ROMA Riecheggiando il Lenin che ai comunisti italiani proponeva di «separarsi da Turati e poi fare l'alleanza con lui», così Massimo D'Alema spinge a separarsi da Renzi ma non esclude di allearsi un momento dopo. «Ma una cosa è farlo avendo una forza e potendo condizionare, altra cosa è consegnarsi nelle mani di un gruppo dirigente», spiega l'ex leader dei Ds a Carta Bianca.
La strada ormai è quella, la separazione non consensuale ma rissosa dal Pd. «Se Renzi fa dimettere Gentiloni e va a votare con questa legge elettorale, allora bisognerà fare una lista di sinistra che potrà raggiungere il 10 per cento dei voti», annuncia convinto D'Alema, che informa di aver fatto fare delle ricerche in proposito.
IL PRESSINGUn pressing per abbandonare il Pd che si spiega anche con le perplessità mostrate finora da quanti dovrebbero seguire D'Alema nell'avventura, i Bersani, gli Speranza, gli Stumpo e gli altri della minoranza dem che al mattino sono andati al convegno romano dalemiano, ma nel pomeriggio si sono visti a Rimini da Renzi, e non certo solo per farsi notare. Le elezioni sembrano in effetti avvicinarsi, e probabilmente fuori dal Pd ci sarà una lista che punterà a raccogliere i cosiddetti delusi dalla politica renziana, «milioni» per D'Alema, molti meno per il Pd ufficiale, «e vedrete che quando si comincerà a fare sul serio, molti capiranno e si riavvicineranno, la nostra gente è stufa di divisioni e di leader o ex tali che fomentano solo le divisioni», spiega alla Camera David Ermini, renziano doc.
LE MOSSE Matteo Renzi già si muove come fosse in campagna elettorale. «Se vinco le elezioni e torno a palazzo Chigi, ci sarà abbassamento dell'Irpef e nessun aumento dell'Iva», promette fin d'ora l'ex premier, facendo capire che la sua non sarà una campagna vecchio stile da vecchia sinistra che fa delle tasse (da pagare) il cavallo di battaglia. Renzi ne parla sul suo nuovo blog dal titolo significativo Rottamare Dracula, e ricorda che «la sinistra e le tasse hanno sempre avuto una relazione complicata, siamo stati dipinti come il partito che sapeva solo alzare la pressione fiscale e usare le tasche dei cittadini come un bancomat».
Incalza Renzi: «Alcuni vecchi dirigenti si sono presentati come campioni della lotta all'evasione attraverso un metodo assurdo: un fisco vampiro, controlli a tappeto, la logica della punizione prima di tutto», un misto di vampiro e Dracula, in sostanza, in cui alcuni hanno scorto le sembianze di Vincenzo Visco, ministro delle Finanze dei governi Prodi.
Poi, in serata, altro intervento sulla e-news. Quando votare e come? «Non mi appassiona, sono temi che sento lontani». Lo scontro interno nel Pd si va ormai profilando così: chi è contro Renzi non vuole le elezioni a giugno e reclama il congresso subito; la maggioranza, all'opposto, punta al voto e vede il congresso a scadenza naturale, a fine anno. E' dalla Puglia che arriva l'offensiva anti renziana. Michele Emiliano, il governatore della Regione, ha assunto la regia del congresso, spalleggiato dal pugliese Francesco Boccia, lettiano, Dopo la minaccia delle carte bollate, c'è ora la proposta di raccogliere firme per convocare le assise. «Il congresso lo convoca l'assemblea nazionale e non il segretario, e da statuto va fatto a dicembre», replicano Orfini, Guerini e i renziani. E Renzi taglia corto: «Il congresso si fa a fine anno, come mi chiesero all'assemblea del 18 dicembre».
I dem perderebbero consensi a sinistra ma avrebbero più appeal per i moderati
ROMA Antonio Gramsci sosteneva che «lo spirito di scissione è una grande idea, applicabile a una grande storia». Quella del Pd lo è? Sicuramente è una vicenda travagliata. E dopo le scissioncine, tutte sfortunate, ecco il botto dalemiano. Il leader Massimo è convinto che valga oltre il 10 per cento dei voti ma forse è esagerato. O no? Un sondaggista che conosce molto bene l'elettorato di sinistra, Roberto Weber, è cauto: «Tutto è possibile, ma questa cifra anticipata da D'Alema mi sembra sovrastimata. Chi esce da un partito, in cui è stato a lungo e in posizione di vertice, paga sempre un prezzo alto per lo strappo». E poi, incalza il presidente di Ixè, dobbiamo partire da un dato di fatto: «Più di otto elettori del Pd su dieci al referendum costituzionale hanno votato per il Sì e sostenuto Renzi. Mi pare difficile che adesso cambino radicalmente il proprio orientamento, schierandosi con i nemici di Renzi». Ma agli occhi di altri sondaggisti, la nuova Cosa della sinistra - il movimento ConSenso di D'Alema unito a spezzoni vari dell'anti-renzismo - sembra avere più chance. Ecco Antonio Noto, di Iper-Marketing, istituto che ha sfornato in queste ore un sondaggio ad hoc: «L'eventuale scissione di sinistra, con D'Alema, Bersani, Sinistra Italiana e il resto dell'area radicale, secondo i nostri dati varrebbe intorno all'11 per cento». Dunque la scissione potrebbe produrre la vittoria di M5S che, secondo tutti i sondaggi, è in un testa a testa come primo partito con il Pd? «I democrat privati dell'ala sinistra - incalza Noto - scenderebbe al 22 per cento. E comunque: scissione o non scissione, nessuna alleanza in Parlamento, né quella Pd-Forza Italia né quella M5S-LegaFratelli d'Italia, arriva alla maggioranza alla Camera dei deputati».
SFIDA CON M5S Potenzialmente, il bacino elettorale c'è. Poi però ovviamente la conta dei voti reali - quando avverrà - sarà un'altra cosa. E il voto utile, per fermare i Cinque stelle, potrebbe scattare a ridosso delle elezioni nell'elettorato Pd e farlo restare nella casa d'origine. In più c'è un'altra considerazione da fare, e la propone Enzo Risso, direttore scientifico di Swg: «L'elettorato in questo momento è stanco di scontri e divisioni. Credo però che l'eventuale scissione dalemiana, insieme agli altri pezzi di sinistra, possa arrivare a quota 8 per cento, necessaria per entrare al Senato». Il che, però, non significa secondo Risso che i grillini avrebbero già la vittoria in tasca: «Dell'eventuale 8 per cento per la nuova formazione, non più del 4 potrebbe essere di provenienza Pd. Il resto è quello del vendolismo e dell'area radicale, più spezzoni di elettorato grillino che torna a sinistra indebolendo i Cinque Stelle. E ancora: un Pd senza la parte dalemiana e forse qualche bersaniano potrebbe ridefinire la propria identità in maniera iper-riformista e moderata e diventare attrattiva per nuovi elettori».
L'IDENTITÀ Dal punto di vista delle idee e dei valori, i potenziali elettori del neo-dalemismo sono piuttosto diversi da quelli che si dicono di centrosinistra. Proprio Swg ne ha monitorato le differenze. Per l'elettore di sinistra-sinistra (al 66 per cento) la priorità è essere per l'equità e contro le diseguaglianze sociali (solo il 56 per cento di chi è di centrosinistra sente questa priorità). Sul far pagare le tasse a tutti sono più o meno uguali (66 e 62), sul benessere nei luoghi di lavoro 58 a 53, sul tassare di più i ricchi 48 a 44, sull'accoglienza dei migranti 30 a 19, mentre la giustizia veloce è un bisogno più sentito dai votanti di centrosinistra che da quelli di sinistra-sinistra: 48 a 44. Anche Piepoli vede quota 8. Ma ecco il sondaggista Fabrizio Masia: «Ambiziosa ma possibile la cifra del 10 per cento di cui parla D'Alema. Il proporzionale del resto favorisce la frammentazione del voto e il voto utile in questo sistema attrae meno». Il bacino elettorale degli scissionisti? «Poco tra i pensionati, molto tra gli insegnanti e nel mondo studentesco. E potrebbe esserci un parziale recupero a sinistra dei ceti operai».