L’AQUILA L’avvelenamento delle acque ci fu ma il reato, qualificato come colposo, è prescritto. Tuttavia è rimasta in piedi per dieci imputati, tutti condannati, l’accusa di disastro colposo innominato. Gli altri imputati, per fatti ancora più lontani nel tempo, hanno usufruito della prescrizione. Questa la sintesi della sentenza della Corte di Assise di appello dell’Aquila che ha parzialmente riformato il verdetto di primo grado ribaltando alcune assoluzioni a carico di alcuni dei 19 ex manager e consulenti di Montedison nei guai per aver realizzato la ben nota discarica dei veleni di Bussi sul Tirino (Pescara). Una sentenza complessa che prevede anche una consistente provvisionale. Verdetto che di certo va incontro alle aspettative delle parti civili, ma talmente complesso che il presidente del collegio Luigi Catelli ha impiegato 11 minuti per esporlo. SENTENZA. I giudici hanno condannato a tre anni di carcere gli ex dirigenti dello stabilimento Maurilio Aguggia, Carlo Cogliati, Leonardo Capogrosso, Salvatore Boncoraglio; due anni sono stati inflitti a Nicola Sabatini, Domenico Angelo Alleva, Nazzareno Santini, Luigi Guarracino, Carlo Vassallo, Giancarlo Morelli. Le pene, visto che si tratta di fatti precedenti al 2006, sono state tutte condonate in quanto coperte da indulto. I giudici, inoltre, hanno dichiarato l’inammissibilità dell’impugnazione per Maurizio Piazzardi il quale è risultato estraneo ai fatti. Assolto Guido Angiolini, ex amministratore di Montedison dal 2001 al 2003, con formula piena mentre il procedimento è stato dichiarato estinto per Vincenzo Santamato di recente deceduto. Sono stati scagionati dall’accusa di disastro Camillo Di Paolo, Giuseppe Quaglia, Luigi Furlani, Alessandro Masotti, Bruno Parodi, Mauro Molinari. Pene, dunque, poco rilevanti oltre che condonate, a fronte delle richieste della Procura generale che aveva invocato condanne per complessivi 180 anni di carcere. Il processo contemplava anche una manciata di imputati abruzzesi. Si tratta di Di Paolo e Sabatini, che sono di Casalanguida (Chieti), Alleva di Bussi, Guarracino e Morelli di Pescara, Santini di Montesilvano e Quaglia di Vittorito (L’Aquila). Le motivazioni saranno depositate dal collegio, presieduto dai magistrati togati Luigi Catelli e Armanda Servino, e formato anche da otto giudici popolari, tra novanta giorni ovvero il 18 maggio prossimo. I legali della maggioranza degli imputati le esamineranno in vista di un sicuro ricorso in Cassazione. La Procura generale, con i pm Como e Castellani solo più in là. verificherà l’opportunità di ricorrere anche essa. RISARCIMENTI. Un aspetto non secondario della sentenza è quello dei risarcimenti a carico degli imputati che sfiorano i 4 milioni. Si tratta, va precisato, di provvisionali per cui dovranno essere pagati immediatamente dagli accusati visto che non c’è un ente come responsabile civile. Si tratta per ora di 3,7 milioni di euro così ripartiti: 2,7 milioni e 592 mila euro che, con gli oneri, arriveranno a un milione di spese legali. La sentenza ha stabilito il principio del risarcimento danno che viene per ora solo coperto parzialmente dalle provvisionali ma il conto successivo sarà fatto in sede civile. Saranno risarciti la Regione, il ministero dell’Ambiente, i Comuni del Pescarese interessati dall’ inquinamento del territorio, altri enti locali, le associazioni ambientaliste e la stessa Solvay. Risarcite anche le famiglie che hanno l’abitazione nei pressi del luogo nel quale è stata scoperta la discarica inquinante.
Gerardis (Avvocatura dello Stato): riconosciuto il principio che chi inquina paga»
TOMMASO Navarra I risarcimenti siano impiegati per lo studio epidemiologico
PESCARA «Grandissima soddisfazione», esprime Cristina Gerardis, dell’Avvocatura di Stato per la sentenza d’Appello che riforma radicalmente il primo grado del processo Bussi. «La sentenza», spiega l’avvocato Gerardis, «oltre a riconoscere il fatto dell'avvelenamento delle acque sotterranee e il disastro ambientale in forma colposa aggravata, ha riconosciuto la responsabilità penale di quasi tutti gli imputati. Ma soprattutto il risarcimento del danno alle parti civili». Gerardis sottolinea come sia «un’affermazione rara nella giurisprudenza che “chi inquina paga”. Inoltre la sentenza ha riconosciuto delle provvisionali. Quindi bisognerà agire in sede civile nei confronti degli imputati e del responsabile civile che è rimasto escluso perché ha chiesto il rito abbreviato, cioè Edison Spa. In quella sede», sottolinea l’avvocato, che è anche direttore generale della Regione Abruzzo, «tutte le parti civili potranno ottenere l’integrale risarcimento e gli interventi di ripristino ambientale». Per l’avvocato Tommaso Navarra, che ha rappresentato le associazioni ambientaliste, «il dato fondamentale è che tutte e due i fatti storici che noi dicevamo essere avvenuti, ossia l’avvelenamento e il disastro ambientale sono stati accertati, mentre il primo grado lo aveva escluso». Decisivo per l’avvocato Navarra anche il fatto che sia stato riconosciuto «il diritto delle comunità e delle associazioni ad essere indennizzate, con il profilo importante del ripristino ambientale. Perché una parte del dispositivo dà al ministero dell’Ambiente il diritto a pretendere il ripristino dei luoghi», un lavoro da circa 300 milioni di euro. Navarra lancia ora due idee per il futuro: «La prima è la necessità che anche le somme delle provvisionali vengano dedicate allo studio epidemiologico, perché non abbiamo ancora uno studio serio sul danno che questo insediamento ha su una popolazione di circa 700mila abitanti. La seconda idea è che non si spengano i riflettori su questa vicenda, perché adesso comincia la partita della bonifica». Soddisfazione esprimono le associazioni del comitato Bussiciriguarda: «Da domani saremo sentinelle vigili e di stimolo continuo affinché tutte le amministrazioni, nazionale, regionale e locali facciano quanto di loro competenza per restituire alla collettività acque e terreni risanati». Il sindaco di Pescara Marco Alessandrini ricorda che «in favore del Comune sono stati liquidati a titolo di provvisionale 200.000 euro. È la somma più alta fra quelle erogate ai Comuni interessati, che impiegheremo a favore delle politiche ambientali». Anche Luciano Di Tizio (Wwf) ricorda che «l’obiettivo finale resta la bonifica del territorio e l’applicazione del sacrosanto principio del “chi ha inquinato paghi”».
Rifiuti nascosti, 10 anni per trovare i colpevoli
Gli agenti della forestale nel 2007 li scoprirono sotto terra. Conti: «Abbiamo sempre lavorato bene»
UN Percorso a ostacoli La discarica fu trovata per caso: indagando sull’acqua contaminata gli inquirenti arrivarono al sito di Tre Monti
PESCARA Dieci anni e 8 giorni. Tanto ci è voluto per arrivare alla sentenza di ieri con 10 condanne per la discarica di Bussi, la più grande d’Europa con le sue 600-700 tonnellate di rifiuti tossici seppelliti sotto terra tra il fiume Tirino e il fiume Pescara. Quei rifiuti li scoprirono il 9 febbraio del 2007, un venerdì, gli agenti della forestale di Pescara, all’epoca guidati dal comandante Guido Conti: una ruspa bucò il terreno di località Tre Monti, sotto al viadotto dell’A25 per Roma, e si sprigionò una nuvola di fumo rosso. Si presentarono così i veleni nascosti. La sentenza di ieri, dopo le assoluzioni del 2014 in Corte d’Appello a Chieti, sembra quasi un risarcimento per gli investigatori che scoprirono la discarica: «Evidentemente avevamo lavorato bene e l’abbiamo fatto in silenzio, sempre in assoluto silenzio», dice Conti, ora al vertice della forestale in Umbria. Solo poche parole che, a distanza di 10 anni e 8 giorni, testimoniano l’impegno di chi, senza paura, avviò un’indagine contro un colosso della chimica italiana. È una storia lunga quella della discarica di Bussi, una discarica autorizzata da Provincia di Pescara e Regione Abruzzo nel 1972, poi finita nel dimenticatoio tanto da essere poi definita «abusiva», come se nessuno ne avesse saputo mai niente. E invece i documenti scoperti dalla forestale raccontano un’altra verità. L’indagine nacque quasi per caso quando, prima la polizia provinciale e poi la forestale, si misero sulle tracce di sostanze inquinanti nei pozzi dell’acqua potabile di Colle Sant’Angelo a Tocco da Casauria. Raccogliendo testimonianze, gli investigatori arrivarono a Tre Monti. Quel venerdì nessuno avrebbe potuto pensare a un disastro capace di dispiegare i suoi effetti fino a Chieti e al mare di Pescara. E invece, da quel momento, l’indagine, coordinata dall’allora pm di Pescara Aldo Aceto, prese un’altra piega e da storia di provincia s’impose a caso nazionale grazie ai rifiuti tossici, chiusi nei sacchi con il logo Montedison e messi sotto terra. Dopo la (ri)scoperta della discarica – un sito di stoccaggio temporaneo, solo per 8 mesi del 1972, su cui poi calò il disinteresse – iniziò un percorso a ostacoli: due anni dopo, la procura chiese i primi rinvii a giudizio per avvelenamento delle acque a carico di 19 imputati, quasi tutti dirigenti Montedison. Il 10 maggio 2011 arrivarono i rinvii a giudizio ma con riqualificazione del fatto da avvelenamento ad adulterazione di acque. E questa svolta è il primo intoppo della storia giudiziaria di Bussi: le difese degli imputati sollevarono il caso dell’incompetenza del tribunale di Pescara e, siamo al 26 marzo 2012, gli atti tornarono alla procura che dovette riformulare una nuova richiesta di processo alla Corte d’Assise di Chieti. Un caso unico in Italia: i veleni dell’ambiente trattati nelle aule in cui si discute di omicidi. Da questo momento, 12 aprile 2012, passò oltre un anno per l’apertura del dibattimento. E il 7 febbraio 2014, a processo ormai iniziato, ecco un altro colpo di scena: ricusato il presidente della Corte, Geremia Spiniello, a causa di dichiarazioni in televisione sul processo in corso. Spiniello è stato sostituito da Camillo Romandini, il giudice che il 19 dicembre 2014 ha assolto i 19 imputati dal reato di avvelenamento delle acque e derubricato il disastro doloso in colposo spalancando la strada alla prescrizione. È lo stesso Romandini sul quale pende ancora un procedimento disciplinare del Csm per le dichiarazioni sul caso durante una cena in pizzeria alla vigilia della sentenza. La procura, con i pm Anna Rita Mantini e Giuseppe Bellelli, ha presentato ricorso in Corte di Cassazione (18 marzo 2016): la Cassazione ha convertito il ricorso in appello e trasmesso gli atti alla Corte d’Assise d’Appello dell’Aquila. «Il processo, e prima ancora le indagini, hanno sofferto di una lunga protrazione», conferma la relazione su Bussi della commissione d’inchiesta parlamentare sul Ciclo dei rifiuti. Dieci anni e 8 giorni: 10 condanne sono arrivate, ora, a Bussi si aspetta la bonifica.