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Data: 28/01/2017
Testata giornalistica: Il Messaggero
Pd, la linea del leader: election day a giugno Lo scontro sul listone

ROMA Le autocritiche? «Certo, vanno fatte». Interrogarsi sugli errori commessi? «E come no, è più di un mese che lo facciamo». Dunque? «Tra autocritiche e riflessioni, non va dimenticato però che bisogna pur dare rappresentanza alla parte riformista e dinamica del Paese, un'area che vale il 40 per cento», che è guarda caso l'esito del referendum e la fatidica soglia per far scattare il quorum alle elezioni.
Così ragiona Matteo Renzi con chi gli ha parlato in questi giorni. E così ragiona anche Matteo Ricci, il sindaco di Pesaro che ha organizzato la kermesse riminese del grande rientro del Matteo primo, quello che conta più di tutti, l'ex premier ma tuttora leader del Pd. Un Renzi che oggi nel capoluogo felliniano vuole dimostrare di avere ancora in mano il partito, di avere una strategia, di parlare al Paese, o almeno a quella buona «fetta riformista» che continua a vedere in Renzi e nel Pd renziano i propri punti di riferimento.

MOSCA IMPAZZITA In realtà nel Pd i frenatori sul voto subito non demordono. «Matteo vuole le urne per sé stesso, per nascondere un flop annunciato alle amministrative e per impedire che si faccia il congresso prima», ragiona uno di loro. Perfino un ministro la butta là pessimista: «Ormai sembra una mosca impazzita...». Ma il timore di ritrovarsi fuori dalle liste bloccate mette, almeno per ora, il silenziatore ai frondisti, in attesa di conoscere le motivazioni della Consulta e più chiaramente la road map del leader.
Dunque dal palazzetto dello sport di Rimini, davanti a un migliaio di amministratori dem, l'ex rottamatore rilancerà la «sfida riformista», farà capire che non si è perso il referendum per troppo riformismo, caso mai per il contrario, e che compito del Pd è misurarsi su quel terreno, non abbandonarlo. I tam tam della vigilia riportano un Renzi per nulla intenzionato a discettare di sistemi elettorali, di soglie, di omogeneizzazioni. Né perderà troppo tempo a spiegare i motivi dello scetticismo su una possibile revisione della legge elettorale uscita dalla Consulta («in dieci anni non sono riusciti a cambiare il Porcellum, vediamo se in dieci giorni si riuscirà a cambiare il Consultellum»).
Niente di tutto questo: da Rimini il messaggio sarà che il Pd ha una nuova leva di giovani amministratori che già lavorano e si fanno le ossa e si fanno vedere localmente, un partito che forma quadri per governare sul territorio, pronto alla sfida del governo nazionale.
«Ma io non cerco rivincite», dice Renzi a chi lo interroga sulle sue mosse: «Mi vogliono cucire addosso i panni di quello che vuole votare subito, che smania per andare alle urne solo per motivi personali di rivincita», aggiunge. Votare o non votare presto? Più che un dubbio amletico, per Renzi è una questione politica e di buon senso: portarla per le lunghe, ha ragionato in questi giorni, significa solo fare un regalo a Grillo e alla propaganda pentastellata sui vitalizi; significherebbe accollarsi una manovra correttiva proprio prima di andare alle urne; vorrebbe dire prolungare una legislatura già nata zoppa e azzoppata irreversibilmente il 4 dicembre con la vittoria del No al referendum; e comporterebbe andare a un congresso del Pd che diventerebbe solo ed esclusivamente finalizzato alle elezioni che poi ci sarebbero, invece che discutere dei tanti problemi aperti nel partito e nel mondo.

11 GIUGNO Quando votare, allora? Se in Parlamento la discussione sulla legge elettorale parte male (il tavolo è previsto per la prossima settimana), se si riscontrassero veti incrociati e stallo, viene ventilata anche l'ipotesi del 23 aprile. Di «necessaria sollecitudine» sulle scelte del Parlamento in materia elettorale ha parlato Paolo Gentiloni da Madrid dopo l'incontro con Rajoy. Più realisticamente, la data cui si pensa è l'11 giugno. L'obiettivo è di farne un vero e proprio election day, visto che per la tarda primavera sono chiamati al voto 10 milioni di elettori per un turno amministrativo che riguarda capoluoghi come Palermo, Genova, Verona, Parma, Piacenza, Lecce, Taranto, Alessandria, Cuneo, più o meno tutto il Paese da Nord a Sud e magari, perché no, potrebbero entrarci pure le regionali siciliane previste per l'autunno.
Su come andare a votare, con quali alleanze, al momento c'è uno stop senza se e senza ma sul cosiddetto listone unico con dentro Pisapia e Alfano per raggiungere il premio al 40%. Uno stop per manifesta indisponibilità di entrambi: «Insieme con Alfano? Sarebbe un incubo», fa gli scongiuri l'ex sindaco di Milano. «Non soffro di incubi, se ne ho avuto qualcuno, è stato migliore o peggiore ma non uguale a questo», ha replicato a tono il ministro degli Esteri. Ma Guerini assicura: «Non se n'è mai parlato».

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