L’AQUILA - “Può anche non avvenire a breve, ma i grandi eventi prima o poi ci saranno: la geologia non fa sconti e noi stiamo riassistendo a eventi che nella storia ci sono già stati”.
Non è allarmismo né previsione di forti terremoti, quello che porta a sbilanciarsi in questo modo nell’intervista esclusiva ad AbruzzoWeb Domenico Giardini, geofisico, referente del settore sismico della commissione Grandi rischi.
Ex presidente dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (Ingv), docente di Sismologia al Politecnico di Zurigo, è lui uno degli autori del verbale che, sintetizzato, è finito sui media e nell’opinione pubblica ha dato il via alla grande paura nell’Aquilano, già provato dal gelo e dalle scosse.
Una psicosi che si è generata malgrado gli sforzi dell’organo scientifico consultivo della presidenza del Consiglio, noto all’Aquila per il processo subìto nel 2009 e concluso dalle assoluzioni definitive degli scienziati, di garantire una comunicazione efficace all’organismo cui spetta per legge diffondere le informazioni, la Protezione civile.
Un rischio, quello di forti eventi, già evidenziato nelle precedenti riunioni della Cgr, ma che solo stavolta ha creato terrore, viste le “ferite” ancora fresche. Sempre in ambito comunicazione, Giardini ammette “l’equivoco” creato dalle parole del suo presidente della Cgr, Sergio Bertolucci, fisico delle particelle, che sulle dighe attorno al lago di Campotosto ha parlato di “rischio Vajont”, poi ritrattanto.
A questo giornale Giardini conferma il rischio, delineando con maggiore precisione le tre zone rimaste fin qui silenti, almeno di grandi eventi, delle quali parlava il verbale che, da qui a un tempo X, impossibile da prevedere, potrebbero rilasciare forti scosse: la prima, tra Cascia, Norcia e Montereale; la seconda, tra Amatrice, ancora Montereale, Campotosto e Pizzoli; la terza, tra Muccia e Camerino.
Come avviene la comunicazione delle valutazioni della commissione Grandi rischi alla Protezione civile?
Dal punto di vista generale, la Cgr ha un unico prodotto ufficiale, il verbale delle riunioni indirizzato al capo dipartimento della Protezione civile. Quando necessario, questo viene sintetizzato in un comunicato stampa diffuso dalla Protezione civile e il verbale integrale viene messo a disposizione su richiesta. Controlliamo con il dipartimento tutti i verbali, per essere sicuri che non ci siano incomprensioni e che loro siano in grado di fornire spiegazioni. La parola ufficiale è quella che c’è nei documenti ufficiali. Abbiamo svolto tre riunioni sulla recente sequenza di terremoti che ha colpito la regione dell’Appenino Centrale: il 25 agosto, il 28 ottobre e un’altra il 20 gennaio, dopo gli ultimi eventi più a Sud, nella zona di Montereale. Quello che è uscito, ed è andato sulla stampa, però, stavolta sembra aver creato confusione.
Conferma anche lei che l’ultima riunione della Cgr non ha detto nulla di nuovo?
Non proprio. Il rischio di eventi di magnitudo 6-7 in queste zone e le faglie più esposte erano già state evidenziate nelle riunioni precedenti. La domanda che ci poniamo sempre è se i fenomeni in atto stiano esaurendo o meno il potenziale delle faglie attivate dalla sequenza sismica. Questa è una zona molto complessa, con una serie di faglie di cui si vedono vari segmenti, ma che hanno come estensione l’intero Appennino. L’area si estende di circa 3 millimetri ogni anno, e questi 30 centimetri al secolo devono andare prima o poi in forma di terremoto: in generale, più tempo passa, più il terremoto sarà grande. La valutazione della Commissione a seguito degli eventi del 18 gennaio è che la sequenza non mostra ancora segni di esaurimento.
Da dove nasce la sequenza attualmente in corso e perché si rischia un forte evento?
Premetto che il modello di pericolosità sismica nazionale mostra che gran parte del territorio nazionale è soggetta a rischio sismico più o meno elevato. Qui parliamo solo delle zone che potrebbero essere interessate da una continuazione della sequenza in corso. Questa sequenza può essere considerata come una tipica attività sismica appenninica, e come tale aspettata sulla base della storia sismica e del contesto sismo-tettonico regionale. Un aspetto di questa sismicità è che le sequenze possano durare nel tempo e propagarsi ai segmenti limitrofi, come già avvenuto, per esempio, per gli eventi del 1703 (con una durata di oltre un anno e due grandi eventi di magnitudo circa 6.7-6.9 a distanza di un mese), del 1639 (almeno due grandi eventi comparabili a distanza di una settimana), di Colfiorito (1997, M6.0, con una sequenza di sei eventi di magnitudo oltre 5.2 su una durata di sei mesi) e ora nella zona di Amatrice, con tre eventi di M5.9-6.5 nell’arco di 2 mesi.
La sismicità della zona si concentra su due allineamenti principali, con faglie ben sviluppate e mappate in superficie, entrambi con sismicità storica importante. L’allineamento più occidentale ha prodotto in epoca storica i due terremoti del 1703, responsabili anche per la distruzione dell’Aquila, e più recentemente i terremoti di Norcia (1979, M5.9), Umbria-Marche (1997, M6.0) e L’Aquila (2009, M6.2). L’allineamento più orientale, il sistema di faglie del Monte Vettore-Gorzano, corre parallelamente al primo, con una separazione di circa 20 chilometri; in epoca storica ha registrato la sequenza del 1639 e ora la sismicità in corso da agosto. Vari sistemi e segmenti di faglia, contigui a quelli già attivati sino a oggi, non hanno prodotto terremoti di grandi dimensioni negli ultimi tre secoli, e hanno le dimensioni e il potenziale di produrre terremoti di magnitudo 6-7.
Il verbale parla di tre zone a rischio. Può aiutare a identificarle?
La prima zona identificata è il segmento della faglia più occidentale compreso tra le sequenze di L’Aquila del 2009 e quella dell’Umbria-Marche del 1997; questo segmento si è attivato durante i grandi eventi del 1703, ma non ha prodotto sismicità significativa negli ultimi decenni, e si trova subito a Ovest della sequenza in corso.
La seconda?
Le ultime scosse, che hanno interessato la zona di Montereale e paesi vicini, hanno avuto una magnitudo di 5-5.5 e hanno coinvolto il segmento meridionale della faglia di Gorzano che continua. È ben possibile che questo segmento possa riattivarsi con un evento di maggiori dimensioni, così come è avvenuto nella zona a Nord di Amatrice. In quel caso, l’evento di magnitudo 6.5 del 30 ottobre ha “ribattuto”, usiamo questo termine, faglie che si erano già mosse con eventi più piccoli il 24 agosto e 26 ottobre.
La terza zona di rischio?
È l’estensione a Nord della sequenza sulla faglia del Monte Vettore, verso le Marche. Attenzione. Non vuol dire che questi terremoti arrivino domani, ma queste sequenze estese nel tempo e su segmenti contigui nell’Appennino non sono eccezioni.
Per quanto tempo si dovrà stare in allerta?
La sismicità del passato mostra che le sequenze sismiche più importanti nell’Appennino possono durare anche oltre un anno un anno e, a oggi, non vediamo alcun segno che questa si stia esaurendo. Dopo novembre la sismicità è andata crescendo nella zona meridionale ed è culminata con gli eventi di magnitudo 5 del 18 gennaio. Bisogna, però, sempre sottolineare che non c’è nessun modo per prevedere i terremoti. Il nostro compito è identificare per la Protezione civile possibili scenari di cui si deve preoccupare.
Veniamo al problema delle dighe.
Le scosse sismiche possono produrre danni da scuotimento o da fagliazione superficiale. Per eventi di maggiori dimensioni, con magnitudo oltre 6 e 6.5, la fagliazione può arrivare in superficie e creare una rottura; il 30 ottobre il terreno si è rotto lungo vari chilometri e in alcuni punti con oltre un metro di rigetto in superficie. Questo può creare complicazioni se la rottura passa sotto un’infrastruttura critica o nelle sue vicinanze. L’espressione superficiale della faglia di Gorzano passa sotto il lago di Campotosto e vicino alla diga Rio Fucino, una delle tre dighe del bacino. La possibilità di un evento di grandi dimensioni su questa faglia implica anche la possibile fagliazione superficiale. Questo non significa che la diga sia necessariamente a rischio di crollo o di inondazione, ma la Commissione ha sollecitato le autorità competenti a effettuare accurate verifiche, considerando la possibilità di un tale scenario.
L’espressione “effetto Vajont” usata dal vostro presidente che significato voleva avere?
Ritengo che si tratti di un equivoco, in quanto questa espressione non viene dalla nostra comunicazione ufficiale. Il Vajont è tutt’altra zona, con una topografia molto pronunciata; una frana molto grande provocò un’onda che passò sopra la diga vuotando il lago. In questo caso, comunque, l’analisi di rischio per le dighe deve coprire sia gli effetti diretti del terremoto, scuotimento e possibile fagliazione superficiale, come pure la possibile mobilizzazione di frane che potrebbero finire nel lago.
Se lei fosse un amministratore locale della zona, oggi quali provvedimenti prenderebbe?
Questa è competenza della Protezione civile e delle amministrazioni locali. Vorrei sottolineare che l’evento di magnitudo 6.5 del 30 ottobre, ovvero un grande terremoto, non ha prodotto neanche una vittima diretta, mentre le vittime di questi ultimi giorni sono collegate a slavine e alle basse temperature. Questo costituisce quasi un miracolo, vuol dire che gli edifici danneggiati dalle scosse precedenti o comunque vulnerabili sono stati evacuati per tempo e nell’evacuarli è stata svolta un’opera gigantesca.
Può spiegare l’aspetto delle due onde, principale e secondaria, che potrebbero portare un forte sisma a fare più danni a una trentina di chilometri dall’epicentro che in sua corrispondenza?
Un terremoto produce sempre una prima onda di volume e poi una seconda onda trasversale. Queste ultime viaggiano più lentamente, ma la loro ampiezza è maggiore e, quando arrivano, fanno il grosso dei danni, sottoponendo le strutture a uno sforzo di taglio. In termini elementari, all’arrivo dell’onda trasversale la base di un edificio si sposta lateralmente, il resto dell’edificio cerca a sua volta di spostarsi, se non lo fa abbastanza in fretta, cade. Vicino all’epicentro le due onde arrivano quasi nello stesso momento. A qualche decina di chilometri dall’epicentro, le due onde fanno in tempo a separarsi e la seconda fa più danni.
Da tre giorni non ci sono stati eventi superiori a magnitudo 4, può essere un segnale positivo, pur piccolo?
Né positivo né negativo. C’è comunque un alto numero di terremoti di bassa dimensione. È una faglia che ha una grandissima produttività. A gennaio era cominciata a cadere, adesso è tornata molta elevata. Dopo eventi di magnitudo 5-5.5 è normale che ci siano aftershock, scosse di assestamento, di dimensioni più piccole. Questo sempre che la sequenza non riparta. Eventi di queste dimensioni non possono esaurire il potenziale di queste faglie, e può anche non avvenire a breve, ma i grandi eventi prima o poi ci saranno: la geologia non fa sconti e noi stiamo riassistendo a eventi che nella storia ci sono già stati.