ROMA C'è anche il fattore elezioni nel complesso mix di variabili che determineranno il destino di Mauro Moretti alla guida di Leonardo. Ieri, il giorno dopo la condanna per la strage di Viareggio, da Palazzo Chigi e Tesoro sono arrivati, in via non ufficiale, sostegno e l'invito a non fare passi indietro. Del resto, è il ragionamento, si tratta di una sentenza di primo grado, quindi suscettibile di essere modificata, mentre non esiste una norma, né in Italia né all'estero, che imponga al top manager di lasciare. Sbagliato dunque prendere decisioni affrettate o, peggio, ribaltare l'atteggiamento garantista fin qui adottato sull'onda di un clima pre-elettorale già acceso. In questo contesto (M5S ha chiesto di togliere il titolo di cavaliere del Lavoro a Moretti, ma la proposta è stata respinta) bisogna comunque mettere in conto un possibile mutamento della scena politica che, è evidente, può ribaltare l'assetto attuale.
Moretti, in scadenza con l'assemblea di primavera, non ha però nessuna intenzione di cedere, convinto com'è che in appello le riposte saranno diverse. Al di là dell'esito elettorale, sempre che ci sia la chiamata alle urne, il manager è molto apprezzato per il lavoro svolto in Leonardo-Finmeccanica. Moretti, tra l'altro, ha ridotto l'indebitamento del gruppo di un terzo, raggiunto 500 milioni di utili e trasformato l'azienda, focalizzandola su pochi e mirati business. Dalle Fs hanno poi ribadito che sul fronte della sicurezza, proprio durante la gestione Moretti, sono stati spesi quasi 20 miliardi. Ieri il titolo è salito del 3,4%, avvantaggiato da una raffica di report positivi. Gli analisti di Goldman Sachs, hanno salutano positivamente l'appoggio del board a Moretti che ha «con successo migliorato la crescita e i margini» della compagnia, «venduto gli asset che performavano meno, ridotto i costi e razionalizzato la spesa». Insomma, dai mercati piena fiducia.
LE CRITICHE
Hanno vinto la prima battaglia, quella nell'aula del Tribunale. E ora chiedono subito due cose: che Mauro Moretti lasci Leonardo-Finmeccanica e si spogli delle onorificenze ottenute. «E' moralmente inaccettabile che dopo una condanna di primo grado sia ancora alla guida di un'azienda di Stato. Ne chiediamo le dimissioni e che gli sia tolto il titolo di Cavaliere del Lavoro. E si dimetta anche Giulio Margarita, già in Rfi e oggi all'Agenzia sicurezza ferroviaria, anche lui condannato a 6 anni e 6 mesi», afferma Marco Piagentini, uno dei superstiti della strage, a nome dei parenti delle vittime. Il giorno dopo la sentenza rabbia e determinazione vanno di pari passo: «Chi è imputato, se non si sente colpevole, rinunci alla prescrizione e si faccia giudicare in Appello», esorta Piagentini, che nel rogo ha perso la moglie e due dei tre figli ed è rimasto gravemente ustionato. Piagentini e tutti i familiari dell'associazione Il mondo che vorrei esortano il governo a «non essere indifferente nei confronti del verdetto pronunciato dai giudici». Per 140 udienze, prosegue il presidente del comitato, «siamo stati in silenzio. La sentenza dice che i vertici delle Ferrovie sono stati condannati. Viareggio non è un cigno nero, una casualità. Avevano le competenze e i mezzi e la tecnologia per evitare quella strage, per noi questo conta. Fra novanta giorni capiremo le motivazioni, ma andremo in Appello, questo è certo. Si chiude una prima fase, ma la nostra missione continua». L'associazione promette che userà «tutte le forze affinché la qualità di questa sentenza corrisponda alle richieste quantitative e qualitative della Procura».