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Pescara, 24/07/2024
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Data: 25/01/2017
Testata giornalistica: Il Messaggero
Il caos dei soccorsi sentita la telefonista «Non decidevo io». Meteomont ignorato: faro sulla Prefettura

PESCARA La telefonata della vergogna è quella delle 18,20; la macchina dei soccorsi della Prefettura di Pescara, però, comincia a perdere giri un'ora e nove minuti prima, alle 17,09 di mercoledì 18 gennaio, quando al centralino del 118 arriva la prima telefonata di Giampiero Parete, lo scampato che ha visto la valanga inghiottire l'Hotel Rigopiano con dentro sua moglie, i suoi figli e altre 35 persone. Da lassù, 1200 metri di quota, sotto una bufera violentissima, Parere fatica a prendere la linea e il suo cellulare aggancia prima Chieti e poi, finalmente, l'ospedale di Pescara. L'uomo è agitatissimo: «... Chiamo da Rigopiano... aiuto, è caduta la cosa... la cosa... la cosa...». Indugia tre volte prima di trovare la parola valanga. Poi aggiunge «forse il terremoto... L'albergo è crollato, ci sono dispersi, c'è gente sotto». Nei protocolli d'emergenza, un tale stato di agitazione deve far scattare immediatamente il codice rosso. Sembra invece che l'informazione rimbalzata subito dopo alla sala operativa della Prefettura sia stata di questo tenore: «Pare crollato un albergo». Sul punto gli investigatori della squadra mobile sono ancora cauti perché a parlare non sono le registrazioni delle telefonate, ma le prime testimonianze raccolte tra i presenti al tavolo dell'emergenza, che sempre di più appare come il luogo dei «ritardi, incomprensioni, sottovalutazioni» che il Procuratore Cristina Tedeschini ha annotato fra i primi dati certi di questa storia maledetta. A brillare, fra le deposizioni, è quella della funzionaria che ha sbrigativamente liquidato, alle 18,20, l'amico di Parete Quintino Marcella, definendo «una bufala, «uno scherzo», la segnalazione della valanga. È una funzionaria di grado elevato, addetta all'area economico-finanziaria, dirottata per l'occasione nella sala operativa di Protezione civile. Con molte incertezze e qualche non ricordo, di fronte all'evidenza della sua voce incisa su un file, ha confermato alla fine i fatti di quella sera, parlando però di «informazioni condivise» dai presenti, in una condizione complessiva «di grave concitazione». E aggiunge: non dovevo decidere io.

IL RITARDO SI AGGRAVA Al netto dell'autodifesa, c'è quanto basta, dopo cinque giorni di indagini, per parlare di una macchina dei soccorsi partita con più dell'ora e mezza di ritardo ipotizzata in un primo momento. In concreto, prima delle 20 non si muove nulla. E quello che accade dopo le 17,09 non è esattamente l'applicazione di un codice rosso a una probabile strage di proporzioni gigantesche. Viene prima chiesto al nucleo areo della Guardia costiera un sorvolo dell'area: «Impossibile - è la risposta - le condizioni meteo non lo consentono». Poi si perde altro tempo, si tenta invano di chiamare l'albergo, fino alla telefonata che alle 17,40 raggiunge il direttore Bruno Di Tommaso, che alla richiesta di notizie sul crollo risponde: «Non mi risulta, ci siamo sentiti poco fa». Soltanto questo dettaglio rivela che al momento Di Tommaso non fosse presente a Rigopiano. Nessuno sembra aver approfondito un punto decisivo, con l'uomo che alle 15,44, via mail, aveva già rappresentato un quadro allarmante. È il cortocircuito che ingenera definitivamente nei presenti, un team di 15 persone guidato dalla vice prefetto Ida De Cesaris, il tarlo dello scetticismo.

L'OMISSIONE In questo clima generale, alle 18,03 Quintino Marcella viene raggiunto da una chiamata wathsapp di Giampiero Parete e si incarica di rilanciare l'allarme. Quello che avviene 17 minuti dopo è noto: «Ancora questa storia dell'albergo crollato? - risponde la funzionaria -. Abbiamo verificato, è stata smentita, abbiamo sentito l'albergo due ore fa. È una delle bufale che circolano in questi giorni». C'è una voce in sottofondo, a questo punto, che irrompe affermando «a Rigopiano è crollata soltanto la stalla di Marinelli». La frittata è ormai fatta e il suo peso, sul piano processuale, non sarà irrilevante. La squadra mobile, in attesa di interrogare la responsabile della sala operativa, mette un punto su una colossale prova di inefficienza in cui molti sarebbero venuti meno ai loro doveri di ufficio. Un'omissione, insomma, a valle della quale c'è un bilancio di vite umane ogni giorno più grande. E questo, insieme al fatto che i sepolti vivi di Rigopiano sono stati uccisi da una valanga il cui rischio non è stato valutato a dovere imprime all'inchiesta una prima direzione di marcia.

L'INCHIESTA
Meteomont ignorato: faro sulla Prefettura

PESCARA L'attenzione della procura di Pescara si accentra sempre più sull'allerta meteo valanghe che era stato lanciata in tempo utile, ma che sembra essere rimasta bloccata da un corto circuito istituzionale. Il disastro dell'hotel Rigopiano poteva essere evitato? E' l'interrogativo che si pongono i magistrati perché, in questa fase ancora fluida dell'inchiesta, un punto fermo arriva dalla causa delle morti: provocate dai traumi conseguenza della valanga che ha distrutto il resort di lusso. Ieri carabinieri e uomini della forestale sono tornati negli uffici della Regione per effettuare una serie di acquisizione di documenti. Gli investigatori hanno portato via tutta la documentazione, tutti gli atti propedeutici alla realizzazione del piano valanghe, mai realizzato anche se la legge risale al 1992.
Il procuratore Cristina Tedeschini e il sostituto Andrea Papalia vogliono approfondire questo aspetto dell'inchiesta e cioè quello che determinate istituzioni pubbliche avrebbero dovuto fare o potuto fare per evitare tutte quelle morti. E questo aspetto dell'indagine, per come sta evolvendo, conduce inevitabilmente ad evidenziare eventuali possibili carenze della macchina organizzativa, a cominciare dalla Prefettura. Il meteomont, citato più volte dal Pm nell'ultima conferenza stampa, che diffonde a precisi destinatari istituzionali i propri bollettini meteo che dovrebbero essere attentamente vagliati, arriva innanzitutto in Prefettura. E anche quel bollettino del 17 gennaio, e cioè due giorni prima della tragedia, dove si evidenziava la crescita del livello di allerta valanghe da moderato 2 a forte 4, vicino al massimo che è 5, venne trasmesso alla Prefettura alle ore 13,42 dalla centrale operativa Abruzzo del Corpo forestale dello Stato.
Cosa venne fatto dal momento che quel meteomont arrivò a destinazione e cosa non venne fatto, diventa per la procura di Pescara una priorità dell'inchiesta. Il sindaco di Farindola ha sempre dichiarato di non aver ricevuto nulla a riguardo, forse a causa dell'interruzione della corrente elettrica, ma quando c'è un'allerta del genere è forse doveroso accertarsi in qualsiasi modo che la comunicazione sia andata a buon fine. Il resort poteva dunque essere sgombrato in tempo utile mettendo in grado gli ospiti, che pure avevano fatto presente quel forte disagio, di lasciare la struttura, attivandosi, ognuno per proprio conto, responsabili dell'albergo compresi, per rendere percorribile l'unica strada che conduce all'hotel Rigopiano, prima che venisse sommersa da quella incredibile nevicata.
IL PRIMA Tutto questo riguarda quanto accadde prima della valanga, più legato all'ipotesi di disastro colposo, ma anche il post valanga riprende quota in relazione alle prime telefonate di aiuto sottovalutate dalla centrale della Prefettura. Ieri la squadra mobile ha ascoltato una delle tre funzionarie che si occupavano di ricevere quelle telefonate. Una testimonianza molto confusa e poco utile che dimostra soltanto il caos totale che c'era. La prima telefonata in Prefettura arriva alle 17,08 dal 118, che a sua volta aveva ricevuto il primo allarme dal cuoco Giampiero Parete. Questa telefonata viene in sostanza condivisa da diverse persone e anche sottovalutata: «Pare che sia crollato un albergo a Farindola», questo il tono che porta a fare una verifica con il Di Tommaso, amministratore dell'hotel che non era sul posto, che dice di aver telefonato poco prima in albergo e che tutto andava bene. E non si fa niente più fino alle 19,40.

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