ROMA «Se evitiamo il referendum (sui voucher ndr) male non fa», «ma decideranno governo e Parlamento». E' il passaggio con il quale Matteo Renzi, durante la direzione del Pd, archivia di fatto la possibilità di votare a giugno. Sparisce il voto anticipato a primavera per fermare i quesiti sui quali la Cgil ha raccolto le firme anche se non è detto che la legislatura riesca ad arrivare a conclusione.
Non sparisce invece il rischio di scissione che resta sullo sfondo mentre i tre esponenti del Pd che dovrebbero sfidare Renzi al congresso, volano bassi nei loro interventi sonnacchiosi (Speranza e Rossi) o autoreferenziali (Emiliano). E così al termine di un pomeriggio di dibattito, Renzi incassa il congresso anticipato attraverso il quale intende riprendersi una leadership azzoppata dal risultato del referendum e dalle continue polemiche interne.
TENSIONE Brilla la stella del ministro Andrea Orlando che riscuote consensi trasversali quando prende le distanze dalla maggioranza renziana chiedendo di far precedere il congresso da una conferenza programmatica in modo «da scaricare le tensioni che si possono realizzare nel Pd sulla tenuta del governo». Restano fedeli al segretario i ministri Martina e Franceschini, ma mentre il primo interviene dal palco, il secondo si limita ad un tweet nel quale plaude al congresso sostenendo che «un confronto vero può essere anzi il modo per evitare scissioni».
Mentre Renzi non sembra intenzionato a concedere nulla alla minoranza, se non la sfida e la conta del congresso, Franceschini si propone come mediatore e Orlando come alternativa. Più volte nei suoi interventi l'ex premier si chiama fuori dalla discussione sulla data delle elezioni e quando evoca la scissione ironicamente chiede che ciò avvenga almeno sulle idee e non sulla data del voto. «Si chiude un ciclo», ammette Renzi che non spende molte parole sul governo in carica, pur avendo Paolo Gentiloni seduto al suo fianco e il ministro Padoan in prima fila. Il premier sa che l'avvio della fase congressuale già dalla prossima settimana avrà inevitabili ripercussioni sul governo e allungherà anche i tempi della trattativa sulla legge elettorale. Un tema, quest'ultimo, che inevitabilmente investirà anche il congresso e sul quale il segretario non dice una parola se non quando deve ribattere ad Emiliano che ha provato ad usare la trattativa come argomento per non fare ora il congresso. Dalla direzione di ieri e dalla assemblea del fine settimana ne esce un governo di fatto ingessato che dovrà però trovare gli argomenti per spiegare a Bruxelles perché non intende fare la manovra correttiva senza irritare i mercati. Esce anche l'immagine di una sinistra interna divisa e unità solo dalla richiesta di rinviare congresso e voto per il terrore di non ritrovare il dovuto spazio nelle liste elettorali
PORTE Renzi ha invece fretta. Conta di riprendersi il partito entro due mesi in modo da decidere se conviene al Pd modificare il sistema elettorale uscito dalla Consulta e per avere il potere di comporre le liste elettorali. Con le elezioni alle porte la sfida congressuale rischia quindi di diventare una gigantesca conta con le varie anime del partito pronte a chiedere all'aspirante segretario spazi in cambio di un appoggio.
Quanto Renzi sia costretto a concedere per accontentare le richieste dei suoi è ancora da vedere e dipenderà molto dalla sua capacità di leader, dallo stato di salute del Pd e da come il governo Gentiloni condurrà la battaglia in Europa per evitare che in autunno si abbatta sul Paese una manovra di Bilancio in stile-Monti che renderebbe in salita la sfida elettorale.