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Data: 26/01/2017
Testata giornalistica: Il Messaggero
Raggi, la Procura accelera: l'ipotesi giudizio immediato. Virginia, sponda Grillo Il codice M5S la inguaia

ROMA Rischia una condanna fino a tre anni, Virginia Raggi, finita sul registro degli indagati con le accuse di abuso d'ufficio e falso ideologico per la nomina di Renato Marra a numero uno del Dipartimento del Turisto del Comune di Roma. In attesa dell'interrogatorio, previsto per la prossima settimana, la procura punta a stringere i tempi chiudendo con un giudizio immediato questo capitolo dell'inchiesta, che riguarda anche altri incarichi firmati da Raggi. La settimana prossima sarà decisiva e l'aspetto giudiziario si intreccerà con quello politico.

LE PROVE Per il procuratore Paolo Ielo e il pm Francesco Dall'Olio le prove evidenti delle responsabilità del sindaco sono già state raccolte. A inchiodare Virginia Raggi, dopo il conferimento di quell'incarico tanto chiacchierato, che garantiva al fratello del suo ex braccio destro 20mila euro in più in busta paga, sono stati gli atti sottoscritti dalla stessa sindaca e le chat trovate dai carabinieri del nucleo Investigativo nel telefonino di Raffaele Marra. Dalle conversazioni emerge come sia stato proprio il nuovo capo del Personale, intanto finito in manette, a gestire la nomina del fratello, in violazione dellea norma che prevedeva l'astensione. Circostanza negata dallo stesso sindaco con una dichiarazione falsa all'autorità Anticorruzione del Comune che si apprestava a rispondere all'Anac di Raffaele Cantone. Dalle chat emerge anche il disappunto che la Raggi manifestava a Marra per quei 20mila euro aggiunti in busta paga a Renato, circostanza che la metteva in seria difficoltà.

LO SCENARIO Secondo l'avvocato di Virginia Raggi, che ieri si è presentato in procura, il sindaco sarebbe pronto a chiarire tutta la vicenda, ma sembra molto difficile che possa trovare argomenti e prove che convincano i pm. Di fatto, secondo la procura, Renato Marra avrebbe ottenuto un ingiusto vantaggio, grazie all'aumento di stipendio, circostanza che configura l'abuso d'ufficio. E, soprattutto, quella nomina, finita sotto accusa, sarebbe stata gestita tutta dal fratello, nonostante l'evidente conflitto di interessi. Se la Raggi cambierà versione, ammettendo, come risulta evidente dalle chat, che è stato Raffale Marra a gestire la nomina del fratello, al quale in un messaggio suggeriva di proporsi per l'incarico a numero uno del Turismo, automaticamente di aver commesso un falso nella dichiarazione consegnata all'autorità Anticorruzione del Campidoglio. Per la procura l'altra ipotesi sarebbe il patteggiamento, ma sembra escluso che il sindaco, che continua a dirsi certo di spiegare tutto, possa percorrere questa strada. La scelta di concordare la pena con i pm non porterebbe Virginia Raggi all'autosospensione, ma, secondo il contratto firmato da tutti i candidati nella lista dei 5 Stelle, la metterebbe fuori dal Movimento.

LA SETTIMANA DECISIVA La settimana prossima sarà comunque decisiva e aprirà un nuovo scenario al Comune di Roma. L'esito dell'inchiesta, inevitabilmente porterà anche Virginia Raggi a sottoporsi al giudizio del Garante del Movimento (o del collegio dei probiviri). Se dovessero valutare la condotta della Raggi come grave infliggendole le sanzioni previste, la sindaca potrà fare ricorso al Comitato d'Appello (composto di tre membri, due nominati dall'assemblea mediante votazione in rete tra una rosa di cinque nominativi proposti dal consiglio direttivo dell'associazione MoVimento 5 Stelle ed uno dal consiglio direttivo dell'associazione medesima), l'appelo è previsto entro dieci giorni dalla sanzione. La decisione sarà inappellabile, ma intanto un diktat potrebbe arrivare dallo stesso Grillo.

Virginia, sponda Grillo Il codice M5S la inguaia

ROMA Sa di essere nel mirino, Virginia Raggi. Martedì sera Marcello De Vito e Paolo Ferrara, i big del M5S di Roma, sono entrati nella sua stanza e le hanno detto: «Ti devi autosospendere e nominare un vice più politico di Bergamo». Lei ha preso tempo e poi ha mandato a dire, a quelli che vede come I Bravi di don Rodrigo-Roberta Lombardi, «semmai ci metto Andrea Mazzillo», l'assessore al Bilancio, già capo staff della grillina nonché mandatario elettorale. Secondo round, il giorno dopo. Raggi arriva in Campidoglio, l'ipotesi dell'autosospensione gira e quindi prova a blindarsi. Tramite il suo portavoce fa uscire la notizia di una telefonata con Beppe Grillo che le avrebbe confermato la fiducia. In effetti, il leader pentastellato le avrebbe assicurato che fino a lunedì, giorno dell'interrogatorio della sindaca in Procura non si leverà ufficialmente una mosca contro di lei (anche perché, come si sa, se i parlamentari parlano ufficialmente senza permesso saranno cacciati). E quindi «resistiamo», «vediamo che succede», «studia una strategia difensiva».

LA TENSIONE La mossa della telefonata fatta trapelare è un messaggio a uso e consumo della Raggi nei confronti dei tanti tantissimi nemici interni: dal Campidoglio ai parlamentari, passando per gli attivisti che a febbraio si riuniranno in assemblea non certo per farle i complimenti. La sindaca ha spiegato a Grillo per rassicurarlo che la promozione di Renato Marra a capo del dipartimento Turismo non ha rappresentato nessun danno erariale: «Abbiamo decurtato l'ultimo cedolino per recuperare l'aumento non dovuto».

LA STRATEGIA La situazione del Campidoglio si abbraccia con quella politica del M5S verso le elezioni. A gestire la crisi ci sono Alfonso Bonafede e Riccardo Fraccaro che anche ieri non hanno lasciato la stanza della sindaca. Se non per andare alla Camera per una riunione dopo la decisione della Consulta sull'Italicum. «L'autosospensione di Virginia? Secondo lei rispondo a questa domanda?», ha detto sorridendo Bonafede, prima di scomparire in un corridoio del Comune. I telefoni sono roventi, gli avvocati studiano le carte, fioccano più pareri legali incrociati per capire come riuscire a stringere il salvagente giudiziario attorno alla sindaca. Ma i ragionamenti degli avvocati arrivano tutti allo stesso capolinea: «Le carte preludono a una probabilissima richiesta di giudizio immediato». A quel punto si ha il diritto di chiedere un patteggiamento. E qui si apre un problema politico enorme perché nel nuovo regolamento giudiziario votato online neanche un mese fa, il 2 gennaio scorso, è «considerata grave e incompatibile con il mantenimento di una carica elettiva quale portavoce del MoVimento 5 Stelle la condanna, anche solo in primo grado, per qualsiasi reato commesso con dolo» ma anche «la sentenza di patteggiamento, il decreto penale di condanna divenuto irrevocabile e l'estinzione del reato per prescrizione intervenuta dopo il rinvio a giudizio». Dunque, secondo questo regolamento, un eletto del M5S dovrebbe dimettersi se richiede di patteggiare. Ma per capire in quale garbuglio si siano infilati i Cinque Stelle è necessario fare un passo indietro. Quando questo prontuario giudiziario è stato pensato e scritto i pensieri dei leader M5S e dei loro avvocati erano affollati dai guai giudiziari di Raggi. Gli avvisi di garanzia erano contemplati solo nel caso in cui i nemici politici avessero depositato denunce in Procura. La possibilità che la sindaca potesse commettere errori era sul tavolo ma di fatto ritenuta remota. Ecco perché per tenere alta la bandiera dell'intransigenza sono state previste come opzioni per le dimissioni scenari che sembravano lontanissimi, come il patteggiamento, appunto, che ora invece spunta minaccioso.

IL REGOLAMENTO Infatti, seguendo la genesi del regolamento le possibili sanzioni, più tenere e indulgenti, riguardanti gli esiti sperati delle indagini su Raggi, sono state accarezzate e comprese in una gamma di gravità che rientra «nell'apprezzamento discrezionale del Garante, del Collegio dei Probiviri con possibile ricorso del sanzionato al Comitato d'appello». Solo questi organi politici infatti possono valutare se sia grave oppure no ai fini disciplinari «la dichiarazione di estinzione del reato per esito positivo della messa alla prova, di sentenze di proscioglimento per speciale tenuità del fatto, di dichiarazione di estinzione del reato per prescrizione». Fonti vicinissime ai leader ammettono lo stato di crisi politica: «Speriamo che non sopraggiunga una condanna altrimenti viste le leggi e il nostro regolamento non vedo molte alternative». E si ritorna alle diverse linee difensive della Raggi, che vagheggia anche con i suoi un ricorso al Tar in caso dell'applicazione della legge Severino. Come Vincenzo De Luca, non proprio uno dei modelli del M5S.

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