ROMA Non convince l’opzione del part time agevolato per chi è alle porte della pensione. La norma si preannuncia un flop, tanto che lo stesso ministro del Lavoro e delle Politiche sociali, Giuliano Poletti, riconosce che la misura non ha dato i risultati sperati e che bisognerà far ricorso a «strumenti diversi. Quando siamo partiti con l’idea del part time agevolato non c’era ancora il progetto per la flessibilità in uscita delle pensioni: poiché le due platee coinvolte sono sostanzialmente le stesse è chiaro che la scelta è stata condizionata». Sono state infatti appena 200 le domande accolte dall’Inps da quando, il 2 giugno 2016, è entrato in vigore il decreto che dava la possibilità ai lavoratori che avrebbero maturato il requisito anagrafico per la pensione di vecchiaia entro il 31 dicembre 2018 di andare in part time verso la pensione. La norma prevede l’accordo tra lavoratore e impresa ma i vantaggi sono soprattutto per il dipendente, mentre per l’azienda è poco conveniente. «Le cose vanno sperimentate e quando, come in questo caso, non danno buoni risultati bisogna prenderne atto - ha ammesso Poletti -. Si utilizzeranno strumenti diversi». Già a luglio, il presidente dell'Inps, Tito Boeri commentando i primi dati sull’utilizzo dello strumento (100 richieste nel primo mese) aveva messo in guardia sugli «interventi estemporanei e parziali». Ad oggi la misura è fallimentare in tutte le regioni con 33 domande accolte in Lombardia, 21 nel Lazio, solo una in Molise, Basilicata e Valle d'Aosta e 5 rispettivamente in Liguria e nelle Marche. La norma prevede la possibilità per le persone che raggiungono 67 anni e sette mesi di età entro il 2018 con almeno 20 anni di contributi, previo accordo con il datore di lavoro, di ridurre l’orario in una misura compresa tra il 40% e il 60%, ma solo nel settore privato. Di fatto, poi, l’opzione è preclusa alle donne dato che chi può usare lo strumento deve essere nato prima del maggio 1952 e le donne nate prima di questa data sono in grandissima maggioranza uscite dal lavoro entro il 2016. Chi sceglie questo strumento riceve ogni mese in busta paga, in aggiunta alla retribuzione per il part time, una somma esentasse corrispondente ai contributi previdenziali a carico del datore di lavoro sulla retribuzione per l’orario non lavorato. Per il periodo di riduzione della prestazione lavorativa, lo Stato riconosce al lavoratore la contribuzione figurativa corrispondente alla prestazione non effettuata, in modo che alla maturazione dell’età pensionabile il lavoratore percepirà l'intero importo della pensione. Il contratto di part time agevolato è vantaggioso per i lavoratori vicini alla pensione ma meno conveniente per le aziende che pagano una quota in più rispetto alle ore lavorate. Secondo i calcoli effettuati dai Consulenti del lavoro su classi di retribuzioni annue lorde che vanno dai 25.000 ai 43.000 euro, un lavoratore che firma un contratto di part time agevolato al 40% delle ore (16 a settimana a fronte delle 40 dell’orario intero) ha in busta paga il 72% della retribuzione mentre l’impresa ha una riduzione del costo del lavoro del 49% (a fronte di una riduzione dell’orario del 60%). La contribuzione figurativa, commisurata alla retribuzione corrispondente alla prestazione lavorativa non effettuata, è stata riconosciuta nel limite massimo di 60 milioni di euro per il 2016, 120 milioni per il 2017 e 60 milioni per il 2018, cifre a questo punto, almeno per ora, largamente inutilizzate.