Il ministro Poletti puntava a quota 30mila. La misura prevede che i lavoratori che matureranno il requisito di vecchiaia entro la fine del 2018 possano ridurre l'orario con un sostegno allo stipendio e contribuzione figurativa versata
MILANO - Le ambizioni del ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, si scontrano con la nuda realtà: ben difficilmente il part time agevolato per coloro che sono vicini alla pensione raggiungerà le trentamila adesioni che aveva stimato il titolare del Welfare. I numeri dicono ad ora che per il provvedimento che voleva agevolare la transazione lavoro-previdenza, un po' come accaduto per il Tfr in busta paga, si va verso il flop: dal 2 giugno 2016, data di entrata in vigore del decreto che dava la possibilità ai lavoratori - che avrebbero maturato il requisito anagrafico per la pensione di vecchiaia entro il 31 dicembre 2018 - di andare in part time in attesa del ritiro, le domande accolte dall'Inps sono state appena 200. La norma infatti prevedeva l'accordo tra lavoratore e impresa ma vantaggi soprattutto per il dipendente.
D'altra parte, le simulazioni mostravano che la misura sarebbe stata tutto sommato pesante per le buste paga e ancor di più per le aziende, e i sindacati parlavano di "un pannicello caldo" non in grado di spostare gli equilibri nella transizione tra lavoro e previdenza. Il presidente dell'Inps, Tito Boeri commentando i primi dati a luglio sull'utilizzo dello strumento (100 richieste nel primo mese) aveva messo in guardia sugli "interventi estemporanei e parziali" con "costi amministrativi superiori alle somme erogate". La misura, sulla quale è stata attivata una campagna di comunicazione istituzionale per far conoscere a lavoratori e imprese i vantaggi dello strumento, è stata finora fallimentare in tutte le Regioni con 33 domande accolte in Lombardia, 21 nel Lazio, solo una in Molise, Basilicata e Valle d'Aosta e 5 rispettivamente in Liguria e nelle Marche.
La misura che prevede la possibilità per le persone che maturano 67 anni e sette mesi di età entro il 2018 con almeno 20 anni di contributi, previo accordo con il datore di lavoro, di ridurre l'orario in una misura compresa tra il 40% e il 60% non può essere usato nel settore pubblico né naturalmente per il lavoro autonomo. Impresa e lavoratore firmano un contratto di riduzione dell'orario con una durata pari al periodo tra la firma dell'accordo e il raggiungimento del requisito della pensione. Di fatto l'opzione è preclusa alle donne dato che chi può usare lo strumento deve essere nato prima del maggio 1952 e le donne nate prima di questa data sono in grandissima maggioranza uscite dal lavoro entro il 2016.
Con il part time agevolato si riceve ogni mese in busta paga, in aggiunta alla retribuzione per il part-time, una somma esentasse corrispondente ai contributi previdenziali a carico del datore di lavoro sulla retribuzione per l'orario non lavorato. Per il periodo di riduzione della prestazione lavorativa, lo Stato riconosce al lavoratore la contribuzione figurativa corrispondente alla prestazione non effettuata, in modo che alla maturazione dell'età pensionabile il lavoratore percepirà l'intero importo della pensione.
Il contratto di part time agevolato è vantaggioso per i lavoratori vicini alla pensione ma meno conveniente per le aziende che pagano una quota in più rispetto alle ore lavorate. Secondo i calcoli effettuati dai Consulenti del lavoro su classi di retribuzioni annue lorde che vanno dai 25.000 ai 43.000 euro un lavoratore che firma un contratto di part time agevolato al 40% delle ore (16 a settimana a fronte delle 40 dell'orario intero) ha in busta paga il 72% della retribuzione mentre l'impresa ha una riduzione del costo del lavoro del 49% (a fronte di una riduzione dell'orario del 60%). La contribuzione figurativa, commisurata alla retribuzione corrispondente alla prestazione lavorativa non effettuata, è stata riconosciuta nel limite massimo di 60 milioni di euro per il 2016, 120 milioni per il 2017 e 60 milioni per il 2018, cifre a questo punto, almeno per l'anno scorso, largamente inutilizzate.