PESCARA Licenziata dopo essere stata assunta con la nuova disciplina delle cosiddette “tutele crescenti”, fa causa all’azienda e ottiene non un semplice risarcimento ma la reintegra nel posto di lavoro. Possibilità che, ai tempi del Jobs act (la riforma attuata dal Governo Renzi), è diventata remota. La sentenza del Tribunale del lavoro di Pescara (giudice Massimo De Cesare) ha accolto la richiesta della lavoratrice, licenziata nell’agosto 2015. «Per i neo assunti con il nuovo contratto a “tutele crescenti” la possibilità di ottenere la reintegra nel posto di lavoro, e non un semplice risarcimento economico, opera solo in ipotesi molto residuali», spiega la particolarità della sentenza, emessa nei confronti di un’azienda pescarese dell’intrattenimento e della ristorazione, l’avvocato Marco Bologna, che ha patrocinato la lavoratrice. In particolare la reintegra prevista dall’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, come modificato dalla legge 92/2012 di riforma del mercato del lavoro, si applica solo per i licenziamenti in aziende con più di 15 dipendenti. Non era il caso della lavoratrice, formalmente assunta da un’azienda con soli tre dipendenti. «La giovane ha ottenuto la reintegra poiché in giudizio è stata dimostrata l’esistenza di un unico centro di imputazione giuridica tra società dello stesso gruppo», spiega il legale. La lavoratrice finiva per non occuparsi solo di attività amministrativo-contabili per l’azienda che l’aveva assunta, ma anche di altri aspetti della gestione ristorativa e d’intrattenimento in capo all’impresa più grande (che occupava tra 14 e 15 dipendenti). Le due aziende, poi, condividevano ambiente e attrezzature. Da qui la decisione del giudice di considerare «la forza lavoro dell’unico complesso aziendale» costituito da entrambe le imprese. «A questo va comunque aggiunto che la lavoratrice è stata licenziata con un pretesto falso», precisa l’avvocato Bologna, «per un presunto ritardo di un paio d’ore dal posto di lavoro. Invece la mia assistita era stata autorizzata ad assentarsi per un giorno di ferie per sbrigare delle commissioni. A metà mattinata era, addirittura, rientrata a lavoro». La sentenza ha così annullato il licenziamento e condannato l’azienda alla reintegrazione della dipendente (alla quale spetta un risarcimento pari a 12 mensilità). Adesso spetta alla lavoratrice decidere se tornare o meno al suo posto di lavoro.