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Data: 14/02/2017
Testata giornalistica: Il Messaggero
Lotta all'evasione e tagli è la strategia anti-accise

ROMA L'unica cosa certa è che l'impegno a correggere i conti resta. Non lo ha messo in discussione nemmeno Matteo Renzi, riconoscendo alla direzione Pd, in presenza di Pier Carlo Padoan, che la procedura per deficit eccessivo va evitata, pur senza pigiare sull'acceleratore delle tasse. Dunque la manovra si fa, anche se non è detto che debbano essere per forza 3,4 miliardi. Oggi l'Istat diffonde le stime preliminari sull'andamento del Pil nel quarto trimestre 2016: la crescita annuale dovrebbe toccare lo 0,9 per cento, ma con un risultato congiunturale particolarmente brillante si potrebbe arrivare a un più tondo 1. Una crescita più robusta potrebbe rendere legittima una stima un po' più generosa delle entrate tendenziali, contribuendo così a limare di qualche centinaio di milioni il conto effettivo.

I BOLLI Questa circostanza favorevole, se si concretizzerà, lascia tuttavia al ministero dell'Economia un compito impegnativo: sostituire almeno una parte di quello 0,09 per cento di Pil (1,5 miliardi nella valutazione originaria) che come garantito alla commissione europea nelle due lettere del ministro dovrebbe essere recuperato con aumenti di accise e altre imposte indirette. Il ritocco politicamente più indigesto, e quindi se possibile da rimuovere per primo, sarebbe quello della benzina, mentre il prezzo delle sigarette è forse un po' meno sensibile ma lascia anche minori spazi finanziari. Un contributo potrebbe arrivare anche da una revisione di quelle imposte di bollo rimaste ferme per molti anni: si tratta però sempre di entrate. In ogni caso volendo ridurre al minimo la voce accise le strade possibili sono due: o ampliare la quota di entrate che deve invece arrivare dal contrasto all'evasione fiscale o andare direttamente sui tagli di spesa, che nell'impostazione già abbozzata della manovrina avevano un valore pari a circa 800 milioni.
Nel primo caso l'esecutivo dovrebbe allargare il ricorso allo split payment, ovvero alla procedura per cui già attualmente i fornitori dello Stato perdono subito la disponibilità dell'Iva relativa alle transazioni, dirottata su un apposito conto. Questo meccanismo ha garantito un gettito molto robusto ma non piace alle aziende interessate che devono in pratica anticipare i soldi in attesa di poterli parzialmente recuperare in una fase successiva. Lo split payment potrebbe essere esteso alle società pubbliche; e forse verrà valutata la possibilità di potenziare anche il reverse charge (inversione contabile per cui in determinati l'obbligo dell'Iva è in capo all'acquirente invece che al venditore). In ogni caso tutte le novità dovranno avere il parere favorevole di Bruxelles, visto che l'Iva è un tributo regolato a livello europeo.
Sul fronte della spesa l'esecutivo potrebbe tentare di individuare programmi scarsamente efficaci e dunque sacrificabili. Il rischio in questo caso è incidere sugli stanziamenti per investimenti: ipotesi quanto mai indigesta per il Tesoro, proprio nel momento in cui la stessa commissione europea nelle sue valutazioni diffuse ieri riconosceva la spinta positiva arrivata da questa voce. Sul tavolo c'è anche l'ipotesi di sfruttare eventuali maggiori risparmi sul fronte delle società partecipate, anche se una scelta del genere richiederebbe di adottare comunque altre misure a garanzia di una riduzione dei costi che potrà manifestarsi solo in un secondo momento.

LE PERPLESSITÀ La direzione Pd ha visto poi l'apertura di un altro fronte di finanza pubblica, quello delle privatizzazioni. Alle perplessità sull'operazione Poste espresse già nei giorni scorsi dal sottosegretario Giacomelli si sono aggiunte quelle di Delrio su Fs e quelle ancora più generali espresse dal presidente del partito Orfini. Dal punto di vista del Mef però il capitolo dismissioni resta importante per garantire quella discesa del rapporto debito/Pil messa in cantiere per la fine del 2017.

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