ROMA Probabilmente sarà perché in tempi di crisi anche 2/300 euro in meno in busta paga possono fare la differenza. Forse perché - come sostiene il ministro Poletti - l'attesa per l'Ape, l'anticipo pensionistico, ha fatto da dissuasore. Oppure perché la platea che teoricamente poteva essere più interessata ad uno strumento del genere, le donne, di fatto se ne è trovata esclusa. O magari sono state le aziende a dire no. Di certo c'è una sola cosa: a otto mesi dall'entrata in vigore del part-time agevolato - norma tanto pubblicizzata dal governo Renzi - solo 200 persone in tutta Italia hanno scelto di usufruirne. La norma è stata pensata per i lavoratori dipendenti del settore privato vicini alla pensione di vecchiaia come accompagnamento soft all'uscita dal lavoro. Evidentemente non è piaciuta e i risultati vanno ad allungare la lista dei fallimenti del governo Renzi. Duecento persone sono un numero davvero piccolo. In alcune regioni, come Molise, Basilicata e Valle dAosta, c'è stata solo 1 richiesta. In Liguria appena cinque lavoratori l'hanno considerata appetibile. E così nelle Marche. E anche dove il successo è stato maggiore - 33 richieste accolte in Lombardia, 21 nel Lazio - stiamo parlando di casi isolati. Niente a che vedere con le 36.000 adesioni previste nel 2017, tanto da stanziare 120 milioni di euro per i contributi figurativi. La cifra è già stata ridotta a soli 20 milioni per reperire le risorse per l'Ape, ma è probabile che anche il residuo resterà largamente inutilizzato.
GLI SPOT Nemmeno a dire che la possibilità fosse sconosciuta ai più. Il governo a giugno ha lanciato la sua bella campagna pubblicitaria istituzionale. Ve lo ricordate lo spot tv con quei due operai, tuta blu di ordinanza, barba bianca, caschetti gialli e blu che parlano della nuova meravigliosa opportunità, immaginandosi al parco a giocare con i nipotini e invitandosi reciprocamente e fare presto per evitare l'esaurimento dei fondi a disposizione? Non sappiamo quanto sia costato lo spot. Adesso invece sappiamo che non è stato molto efficace. «Le cose vanno sperimentate e quando, come in questo caso, non danno buoni risultati bisogna prenderne atto. Si utilizzeranno strumenti diversi» commenta il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti.
In realtà l'idea aveva suscitato molte perplessità sin dalla genesi. Tra gli scettici anche il presidente dell'Inps, Tito Boeri, che aveva messo in guardia da «interventi estemporanei e parziali» con «costi amministrativi superiori alle somme erogate». Non si erano visti salti di gioia dal fronte imprese. Il risparmio per loro c'è, ma è ridimensionato dall'obbligo di versare nella busta paga del lavoratore in part-time una sorta di bonus per sostenere la decurtazione di stipendio, ovvero la cifra pari ai contributi previdenziali (23,81%) del tempo pieno, non più dovuti per effetto della riduzione di orario. Per il lavoratore invece la convenienza è evidente: il bonus è esentasse, per cui a fronte di una riduzione di orario tra il 40 e il 60% (il massimo consentito) si riceve uno stipendio di circa il 70% rispetto a quello a tempo pieno. E non si perde niente sulla pensione futura, perché lo Stato si accolla i contributi figurativi. Ma senza l'assenso dell'azienda il part-time agevolato non parte.
Inoltre sin da subito i sindacati hanno fatto presente il problema donne: solo una piccolissima quota - avevano avvertito - può usufruirne.
PLATEA SBAGLIATA Visto che la norma prevede - oltre al possesso di almeno 20 anni di contributi - il raggiungimento del requisito anagrafico di vecchiaia entro il 31 dicembre 2018, sono coinvolti i lavoratori nati nel '50 (pochi mesi, gli altri sono già in pensione), nel '51 e nel '52. Ma le donne nate prima di questa data sono in grandissima maggioranza già uscite dal lavoro, per effetto dei requisiti anagrafici richiesti più bassi (fino al 2015 potevano andare in pensione con 63 anni e 9 mesi). I sindacati avevano previsto che solo uno sparuto gruppetto di donne avrebbe di fatto potuto accedere allo strumento, a fronte di centinaia di migliaia di uomini potenzialmente interessati e coinvolti. Un paradosso, visto che in genere sono proprio le donne a desiderare di più un'uscita anticipata. Di qui la richiesta di estendere la possibilità alle nate nel 53. Il governo non ne ha voluto sapere. E questi sono i risultati.