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Data: 26/01/2017
Testata giornalistica: Il Messaggero
Renzi vuole urne subito ma nessun ultimatum per non bruciarsi con FI

ROMA «No, vabbè! Francesco, cancella quel tweet». E' toccato a Matteo Renzi ieri pomeriggio gettare secchiate di acqua gelata sull'entusiasmo dei suoi e soprattutto del tesoriere del Pd Francesco Bonifazi che pochi minuti dopo la sentenza della Consulta sull'Italicum scrive: «Non ci sono più alibi, votiamo». Nel nuovo stile renziano il tifo va calibrato con la politica e calato con molto più tatto e cautela non solo nel Palazzo ma anche nel Paese.
Urlare chiedendo «elezioni-elezioni» quando si stanno ancora tirando fuori le vittime a Rigopiano e si deve accelerare la ricostruzione nelle zone del terremoto, non è certo opportuno. Senza contare che il problema della legge elettorale in questo momento interessa poco o nulla non solo ai terremotati ma anche al resto del Paese alle prese con ben altri problemi. Ovvio che l'impatto della sentenza sui partiti, Pd in testa, è forte ma per il nuovo-Renzi che andrà in scena per la prima volta sabato a Rimini all'assemblea degli amministratori locali organizzata da Matteo Ricci, l'argomento della legge elettorale e del voto anticipato va posto in subordine all'agenda delle emergenze.

SPINA «Adelante con jucio», sostiene quindi l'ex premier con i suoi sostenendo che di data del voto non vuol sentir parlare mentre riconferma la disponibilità del Pd a discutere di legge elettorale «senza perdere tempo». Nella cautela renziana si legge anche l'attenzione con la quale al Nazareno si intende regolare il rapporto con il governo Gentiloni. Staccare la spina ad un esecutivo di marca Pd non è operazione semplice e la road map renziana deve fare i conti non solo con le raccomandazioni del Colle - che alla fine sarà l'arbitro tra coloro che sostengono l'immediata applicabilità della legge e chi no - ma anche con una enorme pattuglia di eletti che il Pd ha al Senato ma soprattutto alla Camera e che solo in parte hanno la speranza di tornare. Resta però il fatto che da ieri al segretario del Pd è tornato il coltello dalla parte del manico non solo perchè sarà lui a fare le liste, ma anche perché con il premio alla Camera e lo sbarramento all'8% al Senato le ipotesi di scissione sono molto più faticose.
La soddisfazione incassata ieri non compensa la delusione per il referendum perso, ma certamente riconsegna a Renzi molte delle carte che opposizione e minoranza interna pensavano di potergli sfilare. «Hanno urlato per mesi di incostituzionalità dell'Italicum ed invece la legge esce di fatto integra dal vaglio della Consulta», sostiene l'ex premier secondo il quale «il ballottaggio era già morto dopo il risultato del referendum». D'altra parte, come accade in Francia, il ballottaggio calza su un sistema monocamerale, mentre il premio, le candidature plurime e i capolista bloccati restano e, a suo giudizio «consegnano al Paese un sistema elettorale simile a quello del Senato» dove lo sbarramento spinge al maggioritario come a Montecitorio il premio di maggioranza.

MESE Il sigillo posto dalla Corte Costituzionale sull'auto-applicatività dell'Italicum è quindi per il segretario del Pd la conferma che il sistema funziona. «Al punto - fanno notare al Nazareno - che i grillini da un lato sparano contro la legge e dall'altro ne chiedono l'estensione a palazzo Madama». Per le urne a giugno sono i grillini, la Lega e FdI mentre resistenze vengono da tutti i partitini che lo sbarramento alto a palazzo Madama e il premio alla Camera rischiano di mettere fuori gioco. Resistenze vengono anche da Forza Italia che spera di scavallare il mese di novembre confidando nella riabilitazione di Berlusconi ad opera della corte di Strasburgo.
Renzi non intende però forzare la mano. Non solo per non irritare il Quirinale che attende di leggere le motivazioni della sentenza della Consulta, ma anche per non gettarsi di nuovo in una competizione elettorale tagliandosi tutti i ponti alle spalle. Ponti che potrebbero invece tornare utili dopo il voto qualora il Pd non riuscisse a raggiungere il 40% e la grande coalizione con il centrodestra a trazione berlusconiana potrebbe diventare l'unica prospettiva di governo di un Paese nuovamente impantanato nel bicameralismo che non ha voluto cancellare. Ovviamente grillini permettendo.

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