«Sono morti per salvare gli altri». Il capo dello Stato Sergio Mattarella incrocia sguardi persi e occhi gonfi di lacrime. Stringe mani, fin quasi a chinarsi su chi non ha neanche la forza di alzarsi dalla panca. Ripete questa frase, «sono morti per salvare gli altri», che forse racchiude il senso più profondo di queste esistenze strappate alla vita troppo presto e malamente. E' un conforto intimo, nel pieno stile del presidente che alle 18 fa il suo ingresso, a sorpresa, nella chiesa tutta legno e acciaio di San Bernardino a piazza d'Armi, al posto della San Bernardino vera, in pieno centro. Segno evidente di una città che è ripiombata nell'incubo terremoto, come e peggio del 2009. Che Mattarella potesse stringersi alle famiglie colpite dalla disgrazia dell'elicottero del 118 precipitato a Campo Felice era cosa nota. Si pensava, però, al funerale che si terrà oggi alle 14 nella stessa chiesa. E invece, forse anche per evitare problemi legati a un'organizzazione già resa complessa dallo sciame sismico, ha preferito anticipare a ieri il saluto a Walter Bucci, Giuseppe Serpetti, Davide De Carolis, Ettore Palanca, Gianmarco Zavoli e Mario Matrella.
L'INCONTRO L'abbraccio con i familiari è silenzioso. Poche parole, qualche stretta di mano, lo sguardo quasi perso nel vuoto. E poi la sosta, in raccoglimento, davanti alle sei bare, davanti alle foto e ai caschetti verdi del Soccorso alpino adagiati sul legno. Ci sono delle targhe, opera di 118 e Inaer, l'azienda dell'elicottero: «Saremo con voi, uniti e per sempre». E' una scena che fa male: i pianti strozzati e a tratti strazianti dei familiari rompono il silenzio e aumentano l'angoscia. C'è chi si accascia sulla bara, quasi a cercare un ultimo disperato contatto. C'è chi invece resta sulla panca, confortato da una stretta di mano o da un braccio che cinge amorevolmente le spalle.
L'ARRIVO Quando entra Mattarella sono le 18. Sulla soglia d'ingresso ci sono il sindaco Massimo Cialente, l'arcivescovo Giuseppe Petrocchi, il prefetto Giuseppe Linardi, i vertici dell'Arma dei carabinieri e della Polizia, il dg dell'Asl Rinaldo Tordera. Pochi passi nel corridoio centrale, nel più rigoroso silenzio. Poi l'arrivo nei pressi dell'altare e i pochi minuti trascorsi con i familiari. All'uscita un fragoroso «Grazie presidente!» e un lungo applauso. La camera ardente viene aperta, alle 16, da padre Quirino Salomone, con indosso la stola rossa che simboleggia i Santi martiri. «Nessuno dice il sacerdote ha un amore più profondo di questo, dare la vita per il prossimo». Padre Quirino esalta «il bisogno di aiuto e l'amore di chi interviene». Poi fa alzare a tutti la mano destra: «Questo è un bene che non segna una battuta d'arresto per tutti coloro che sono nel bisogno e per l'amore del soccorso. Prendiamo esempio. Dico a loro (alle vittime, ndr) «Beati voi: il Signore vi ha concesso la fede dell'amore che salva. Dare la vita è l'unico modo per averla pienamente». Segue un rituale che tocca nell'anima. Il sacerdote scandisce i nomi: «Mario, Gianmarco, Valter, Giuseppe, Davide, Ettore». E tutti, tra uno e l'altro, esclamano: «Presente!». «La nostra città chiude padre Quirino continua ad avere i suoi angeli soccorritori». C'è tanta ma non tantissima gente in chiesa. Forse ci si sarebbe aspettata una reazione diversa, più corale. Ma chi c'è lo fa con il cuore in mano. L'arcivescovo Giuseppe Petrocchi esalta «l'impegno di chi aiuta gli altri», ma sottolinea anche «il dolore per cui non esistono analgesici». «A nome di tutta la comunità conclude così provata assicuro il ricordo, la preghiera, l'abbraccio». Il Vangelo di Giovanni conforta («Non sia turbato il vostro cuore, abbiate Fede in vita»), ma la sofferenza è palpabile. Oggi, alle 14, l'ultimo saluto per quattro: Gianmarco e Mario torneranno a casa, gli altri resteranno qui per l'ultimo saluto. Sarà difficile, molto, fare a meno di questi Angeli.