Aperte due inchieste: i carabinieri sequestrano i nastri delle telefonate
di Roberto Raschiatore
Davide De Carolis era rientrato sabato pomeriggio dall’hotel Rigopiano, luogo di dolore a Farindola. Neanche il tempo di lavare la divisa del Soccorso alpino che è tornato in missione, perché il collega Alessandro Marucci gli ha chiesto un cambio di turno. Le porte di un terribile destino hanno fatto salire De Carolis su quell’elicottero del 118 che con uno schianto ha aggiornato l’elenco delle tragedie di questi giorni sugli innevati monti dell’Abruzzo. De Carolis, 40 anni, orginario di Teramo ma da anni residente a Santo Stefano di Sessanio, dove era consigliere comunale, è una delle sei vittime del disastro avvenuto ieri poco prima di mezzogiorno su un costone di monte Cefalone, a Lucoli, poco dopo il valico della Crocetta. Soccorsi a uno sciatore. L’elicottero del 118 è decollato dall’aeroporto di Preturo per soccorrere uno sciatore rimasto ferito sulle piste da sci di Campo Felice, Ettore Palanca, 50 anni, di Roma. Una gamba fratturata, nulla di particolarmente serio. A bordo, oltre a De Carolis e a Palanca, c’erano il medico Walter Bucci, 57 anni, di Rocca di Cambio, anch’egli reduce da Rigopiano, l’infermiere Giuseppe (Peppe) Serpetti, 59enne, di Arischia, il pilota Gianmarco Zavoli, 46 anni, di San Giuliano a Mare (Rimini) e il tecnico di bordo e verricellista Mario Matrella, 42 anni, di Putignano (Bari). Sono tutti morti. Nebbia e vento. Nella zona c’erano una fitta nebbia e un vento che soffiava a 40 chilometri orari. Il pilota, stando alle prime informazioni raccolte dagli inquirenti, volava “a vista”. Era molto esperto, raccontano i colleghi, e quel tragitto lo conosceva. Ma le difficili condizioni metereologiche possono avere avuto il loro peso sulla tragedia. Schianto sul monte. L’elicottero, un Agusta Westland della ditta Inaer, in dotazione al 118 dell’Aquila per gli interventi in provincia e nel Teramano, era diretto al pronto soccorso dell’ospedale San Salvatore dell’Aquila. Pochi minuti dopo mezzogiorno un segnale di crash è stato raccolto dalla centrale operativa del 118 di Rieti. Immediato è scattato l’allarme, si è mobilitata la macchina dei soccorsi e si sono alzati in volo anche velivoli dell’Esercito. Mezz’ora dopo, quando la nebbia si è diradata, i rottami dell’eliambulanza sono stati avvistati sul ripido versante del Cefalone, a un paio di chilometri dalle piste da sci. In quel punto si erano concentrate le ricerche grazie a un segnale gps. Le prime squadre di soccorso hanno raggiunto il punto dell’impatto e hanno capito che non c’erano speranze per gli occupanti: solo uno di loro era stato sbalzato sulla neve, gli altri erano incastrati tra le lamiere. Le operazioni per il recupero sono andate avanti per circa tre ore, tra lo sgomento di tutti quei soccorritori che avevano lavorato con i componenti della squadra del 118. Lacrime e soccorsi. «Erano amici, li conoscevamo tutti», sussurra Luigi Piccirilli del Soccorso alpino di Avezzano, colui che la scorsa settimana è stato fra i primi a raggiungere l’albergo di Rigopiano devastato dalla slavina. Non ha vergogna delle lacrime il medico Americo Scarsella: «Una tragedia assurda, non si doveva andare a Campo Felice con un elicottero per una gamba rotta». I testimoni: «Volava basso». «Ci siamo meravigliati perché volava basso, troppo basso, poi è sparito nella nebbia», racconta Gianluca Marrocchi, sindaco di Lucoli. «Volava basso e piano, c’era molta nebbia. Quando l’elicottero è tornato indietro ho prestato attenzione, poi ho sentito un botto, un forte rumore, penso l’impatto con la montagna e ho chiamato subito il 118», è la testimonianza di Loris Fucetola, istruttore di fondo, il primo a dare l’allarme. Inchieste sulle telefonate. Per chiarire la dinamica della sciagura sono state aperte due inchieste, una della Procura dell’Aquila coordinata da Simonetta Ciccarelli, l’altra dell’Agenzia nazionale per la sicurezza del volo (Ansv) che ha inviato un team investigativo a Campo Felice. Oggi si tenterà di recuperare il registratore di volo, la cosiddetta scatola nera, mentre ieri sera i carabinieri hanno acquisito i nastri registrati delle telefonate con le richieste di soccorso e hanno ascoltato alcuni operatori del 118.
il medico del 118: lE stazioni sciistiche devono dotarsi di un’ambulanza
Calvisi: «Sono andati a morire per una frattura della tibia»
L’AQUILA Una tragedia come questa porta con sè sempre una domanda: si poteva evitare? Secondo Luigi Calvisi, medico del 118 dell’Aquila, la tragedia di Campo Felice poteva essere evitata. E spiega perché. Dottor Calvisi, c’era un modo? «Questa tragedia, dove sono morte sei persone – tre miei amici, oltre che colleghi di lavoro – si è verificata per una disgraziata concomitanza di eventi. Ma il motivo principale, che sto denunciando da anni, è che le stazioni sciistiche devono dotarsi di un’ambulanza. Lungi da me addossare responsabilità al titolare dell’impianto, ma è tempo che si investa anche su questo. Pongo una domanda: è possibile che sei persone muoiano per la frattura di una tibia?». Perché insiste su questo argomento? «Avete presente quando nelle partite di calcio, da un certo livello in su, negli stadi si vedono le ambulanze? Le società sono obbligate ad avere il mezzo di soccorso. Perché le piste da sci no? Eppure sono centinaia gli infortuni». Perché la tragedia di Campo Felice? «C’è prima da chiarire come funziona il protocollo, così capiamo perché è partito l’elicottero. Abbiamo in dotazione tre ambulanze: una con medico a bordo, ed è per il codice rosso e interviene se la distanza non supera i 20 minuti di percorrenza, altrimenti va l’elicottero, sempre con medico a bordo. Se c’è un codice verde o giallo, abbiamo altre due ambulanze, con il solo infermiere a bordo. Il caso di Campo Felice non era un codice rosso». E allora come mai si è alzato l’elicottero? «Perché le due ambulanze con infermiere erano impegnate in altri interventi. Per arrivare a Campo Felice occorrono 30 minuti, quindi più del tempo previsto dal protocollo. C’era l’ambulanza con medico per il codice rosso, ma tra andata e ritorno avrebbe impiegato un’ora e mezza e per tutto il tempo avremmo tenuto l’intero territorio scoperto. Così si è deciso di inviare l’elisoccorso. Il comandante prima di alzarsi in volo ha controllato le condizioni meteo, perché l’ultima parola spetta a lui: se non si può, l’elicottero non vola». Quindi, secondo lei, il comandante ha ritenuto che ci fossero le condizioni per andare a prendere il ferito? «Evidentemente sì, altrimenti non si sarebbe alzato. Ma una volta sulla piazzola a Campo Felice, non è stata segnalata la “ripartenza”, come avviene di solito. L’elicottero non ha spento neppure le pale ed è ripartito subito, segno che il comandante aveva capito che le condizioni meteo stavano cambiando. Ma se ci fosse stata un’ambulanza sul posto in dotazione all’impianto, il ferito in 30 minuti era in ospedale. Sei persone sono morte inutilmente. Sa cosa accade in Trentino e Valle d’Aosta?». No, cosa? «Ci sono delle tariffe, 120 euro al minuto: se l’elisoccorso viene chiamato in maniera impropria, paga l’utente. Un intervento con l’elicottero costa dai 2.000 ai 3.000 euro».
Amici nella vita e nella morte. Walter il medico gentile sull’ultimo volo al posto del collega. E Peppe il gigante buono del 118 tra elicotteri e ambulanze
L’AQUILA Era l’estate del 1985 quando la vita mi regalò l’amicizia di Walter Bucci. Mi era caduta la borsa accanto alla fontanella di via Garibaldi, a L’Aquila, di fronte a piazza San Silvestro, all’angolo di via delle Streghe. Tutto il contenuto della sacca era sui sampietrini. Lui mi aiutò a raccogliere matite, fazzoletti, monete, con gentilezza, semplicità, simpatia, gli stessi tratti che lo hanno accompagnato per tutta la vita. Mi disse che studiava medicina, perché il suo desiderio era quello di aiutare le persone. In passato aveva vissuto e studiato anche a Sulmona, dove lavorava il papà carabiniere. Dopo la laurea la specializzazione in Medicina interna, poi quella in Cardiologia, le prime guardie mediche e infine l’approdo al pronto soccorso di Avezzano, al 118 di Carsoli, e poi all’Aquila. Nel frattempo, Walter si era sposato ed era diventato padre di due bimbe. Lo si vedeva in giro col passeggino, col volto sempre sorridente, orgoglioso dei suoi tesori. Spesso lo incontravo in piazza Duomo con le bambine, e fu proprio durante uno di questi incontri con rispettivi figli piccoli al seguito che mi disse di essere entrato nei volontari del soccorso alpino. Walter su quell’elicottero c’era salito un’infinità di volte, per salvare vite umane. Non è possibile tentare di stabilire con precisione quante persone abbia soccorso, spesso in condizioni estreme, tentando il tutto per tutto e senza arrendersi mai alla stanchezza. Per tutti aveva una parola buona. «Non puoi capire», diceva, «cosa significa avere tra le mani la vita di una persona, guardarla negli occhi, e non poter fare niente». No, non potevo capire, ma cercavo di immaginare il mio amico Walter a bordo del “suo” elicottero che si calava con la fune per recuperare un ferito in un canalone sul Gran Sasso, pieno di neve. Era lui che raggiunse la montagna di Rocca di Cambio sulla quale, nel 2002, si schiantò un Cessna. Lo trovai provato, stravolto, non per la fatica, ma perché non era riuscito a fare niente per quegli uomini dell’equipaggio che dall’Ucraina erano venuti a morire in Abruzzo. L’ultima volta che l’ho sentito è stato qualche settimana fa. Era con un altro amico, che arrampicava su una falesia nei dintorni di Capestrano, ma non vedeva l’ora di scendere, perché la sua compagna lo stava aspettando. Ho saputo da amici comuni che era stato tra i primi soccorritori ad arrivare, con gli sci, all’hotel Rigopiano, dormendo qualche ora in ambulanza durante i turni di riposo per poi tornare a scavare tra le macerie. Poi, era tornato all’Aquila, al suo lavoro “normale”, fino a ieri mattina. Non doveva esserci su quell’elicottero, perché non era il suo turno. Aveva chiesto di sostituire un collega. Più tardiva, ma non meno significativa, l’amicizia con Peppe Serpetti, il gigante buono del 118 dell’Aquila. Brillante, simpatico, intelligente, sempre di buon umore, anche quando le cose non andavano troppo bene. Schietto, onesto, perbene, Peppe lo avevo incrociato per motivi professionali, facendo il classico “giro di nera”, ed era nata una bella amicizia. Ci fermavamo spesso a parlare, quando le esigenze di lavoro lo permettevano, quando non era in giro su elicotteri o a bordo di ambulanze a salvare, anche lui, vite umane. La prima volta che lo vidi all’opera fu durante un concerto della Perdonanza, sul prato di Collemaggio. Stava prestando soccorso a una ragazza che aveva accusato un malore. Le parlava con una calma rassicurante, e io riuscii a dare un volto a quella voce che conoscevo da mesi, solo per telefono. Aveva lavorato tanti anni a Roma, prima di tornare all’Aquila. L’ultima volta che l’ho visto è stato il 6 aprile del 2009. Ero al campo sportivo di Paganica, con gli altri sfollati, quando vidi arrivare l’elicottero e mi avvicinai. Scese Peppe, e nonostante il disastro intorno, mi sentii tranquilla. Dopo il terremoto Peppe aveva incontrato la donna della sua vita e l’aveva sposata. Hanno avuto due bellissimi bambini. Me lo raccontò, per telefono, sempre durante un giro di nera. Mi disse che era felice.