece, sono ridotte ad un cumulo di detriti, per cui restano solo la cucina e il bar e «dobbiamo entrare lì dentro», dicevano ieri gli uomini impegnati a Rigopiano. «È l’unica zona del corpo centrale dell’hotel dove non siamo arrivati ed è quella dove si trovava, presumibilmente, la maggior parte delle persone. Speriamo sia integro». Se si fosse creata una sacca di ossigeno, c’è la possibilità, teoricamente, che ci sia qualcuno in vita. Ieri è stata aperta un’altra pista tra l’area di raccolta dei soccorritori e il fronte dell’albergo, il che agevola l’afflusso di altri mezzi.


Lo sfogo accorato di Alessio Feniello: il figlio Stefano è uno dei venti dispersi «Chi è morto è stato ucciso, chi non si trova è stato sequestrato. Istituzioni penose»
«L’hotel doveva chiudere Avrei preferito morire io»

PESCARA «L'hotel non doveva essere aperto, secondo me. Doveva essere evacuato il martedì sera, quando è arrivato mio figlio. Se in Abruzzo non siamo in grado di assicurare il servizio, come avviene ad esempio in Trentino, le strutture devono chiudere. E, se voglio tornare a casa, nessuno me lo deve vietare». È durissima l’accusa lanciata da Alessio Feniello, padre di Stefano, uno degli ospiti dell'hotel Rigopiano che risulta nell’elenco dei dispersi. Inizialmente il suo nome era stato inserito tra quelli dei superstiti. Poi, però, non se n'è saputo più niente. E per il padre è impossibile mandare giù un fatto del genere così come non può accettare che suo figlio e la fidanzata, Francesca Bronzi, fossero pronti a lasciare l'hotel, mercoledì, prima della valanga, ma è stato impossibile andare via perché la neve bloccava la strada. La coppia è partita alla volta di Rigopiano martedì pomeriggio. Quel giorno Stefano festeggiava il suo 28esimo compleanno e la mamma gli ha chiesto di pranzare a casa, dopodiché si è messo in viaggio. «Prima di partire», spiega Alessio Feniello, «mio figlio ha chiamato il titolare dell'hotel e ha chiesto garanzie, per capire se poteva salire e scendere», visto che c’era l’allarme maltempo. «Telefonicamente gli hanno garantito il servizio, e per questo è andato». All'arrivo Stefano ha mandato un video al padre per rassicurarlo e gli ha mostrato la strada percorsa. «È pieno di neve», diceva Stefano al papà, «ma la Panda è uno spettacolo: siamo saliti senza catene». Poi è andato a rilassarsi con la fidanzata al centro benessere. Il giorno dopo, la vacanza-lampo per la coppia era finita: i due hanno preparato le valigie, liberato l'auto e montato le catene, in attesa dello spalaneve. Il padre ha tranquillizzato Stefano al telefono, avendo saputo da lui che c'erano delle difficoltà per la neve, e lo ha invitato a «scendere piano piano». Ma la partenza non è mai avvenuta perché «non gli hanno permesso» di allontanarsi dall'hotel, dice sempre Feniello sollevando la polemica su questo punto. Da quest'uomo in cerca di verità e giustizia arrivano accuse durissime. «Quelli che sono morti sono stati uccisi. E chi non si trova è stato sequestrato. Potevano mettere un trattore oppure, se avevano bisogno dei soldi del gasolio, potevano chiamare i parenti dei sequestrati», dice. Nel mirino anche «il proprietario dell’hotel che, anziché chiuderli in una stanza, doveva dire di avventurarsi, pur di scendere, anche smontando le porte dell'hotel e salendoci sopra». Se la prende con tutti, sostiene che «le istituzioni fanno pena. Nel 2017 non si possono permettere queste cose» anche perché «si sapeva da una settimana di una nevicata eccezionale». Poco importa, per Feniello, il mezzo da usare per fronteggiare l’emergenza maltempo: «un elicottero, il gatto delle nevi, le motoslitte, l'esercito. Qui andiamo a fare la guerra, andiamo a soccorrere i profughi in mare: è possibile che non si possono recuperare trenta persone? Le istituzioni si devono vergognare. Ci sono delle responsabilità e mi auguro che vengano accertate». Dopo giorni di attesa, di incertezza e di paura, Feniello parla a ruota libera, come un fiume in piena, e ripercorre la fase dei soccorsi, quella successiva alla valanga. La sera della disgrazia è partito con il papà di Francesca, Gaetano, per raggiungere l'hotel Rigopiano, è finito dietro la colonna mobile ma «il gasolio alla turbina è finito due volte», e la mattina dopo è arrivato «a 50 metri dall'hotel. Si stavano già dando il cambio, avevano ispezionato il centro benessere. Volevo scavare con le mie mani e prendere mio figlio e la fidanzata: ho promesso a mia moglie che gli avrei riportato Stefano». È complicato accettare che il nome di suo figlio sia stato inserito inizialmente tra i sopravvissuti, perché poi Stefano non è stato estratto. «Le autorità non si sono degnate di venire a smentire quello che mi hanno detto la sera in cui sono stati dati cinque nomi di superstiti». Feniello non riesce a perdonare il prefetto Francesco Provolo, che ha diffuso in prima persona le notizie sui sopravvissuti e gli è parso «molto arrogante, senza umanità, nei confronti di un padre che ha un figlio sotto alle macerie». C'è stato un momento in cui il papà di Stefano ha perso le staffe, annunciando che avrebbe «demolito tutto, se non ci avessero dato informazioni», racconta lui stesso. «Mi hanno portato dal prefetto, dal questore e dal vice ministro Bubbico. Ma io ho detto che con i (dice un insulto) non ci parlo. Non mi interessa se mi arrestano, se non torna mio figlio non ho niente da perdere. Avrei voluto morire io al posto di Stefano. Mi dispiace che non ci fossi io lì».

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