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Pescara, 25/11/2024
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16/02/2017
Il Centro
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Pd, la mediazione non riesce. Renzi tenta l’ultima carta ma la scissione è a un passo. Il leader: stop ai ricatti, Fassino e Martina: serve convenzione programmatica. Bersani strappa: «Saremo all’assemblea ma se non si aggiusta, la storia è finita». Ma l’Abruzzo sogna l’unità. |
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Impensabile far parte di un partito che si chiama democratico e teme la democrazia
ROMA Deciso ad apparire come quello che non vuole sfasciare il Pd, Matteo Renzi apre alla minoranza in un tentativo estremo di ricucitura prima che lo strappo sia irreparabile. «Il verbo del congresso non è andatevene, ma venite non sarà scontro sulle poltrone ma confronto delle idee. Una scissione sulla data del congresso» scrive l’ex premier nella sua e-news settimanale «sarebbe incomprensibile. Inspiegabile far parte di un partito che si chiama democratico e aver paura della democrazia. Il dibattito interno non interessa i cittadini. Si riparte, ci si rimette in cammino, c’è bisogno di tutti». Tanto per cominciare Renzi, che dà appuntamento dal 10 al 12 marzo al Lingotto di Torino, non sarà il segretario reggente del Pd in vista del congresso. Durante l’assemblea di domenica prossima il testimone passerà al presidente del partito, Matteo Orfini. Ed è questo un primo segnale di disponibilità inviato alla minoranza interna. La scissione è inevitabile? A stretto giro arriva la doccia gelata da Enrico Rossi, Michele Emiliano e Roberto Speranza, che sono i tre candidati alternativi a Renzi. Prima una comunicazione: «Sabato mattina saremo tutti assieme al teatro Vittoria, con l’obiettivo di costruire un’azione politica comune e per impedire una deriva dagli sviluppi irreparabili». Poi parte una freccia “avvelenata” contro l’ex premier: «L’esito della direzione è stato profondamente deludente e ha sancito la trasformazione del Partito democratico nel Partito di Renzi, un partito personale e leaderistico che stravolge l’impianto identitario del Pd e il suo pluralismo». Ce n’è quanto basta per immaginare che senza una svolta nelle prossime ore, la strada sia segnata. E la conferma arriva da Pier Luigi Bersani che ieri ha riunito i suoi alla Camera per capire se ci sono ancora gli spazi per negoziare dentro il Pd: «Passi avanti non ne vedo. Cerchiamo fino in fondo di non rompere. Vediamo se da qui a domenica viene data risposta alle nostre richieste. Questa volta non si scherza». La riunione dei bersaniani si conclude e Roberto Speranza annuncia che domenica saranno all’assemblea del Pd. Poi fa capire qual è la posta in gico: «La nostra posizione è chiara, congresso in autunno e voto nel 2018». A Montecitorio le riunioni sono andate avanti per tutto il giorno. Oltre ai bersaniani, si sono visti tutti i componenti dei “giovani turchi” ma anche Emiliano ha fatto una riunione di corrente mentre Renzi, due giorni fa, ha parlato a lungo con Dario Franceschini. Tutti al lavoro per evitare la scissione. Emiliano si dice d’accordo con Orlando sulla necessità di tenere una conferenza programmatica. Ma i “giovani turchi” in serata fanno sapere di volere non una conferenza programmatica prima del congresso ma un’assemblea programmatica tra l’avvio della raccolta delle firme ed il termine della presentazione delle candidature (venti giorni). La minoranza del Pd, comunque, ritiene non concreta l’ipotesi di una conferenza programmatica che pure è stata avanzata da diversi settori del partito come possibile mediazione. «Con l’annuncio di Renzi del Lingotto il 10-12 marzo è evidente che non c’è alcuno spazio per una conferenza programmatica. Renzi ha deciso di tirare dritto» taglia corto un bersaniano. E pazienza se a provare una mediazione ci pensano anche e soprattutto Piero Fassino e Maurizio Martina: «Proponiamo che la Convenzione nazionale divenga pienamente Convenzione programmatica». Quel che è certo è che la dead line di Renzi resta la stessa: il congresso deve tenersi in ogni caso prima delle amministrative. Ma l’exit strategy per evitare la scissione non c’è ancora: «Io combatto per le idee, non per le liste. Se non si aggiusta il congresso il Pd non c’è più» si sfoga Bersani.
Ma l’Abruzzo sogna l’unità. Il segretario regionale Rapino: «Il congresso non è un gioco di figurine» D’Alfonso: «Mi occupo d’altro». Di Pangrazio: «Chi non ci sta può andarsene». Incubo spaccatura per i dem
PESCARA Si chiama “scissione” il nuovo incubo del Pd, un evento da scongiurare per l’ala renziana del partito, che cerca di esorcizzarlo invitando all’unione. E se a Roma, tra ristorantini a Trastevere, incontri in Transatlantico, riunioni più o meno ufficiali nelle stanze che contano, quello della scissione è un pericolo incombente, l’eco in Abruzzo sembra ancora piuttosto ovattata. Anche perché nessuno, finora, almeno a parole, ammette di meditare l’addio. Il segretario regionale del partito, Marco Rapino, invita a concentrarsi su problemi di respiro più ampio. «A questo punto», dice, «dobbiamo guardare al Paese e non ai problemi del Pd. La prospettiva del congresso può essere un modo per ripartire e riavvicinare iscritti e simpatizzanti, non solo una conta sui nomi, ma un modo per rilanciare le idee e i progetti del Pd. Sono convinto che riusciremo a restare uniti, e che la linea della responsabilità prevarrà». Ma in Abruzzo, c’è anche del malcontento, ed è inutile negarlo. «Il Pd, essendo come dice anche il nome, un partito democratico, aggiunge Rapino, «garantisce a tutti diritto di cittadinanza. In una fase difficile come questa, di frizioni, si acuiscono le differenze. Sono convinto che chiunque potrà esprimere idee e posizioni all’interno delle candidature nazionali che ci saranno. L’importante è non trasformare il congresso in un gioco di figurine, ma fare sì che sia l’occasione per discutere di quello che il Pd può fare per l’Italia». Anche Moreno Di Pietrantonio, segretario del Pd di Pescara, dice no alla scissione. «È il momento della responsabilità e del senso di appartenenza ad un grande Partito», dice. «Un partito che in questi anni ha dato tanto protagonismo e soddisfazioni anche personali ai dirigenti che minacciano scissioni. Abbiamo bisogno di idee e contributi: di scissioni, ne abbiamo viste già troppe». La senatrice Stefania Pezzopane lunedì era a Roma e ha votato il documento della maggioranza del Pd a favore del congresso. «Voglio un Pd nuovo e che sia vicino ai problemi della mia regione», confermando pieno appoggio a Renzi. Il sindaco Massimo Cialente, dichiara di sentirsi invece più in sintonia con le posizioni espresse da Gianni Cuperlo: «Seguo con attenzione le vicende nazionali», ha commentato, «ma vedo che sono legate e a personalismi. In questo momento mi ritrovo di più con Cuperlo, ho amministrato la mia città per dieci anni con un Ulivo più avanzato, stando dentro il Pd. Perché uscire dal partito? A meno che non diventi un’altra cosa». Contrario alla scissione il segretario comunale del Partito Democratico Stefano Albano: «Sarebbe una cosa scorretta per tutti i dirigenti e per la base, per i tanti che credono veramente nel partito e ci lavorano da volontari. Ben venga il confronto, a condizione che sia un congresso in cui si possa discutere, non un votificio». Troppo presi dagli impegni e dalle emergenze contingenti, per pensare ai problemi del partito, il vicepresidente della Regione Giovanni Lolli e il consigliere regionale Pierpaolo Pietrucci, come del resto il governatore Luciano D’Alfonso, che dice: "In questo momento mi sto occupando del territorio. Sto parlando del decreto». Il presidente del Consiglio regionale, Peppe Di Pangrazio, si dice preoccupato «per la situazione frastagliata che non permette stabilità. Bene fa Renzi a ricompattare il partito. Chi non ci vuole stare faccia altro». Lorenzo Berardinetti, consigliere regionale, spera «che si trovi un’intesa, non si può frammentare in continuazione la sinistra. È chiaro che non può essere data tutta la colpa a Renzi, visto che ha fatto passi indietro riaprendo la discussione all’interno del partito. Ora si farà il congresso, e ci auguriamo che si troverà una strada comune da percorrere per il futuro del Pd.» Antonio De Crescentiis, presidente della provincia dell’Aquila, biasima «questa vicenda delle correnti, soprattutto in un momento delicato per il Paese. Io sono per la linea del segretario Renzi perché c’è una maggioranza che deve dettare le linee».
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