Il panorama politico si fa sempre più complesso. In particolare nel momento in cui si affaccia la concreta possibilità che alle prossime elezioni (sulla cui data il dibattito è acceso) si vada con una legge sostanzialmente proporzionale, le divisioni nel Pd si accentuano. La sconfitta referendaria e le dimissioni del premier hanno provocato una ridislocazione di parte delle sensibilità e delle correnti presenti nel partito, con un crescere delle critiche al segretario e una presa di distanza dall’ipotesi di votare il prima possibile. Ancora in discussione il percorso congressuale, naturalmente vincolato alla data del voto. Sembra prendere quota l’ipotesi delle primarie, anche se non è ben chiaro quale possa esserne la valenza con una competizione di carattere proporzionale. Abbiamo quindi testato, come la settimana scorsa per il centrodestra, le primarie Pd, l’interesse e le intenzioni di voto. L’attenzione coinvolge complessivamente oltre il 20% degli italiani. Per le primarie di centrodestra la quota era simile, il 17% dei nostri connazionali. Si tratta di competizioni gradite perché i cittadini si sentono chiamati a scegliere direttamente il proprio rappresentante, superando i «rituali» della politica.
La partecipazione
L’interesse però non significa partecipazione effettiva: sappiamo che le ultime consultazioni primarie, quelle tenute nel 2013 dal Pd e vinte da Renzi, hanno coinvolto poco meno del 6% del totale elettori. Questa attenzione si massimizza naturalmente nell’elettorato di riferimento: poco meno della metà degli elettori Pd si dichiara interessato alla consultazione (con il 17% molto interessato), mentre a sinistra l’interesse si attesta intorno al 20%, con una quota di fortemente interessati analoga a quella del Pd (16%). Sembra profilarsi una competizione a sinistra, pur se naturalmente molto sbilanciata, visto il maggior peso dell’elettorato del Partito democratico. La leadership di Renzi non è messa in discussione. Sul totale degli interessati infatti raggiunge il 59% dei voti, contro il 10% di Emiliano, l’8% di Rossi, il 5% di Speranza. Mentre a sinistra trionfa Speranza, con il 60% dei voti, seguito da Emiliano e Rossi (rispettivamente al 20% e al 15%) e Renzi scompare (solo il 2% degli elettori di quest’area si esprime per l’attuale segretario), la situazione si ribalta nel Pd, dove l’ex premier arriva al 67%, con Emiliano al 10%, Rossi all’8% e Speranza solo al 2%. Sono le misure raggiunte nel 2013, quando l’attuale segretario ottenne circa il 68% dei voti contro due competitor collocati anch’essi a sinistra (Cuperlo e Civati).
Le scelte
Ai blocchi di partenza, non sembra esserci possibilità concreta di scalzare Renzi: anche se gli incerti si ricollocassero tutti sugli altri candidati, si assicurerebbe comunque la maggioranza. Ma è indubbio che nel Pd sia indispensabile un processo di ricomposizione, di definizione degli obiettivi comuni, di ricostituzione del gruppo dirigente. Le primarie possono assolvere un ruolo importante in questo senso. Ma, lo ribadiamo, un leader consacrato dalle urne ha comunque un peso ridotto quando la competizione è proporzionale. Le insidie per il Pd non finiscono con le primarie. È di questi giorni l’ipotesi della costituzione di una lista di sinistra collegata a D’Alema, che potrebbe raccogliere i dissidenti di sinistra. Le stime, come si sa, sono complesse. Si tratta di una forza non ancora nata, di cui semplicemente si ipotizza la presenza. Indubbiamente essa ha una buona attrattività anche se, secondo i nostri dati, non nella misura che qualcuno ha indicato. Infatti la stima di voto evidenzia come ci sia un bacino già acquisito che si aggira intorno a poco meno del 4% del totale degli elettori, grosso modo una cifra vicina al 6% sui voti validi. A questo bacino acquisito, ovvero elettori che sono convinti di votare per questa nuova formazione, va aggiunto un altro gruppo di elettori potenziali, ovvero molto vicini alla lista, ma ancora indecisi. Un gruppo che vale poco meno di due punti sul totale degli elettori, circa tre sui voti validi. Complessivamente quindi si tratta di una lista che potrebbe arrivare, allo stato attuale, tra l’8 e il 9% dei voti validi.
I voti tolti ai dem
I bacini da cui la nuova formazione potrebbe pescare sono diversi. Innanzitutto l’elettorato Pd: circa il 40% dei voti proverrebbero da elettori di questo partito. Ciò significa che il Pd potrebbe perdere circa 3 punti del proprio consenso (oggi stimato intorno al 30% dei voti validi) a favore della formazione dalemiana. È interessante il fatto che essa recupererebbe anche nell’area grigia del non voto o degli incerti. Da qui verrebbe poco meno del 30% dei suoi consensi. Ancora, i consensi potenziali potrebbero venire da elettori che attualmente si orientano sulle forze di sinistra: poco meno del 20% dei consensi, pari a circa 1 punto e mezzo sui voti validi. Dato che nel loro complesso le forze di sinistra sono stimate oggi intorno a poco più del 4%, sembrano esserci degli spazi di ulteriore conquista, anche se in questo caso si tratterebbe di valutare l’appeal in quest’area del progetto Pisapia. Infine è interessante il flusso di voti che potrebbe arrivare dal Movimento 5 Stelle, intorno al 15%. Il panorama è complesso, come detto, e tutto è in movimento, non solo nell’ambito del centrosinistra. Ma l’ipotesi di strappare a Renzi, per quanto indebolito, la leadership, sembra per ora una strada davvero difficile.