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Pescara, 24/07/2024
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Data: 25/01/2017
Testata giornalistica: Il Centro
Del Rosso non ce l’ha fatta. Trovato anche Di Pietro. Si allunga la lista delle perdite. Le vittime della valanga sono 18. Continuano i riconoscimenti: oltre al titolare dell’albergo e all’allenatore due dipendenti, una coppia marchigiana e Feniello. E il papà accusa un malore

PESCARA Le ultime parole le ha scambiate via whatsapp con la moglie Emira, la compagna di una vita che senza immaginarlo, senza saperlo, lo ha accompagnato fino alla morte che lo ha sorpreso mentre “messaggiava” con lei sulle emergenze della giornata. Nella sala lettura del resort, tra la cassa e la hall erano le 16,48 di mercoledì scorso quando Roberto Del Rosso ha smesso all’improvviso di rispondere. Schiacciato dalla valanga che ha tirato giù tutto il resort. Tra le vittime accertate ieri c’è anche lui, il designer pescarese di 53 anni (a marzo), padre di due figli di 8 e 15 anni, che con il suo entusiasmo e il suo infinito amore per quei posti aveva trasformato l’hotel di montagna, ereditato dallo zio, in un resort a quattro stelle che era l’orgoglio suo. Ma anche di tutta la comunità che Del Rosso aveva contribuito a rilanciare e a unire. Ma non solo Roberto. Purtroppo da ieri il bollettino di morte è stato tradotto via via dai familiari chiamati a turno a riconoscere da una foto il proprio caro. Così è toccato anche alle figlie di Piero Di Pietro, 54 anni da compiere a febbraio, dirigente della Tua e bandiera del Lauretum calcio, dove aveva militato come calciatore prima, e come allenatore poi, portando la squadra del suo paese fino alla promozione in Eccellenza. Per poi dedicarsi ad allenare i bambini. Ieri Piero Di Pietro sarebbe dovuto essere a Roma, alla Sapienza, ad assistere alla laurea in Giurisprudenza di una delle sue due figlie. Che invece, dopo quasi una settimana di disperata attesa, si sono dovute arrendere come avevano già dovuto fare per la madre, Barbara Nobilio, 51 anni originaria di Roma. Con il marito sarebbero dovuti stare una notte, una notte soltanto, al resort di Rigopiano, insieme a Sebastiano e Nadia Di Carlo e al loro bambino Edoardo. Unico superstite di quella maledetta spedizione. E ancora. Stefano Feniello, 25 anni, originario di Salerno ma residente a Città Sant’Angelo, dipendente della Cordivari e un diploma all’istituto tecnico di Montesilvano. Di lui, e per lui, ha parlato in questi giorni il padre Alessio, vittima a sua volta di un terrificante equivoco che l’ha quasi fatto morire due volte. Perché gli hanno detto che era salvo. E poi invece no. Per giorni, e fino a ieri, che ha avuto un malore, il povero genitore si è aggirato tra i corridoi dell’ospedale in attesa di una comunicazione che non arrivava. Ogni tanto uno sfogo davanti alle telecamere e sempre la stessa accusa: «Mio figlio e le altre vittime sono state sequestrate. Mio figlio e tutti gli altri se ne volevano andare. L’ultima telefonata alla madre, “sono le quattro e ancora non vengono a pulire la strada”». Stefano che lì c’era arrivato martedì 17 gennaio, ma di pomeriggio, perché la mamma gli aveva chiesto che almeno questa volta festeggiasse a casa gli anni. E allora lui ha pranzato a casa e poi con la Panda, insieme alla sua Francesca con cui progettava già il matrimonio, è salito fin su a Rigopiano. «Tutto bene, siamo saliti senza catene», la rassicurazione al padre. Per poi chiamare la mattina seguente e dire, dopo il terremoto, che erano pronti per andarsene, stavano “solo” aspettando lo spazzaneve annunciato per le due. E invece, lui è morto e la fidanzata Francesca, che intrappolata com’era riusciva a vederne il braccio, si è salvata. Ai soccorritori l’ha detto subito: lì sotto c’è Stefano. Che però non sentiva parlare almeno dal giorno prima. Anche Linda Salzetta, 31 anni di Penne, se ne voleva andare e non ce l’ha fatta. Doveva andare a Pescara, a scegliere definitivamente il vestito da sposa. Ma la neve, la troppa neve, non le aveva consentito di lasciare l’albergo dove lavorava come addetta alle stanze. E allora lì anche mercoledì, con l’ultima foto (che pubblichiamo) che la ritrae la sera prima con la neve addosso. Lunedì pomeriggio è stata ritrovata dove da giorni il fratello Fabio diceva che doveva trovarsi: dietro una nicchia in cucina. È lì che l’aveva vista pochi minuti prima della valanga ed è lì che, senza vita, è stata ritrovata insieme ad altri suoi colleghi. Tutti ragazzi, un’unica famiglia di cui anche Fabio, il fratello di Linda Salzetta faceva parte. Ma lui s’è salvato perché come manutentore dell’albergo pochi minuti prima della valanga era andato nel vano caldaia. Da lì dentro ha sentito sbattere la porta, un rumore sordo. È uscito e l’hotel non c’era più. Quando a notte fonda sono arrivati i primi soccorritori è rimasto con loro. A cercare, a chiamare, a dire tutto quello che ricordava per salvare la sorella e tutti gli altri. Ma niente da fare. Neanche per il senegalese Faye Dame, 42 anni che grazie al contratto di lavoro che gli aveva fatto l’albergo Rigopiano era riuscito da poco a rinnovare il permesso di soggiorno a Torino. Era stato inserito nell’elenco dei dispersi dopo qualche giorno dal dramma, dopo che la console onoraria del Senegal a Torino aveva cercato in tutti i modi di rintracciare qualcuno che lo conoscesse. E alla fine era uscita la fidanzata che Faye voleva sposare. Ma il bollettino ha aggiunto un’altra coppia: Marco Vagnarelli e Paola Tomassini, di Castignano, provincia di Ascoli. E oggi si continua.


Si allunga la lista delle perdite. Le vittime della valanga sono 18
D’Angelo del dipartimento della Protezione civile: non ci fermeremo fino a quando non avremo la certezza che là sotto non ci sia più nessuno: stiamo scavando nel cuore della struttura

PESCARA Quello che tutti speravano, purtroppo, non si è avverato. Dietro il muraglione di cemento armato spesso 80 centimetri che separava la parte già controllata dell’hotel dalle cucine e dalla hall dell’albergo non ci sarebbero sopravvissuti. La triste conta dei corpi è iniziata lunedì, quando i vigili del fuoco sono riusciti a bucare quel muro e ne hanno trovati quattro. Ma la parte peggiore doveva ancora arrivare perché ieri il termometro della morte ha iniziato inesorabilmente a salire. Per tutta la giornata. Fino a portare a 18 (dieci uomini e otto donne) il numero delle vittime accertate. Dunque, tolti gli undici sopravvissuti (tra cui anche Giampiero Parete e Fabio Salzetta che al momento della valanga di mercoledì scorso si trovavano fuori dall’albergo) a ieri erano ancora 11 i dispersi per cui comunque, e fino all’ultimo, i soccorritori continueranno a scavare. «Non ci fermeremo fino a quando non avremo la certezza che non ci sia più nessuno», ha ribadito Luigi D’Angelo, il funzionario del dipartimento della Protezione civile al centro di coordinamento dei soccorsi a Penne, «stiamo scavando nel cuore della struttura e dobbiamo continuare a cercare fino alla fine». Ma lo scenario che si sono trovati davanti i soccorritori che dall’alba di giovedì scorso sono su quella montagna di neve e ghiaccio che ricopre l’albergo di tre piani raso al suolo, lascia poche speranze. «C’è ancora da lavorare», riferisce Antonio Crocetta, delegato regionale del soccorso alpino, «ci sono ancora altri locali da ispezionare, l’ufficio della direzione, altre zone, e finchè c’è da scavare ci sono ancora speranze», dice. Ma non esclude altre vittime, perché la hall è già stata quasi tutta controllata e quel che resta delle cucine è un inferno. Sotto l’enorme mole della valanga che ha tirato giù come un castello di sabbia i tre piani dell’albergo, sono collassati i muri di quella zona compresa tra la hall e le cucine, la zona dove si sarebbe radunata gran parte dei dipendenti e degli ospiti della struttura che una settimana fa aspettavano di ripartire. In attesa della turbina che gli doveva liberare la strada verso la salvezza che invece non è arrivata. «Dietro quel muro», riferiscono all’Ansa alcuni soccorritori, «c’è un ammasso di neve ghiacciata e compatta, tronchi d’albero, fango, detriti della frana e pezzi di cemento. Tutto frullato insieme. Mai vista una cosa simile. L’unica cosa che ci possiamo augurare, a questo punto, è che siano tutti lì e che li troviamo prima possibile». E mentre su quella montagna di morte sono arrivate le ruspe a rimuovere le macerie e la neve tirate fuori dall’esercito di soccorritori (quasi 250 persone), a Pescara, nell’aula magna dell’ospedale dal pomeriggio di ieri sono iniziati i primi riconoscimenti da parte dei familiari, a mano a mano che i corpi arrivavano all’obitorio. E da lì poi a Chieti, per le autopsie disposte dalla Procura. Un limbo odioso per madri e padri, fratelli e sorelle e tutto un mondo di storie e affetti che da venerdì mattina, dalla notizia dei primi sopravvissuti, si sono ritrovati a Pescara, provenienti dalle Marche, dall’Umbria, da Roma e dalle varie province abruzzesi. Familiari che aspettano di sapere, ma che al tempo stesso pregano di non essere loro a venire convocati negli uffici della direzione sanitaria dove, con i carabinieri, e assistiti dagli psicologi, si è svolto ieri il triste rituale del riconoscimento. Una foto, «è lui», o «è lei». E la vita che non è più vita. «Da stamattina ci hanno detto che tra i corpi recuperati ci sono delle donne e sto diventando pazza al pensiero che possa essere mia figlia», riferisce distrutta una madre a fine serata, sesto giorno della sua via Crucis. «È un’attesa straziante». Ma oggi si ricomincia. Con i soccorritori che scavano e i familiari chiamati a riconoscere i propri cari. Mentre non si smette di cercare gli 11 dispersi.

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