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Data: 04/02/2017
Testata giornalistica: La Repubblica
Sondaggi - Pd e M5s ai minimi, il 70% contro il voto-lampo. In crescita Forza Italia, Lega e FdI. Si rafforza Sinistra italiana-Sel. Un fronte largo vuole una "legge omogenea" per le due Camere prima di andare alle urne (Guarda le tabelle)

IL SONDAGGIO di Demos per l'Atlante Politico si è chiuso giovedì, in tarda serata. Quando le polemiche intorno a Virginia Raggi, per la polizza donata "a sua insaputa" e le nomine di collaboratori discussi (come il fratello di Raffaele Marra) erano già esplose. Ma non con il clamore che stanno assumendo ora. D'altronde, questa è una fase di instabilità e di tensioni politiche accese. Che investono non solo il M5S romano. Ma anche il Pd, nel quale leader storici della sinistra interna hanno minacciato una scissione.

In generale, tutte le forze politiche sono entrate in fibrillazione, dopo la decisione della Corte Costituzionale, che ha emendato l'Italicum. Dichiarando inammissibile il ballottaggio. E dopo la bocciatura della riforma costituzionale, al referendum dello scorso 4 dicembre, che ha determinato le dimissioni del(l'ex) premier Matteo Renzi. Così, siamo entrati in una fase politica fluida. Nella quale il dibattito si è spostato sulla prospettiva e sulla data delle prossime elezioni. Il sondaggio riflette questo clima incerto. Anzi (Bauman mi perdonerà), "liquido". Anche se le intenzioni di voto non appaiono in grande movimento. Mostrano, tuttavia, alcuni segnali di mutamento. Significativi. Anzitutto, l'indebolirsi, parallelo, dei due partiti che dominano la scena, ormai da anni. Il Pd, perde poco. Mezzo punto appena. Ma scivola sotto il 30%. E tocca il livello più basso degli ultimi due anni, nelle nostre rilevazioni. Il M5s, a sua volta, perde consensi. Quasi due punti, anche se, nel corso del sondaggio, il "caso Raggi" era appena emerso. Tuttavia, anche il M5s scivola sui valori più bassi, (stimati) dalla primavera del 2016. Parallelamente, risalgono i soggetti politici della Destra e del Centro-Destra. Forza Italia, la Lega e, ancor più, i Fratelli d'Italia guidati da Giorgia Meloni. Come se, come in altri Paesi, fosse in atto un processo di radicalizzazione. Anche i soggetti a sinistra del Pd, d'altronde, risalgono. Seppure in misura limitata. In attesa che l'ipotesi di "scissione", avanzata, fra gli altri, da Massimo D'Alema, divenga maggiormente concreta. Quasi 6 elettori su 10 , peraltro, pensano che il Pd finirà per dividersi. Si tratta di un'opinione cresciuta sensibilmente, negli ultimi mesi: 10 punti in più rispetto allo scorso ottobre. Ma, soprattutto, questa idea risulta condivisa, in misura pressoché identica (57%), dagli stessi elettori del Pd.

Tuttavia, Massimo D'Alema, autorevole sostenitore del rischio "secessionista" nel Pd, non pare aver tratto beneficio sul piano del consenso, da questa posizione. E resta in coda alla graduatoria dei leader, in base al grado di popolarità (20% di fiducia).

In effetti, siamo in una fase politica strana. La definirei "post-renziana", se Matteo Renzi non fosse ancora in pista. Nonostante le dimissioni. Perché è evidente che non ha alcuna intenzione di ritirarsi. Eppure qualcosa è sicuramente cambiato, dopo le sue dimissioni da premier. E dopo la bocciatura del referendum. Il primo, evidente, segno di cambiamento nel clima d'opinione è fornito dal grado di fiducia personale espresso dagli elettori. Nell'ultimo mese, infatti, Renzi è sceso di 8 punti. È il leader che ha subito il calo più sensibile. Insieme a Salvini e Grillo, che, tuttavia, hanno perduto minore credito (4-5 punti in meno). D'altronde, il ritiro - temporaneo di un leader si riflette anche sui principali "antagonisti".

Ripeto, si tratta di un momento politico singolare. Il post-renzismo al tempo di Renzi. Nel quale agisce un premier sicuramente vicino a Renzi. Sicuramente diverso da Renzi. Paolo Gentiloni. "Personifica" un governo "impersonale". Perché l'attuale premier non ha lo stile di azione e di comunicazione di Renzi. Né di Berlusconi. È post-renziano e post-berlusconiano. Anche se ha una lunga storia politica personale. Questo stile "impersonale", in tempo di partiti e di leader "personali", però, non sembra nuocergli. Almeno fin qui. Anche se la maggioranza degli elettori, il 53%, ritiene che il suo governo sia destinato a concludersi prima della scadenza naturale del 2018. Tuttavia, un mese fa la quota degli scettici, al proposito, era più elevata di 10 punti percentuali. La fiducia nel governo, inoltre, rispetto al momento in cui si è insediato, è salita di 5 punti. E oggi ha raggiunto il 43%. D'altronde, Gentiloni, per quanto "impopulista", oggi è il più popolare fra i leader. Dichiara di aver fiducia verso di lui il 47% degli elettori. Oltre 10 punti più di Renzi. E poi: 9 più di Giorgia Meloni. E 13-14 di più, rispetto a Di Maio, De Magistris, Pisapia e Salvini. I quali, almeno per ora, non esprimono una possibile alternativa di governo.

Probabilmente, lo stile "impersonale" del premier asseconda una stanchezza diffusa del Paese. Nel quale la maggioranza dei cittadini invoca l'avvento di un Uomo Forte. Ma solo perché in giro non se ne vede traccia. D'altronde, molti elettori sono stanchi di miracoli annunciati e di guerre - politiche - praticate.

E per quanto credano che il voto incomba, in fondo, lo temono. Perché vorrebbero affrontare le prossime elezioni con regole e soggetti che permettano di immaginare governi e parlamenti stabili. Ma nessuna alleanza, fra i principali partiti, raccoglie il consenso degli elettori. E senza alleanze - parlamentari - nessun governo appare possibile. Visto che non è immaginabile - anche in base ai risultati di questo sondaggio - che un partito, da solo, superi il 40% dei voti validi, come prevede l'attuale legge elettorale, per conquistare da solo la maggioranza dei seggi.

Così, 7 elettori su 10, prima di andare al voto, preferiscono attendere. Che si approvi una legge elettorale che garantisca una maggioranza comune alle due Camere. Solo nella base della Lega e del M5s la "voglia" di andare comunque al voto "subito" è più ampia. Ma non
di troppo.

Così, è possibile che l'era del post-renzismo al tempo di Renzi possa durare più del previsto. Più di quanto vorrebbe lo stesso Renzi. Alla finestra, ma pronto a rientrare in gioco.

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