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Pescara, 25/11/2024
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Data: 17/02/2017
Testata giornalistica: Il Centro
La giornata più lunga del Governatore. Tutto inizia da un sms. La mattina presto la notizia dell’indagine e il cambio di programma: L’Aquila, prima di continuare per Roma di Antonio De Frenza

PESCARA La notizia arriva presto al mattino. Un sms sul cellulare del governatore lo avvisa che è atteso all’Aquila da un rappresentante dell’autorità giudiziaria. Luciano D’Alfonso sta scorrendo la fitta agenda degli impegni: ore 9 a Palazzo Chigi, ore 15 a Montecitorio e poi di nuovo nella sede del governo per un colloquio con il premier Paolo Gentiloni su terremoto e maltempo. Comunica ai suoi collaboratori il cambio di programma, ma senza rinunciare a Roma. Alle 10 è all’Aquila a Palazzo Silone. Durante il viaggio ripercorre («con dispiacere», confesserà ai suoi collaboratori), scene già viste. Pensava di «aver già dato» sul piano giudiziario. Solo poche settimane fa era stato in questura a Pescara per ritirare le carte che gli erano state sequestrate dieci anni prima nel corso di una precedente inchiesta. Storia chiusa. Ma dolorosa, per la famiglia e per gli amici. Ora torna la preoccupazione di dover ancora trasmettere quello stesso dolore. «Adesso ho un problema in più», confida ai suoi, «ma a differenza degli anni passati ho figli grandi, che spero abbiano gli strumenti e l’aiuto da parte mia e della mia famiglia per capire e dare le esatte dimensioni alla vicenda, evitando soprattutto di farsi influenzare dal racconto giornalistico». All’Aquila prende atto della richiesta dell’autorità giudiziaria, quindi con alcuni collaboratori esamina la vicenda sotto il profilo politico e amministrativo. Cerca di immaginare l’impatto mediatico della notizia. Il riflesso sulla sua attività di governo. Poi chiama al telefono i suoi legali, gli avvocati Antonio Valentini e Giuliano Milia. Nel frattempo il telefono non smette di squillare. Chiamano sindaci, amministratori e colleghi da tutta Italia («Una straordinaria solidarietà», dirà ai suoi). Si mette quindi in macchina per Roma. Vuole almeno portare a termine una quota del lavoro programmato per il cratere sismico e i danni del maltempo. «Devo fare in modo», ripete ai collaboratori, «che a Roma abbiano le esatte proporzioni dei danni diretti e indiretti per l’economia della nostra regione». Sente Vasco Errani sulla questione della ricostruzione post-sisma. Poi telefona al ministro Luca Lotti e al sottosegretario alla presidenza del Consiglio Maria Elena Boschi, dai quali riceve anche la solidarietà per la vicenda che nel frattempo tutti i siti nazionali rilanciano in testa alle loro home page. Deve però rimandare alla prossima settimana l’incontro con Gentiloni. Alle 18 si rimette in macchina in direzione Pescara per incontrare i suoi avvocati. Ai collaboratori ripete la sua volontà di «dare ogni supporto agli inquirenti, affinché anche con il mio contributo, laddove ritenuto utile, si acceleri il raggiungimento della verità. Non posso immaginare», si sfoga, «che questa storia possa durare come l’altra, mi farebbe cadere tutti i capelli, che pure ho numerosi». Ripete dunque come un mantra il suo modus operandi di amministratore: «Non voglio rassegnarmi all’idea che decidere significhi automaticamente finire indagato. Voglio continuare a pensare che si può decidere e che si può essere sottoposti a una rilettura penale dell’attività e poi continuare a decidere senza pentimento». Dice di aver rifiutato sempre il consiglio di chi dice: “se non ti impegni e non accetti le sfide non ti succederà nulla”. Non era certo il consiglio di suo padre che, all’epoca della prima indagine, gli diceva confortandolo, che solo se fosse stato un privato cittadino non avrebbe vissuto quello che stava vivendo. «Per me prevale la sfera della responsabilità», ripete con insistenza ai suoi. «La preoccupazione più forte, piuttosto è quella di non perdere l’entusiasmo, senza il quale non si può essere un buon amministratore». Con questo pensiero rilegge gli avvenimenti drammatici delle ultime settimane: il terremoto infinito, la neve mai vista, i morti di Rigopiano. «Non ho mai fatto il “semaforo”. Io mi sono messo a petto nudo per dare un contributo concreto e stimolare gli altri a cogliere tutte le occasioni possibili. Lo faccio sempre. Il potere deve essere usato. Non accetterò mai di fare il ventisettista. Quello che attende solo la fine del mese». Nel frattempo il telefono continua a squillare. Chiama il ministro Claudio De Vincenti esprimendo «totale fiducia». Chiamano i governatori delle Marche Luca Ceriscioli e della Sardegna Francesco Pigliaru. «Un’attività d’indagine», riflette D’Alfonso, «coglie molti aspetti conoscitivi. Però la verità nell’attività amministrativa ha bisogno di un confronto dialogico attraverso l’ascolto delle condizioni di contesto, degli elementi particolari che hanno prodotto quella decisione». D’Alfonso spera che questo confronto arrivi presto. «Alla metà del campo resta da aggiungere l’altra metà del campo», riflette mentre arriva finalmente a Pescara.

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